Il dilemma del treno

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Cassio era proprio lì davanti a lui, il suo volto familiare che gli diede conforto al solo vederlo. Lo guardava con un’espressione che Davide non riconobbe subito, così rara sul suo volto, poi quando capì lo lasciò senza parole.

L’espressione che Cassio aveva sul viso era speranza.

I capelli color rosa marshmallow erano tirati all’indietro, portava una camicia hawaiana blu con le palme viola e dei jeans dal taglio vintage che sembravano usciti dall’ultimo decennio del ventesimo secolo. Aveva le guance rosse e il respiro affannoso, come se avesse corso per arrivare lì, sorrideva e aveva gli occhi illuminati da quella che era un’accecante, feroce, dolorosa speranza.

Davide si rese conto che le parole che seguirono rischiavano, per qualche oscuro motivo, di spezzargli il cuore. Lo sapeva, eppure le disse comunque, perché non avrebbe potuto dire altro.

“Scusami, ma no.”

Quella volta, al contrario di tutte le volte in cui l’aveva deluso prima, il suo volto non si cristallizzò. Non si chiuse in una maschera di millenaria indifferenza. Per la prima volta che lo conosceva Davide vide sparire nei suoi occhi la luce dell’entusiasmo e Cassio lo guardò a occhi sgranati, incredulo, come se il ragazzo davanti a lui gli avesse appena dato un ceffone.

Non sapeva se l’aveva fatto apposta, se aveva preferito mostrargli la sua vulnerabilità oppure se non era riuscito a nasconderla perché la notizia l’aveva sorpreso a tal punto, e non l’avrebbe saputo mai. La delusione cocente che vide sul suo volto, però, gli fece chiedere ancora una volta perché la sua promozione fosse così importante per lui, tanto importante da tenerci ancora a undici secoli di distanza.

“Come sarebbe a dire ‘no’?” chiese, la voce vibrante dall’incredulità. “Sei stato nel tredicesimo secolo, ho scaricato i file! Quella è stata la volta della tua promozione, me lo ricordo!”

Davide non lo sgridò perché aveva scaricato in via del tutto illegale i file dell’Accademia e sbirciato nei rapporti delle sue missioni, anche se avrebbe dovuto farlo. Non gli chiese neanche come faceva a ricordarsi quale fosse la volta della sua promozione dopo tutto quel tempo. Sapeva che la biologia degli immortali e la loro rigenerazione cellulare permetteva di ricordare con accuratezza eventi accaduti secoli prima.

“Non era la volta della mia promozione, ne eri soltanto convinto. Io te l’ho detto che non dovevano promuovermi, ma tu non mi hai creduto…” sospirò. “Senti, è la mia seconda settimana di lavoro. Non puoi davvero credere che mi abbiano promosso, sei più intelligente di così.”

“No ma… non ha senso. Eri così nervoso, non stavi nella pelle, mi hai detto che dovevi per forza ucciderlo e ho pensato… ho pensato…”

“Ero tanto nervoso solo perché era la mia prima eliminazione di un obiettivo. Durante la mia prima missione eri stato tu a eliminarlo, io non avevo mai ucciso nessuno prima, e avevo paura che non sarei stato all’altezza. Per questo ero così strano. Era solo la mia prima volta, tutto qui.”

“Perché… perché non me l’hai detto?”

Lo chiese arreso, rassegnato, come se la risposta di Davide potesse distruggerlo e ne stesse accettando il rischio in quel momento.

Davide alzò le spalle. “Perché nel diciannovesimo secolo, quando hai scoperto che era la prima volta che ci vedevamo, hai fatto lo strano. Non volevo che succedesse di nuovo, volevo essere il tuo amico, non la tua nuova conoscenza. Così ho finto di conoscerti da tempo. Scusami.”

Cassio era impallidito, fece un passo indietro e scosse la testa. “Per tutto questo tempo ho creduto… ero sicuro… sapevo che ti avrebbero promosso dopo quella missione. Non ero più preoccupato, sapevo che sarebbe successo, ma adesso…”

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