Il castello

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Il giorno dopo, Cassio lo svegliò alle sette in punto. Davide era tutto scombussolato, non aveva dormito quasi nulla, l’idea che quel giorno avrebbe ucciso un uomo lo tormentava. 

Si incontrarono nel corridoio e Cassio lo condusse al piano di sotto, a mettere qualcosa sotto i denti prima della missione. Dopo che si fu rifocillato a colpi di pane e zucchero ed ebbe bevuto abbastanza acqua da contrastare la nausea che stava provando, furono pronti a mettersi in cammino.

L’immortale era di ottimo umore, e Davide si diede la spiegazione che pensava che lo avrebbero promosso. Come ogni volta, si chiese come mai fosse così interessato a una sua promozione.

Ormai era chiaro che per Cassio quello del suo salire di grado era un pensiero ricorrente, che aveva tenuto almeno dal tredicesimo secolo al ventiquattresimo. Più di un millennio in cui l’idea di Davide che faceva carriera gli aveva occupato i pensieri. Doveva esserci un motivo per forza.

Lui però se anche Davide gliel’avesse chiesto non gliel’avrebbe rivelato, quindi si guardò bene dal fare domande.

La città era attiva e brulicante di vita così presto, e garzoni indaffarati facevano avanti e indietro per le strade, lasciandosi alle spalle una scia di forte puzzo di sudore. Le sarte erano fuori dall'uscio a cucire come il giorno precedente, le botteghe avevano le porte spalancate, i colpi di martello del fabbro echeggiavano per la via affollata. La strada in pietra di epoca romana era in parte divelta dalle radici di un albero vicino, e dovettero stare attenti a non inciampare su una pietra che sporgeva dal livello della strada.

Giunsero ai piedi del castello, che si ergeva statuario davanti a loro, grosso e tozzo, imponente e silenzioso. Le mura di pietra si alzavano sulla piana e gettavano un’ombra sull’ambiente circostante, oscurando il sole. Lo stendardo della casata di Svevia si mostrava da alcune delle feritoie ai piani superiori, floscio per mancanza di vento. Il portone d’entrata era spalancato, e una folla cospicua andava e veniva dal suo interno, in un traffico piuttosto intenso.

Le guardie crociate controllavano l’entrata e si assicuravano che nessuno entrasse armato, ma Cassio e Davide superarono i controlli senza difficoltà, la spada era rimasta in locanda al sicuro.

Misero in atto il loro piano non appena scorsero un templare all’interno del castello, un uomo alto e dall’aria burbera, quando Davide alzò il braccio per richiamare la sua attenzione.

“Chi siete e cosa volete?” sbottò, quando si avvicinarono. 

Era abbigliato con la divisa di tutti i templari, la casacca bianca con la croce scarlatta, per il resto calzoni color beige e cotta di maglia che gli copriva le braccia e il collo. 

“Siamo qui per raggiungere le cucine signore, ma non siamo mai stati, non sappiamo dove si trovano. Se solo potesse guidarci…” iniziò Davide, cercando di non maldisporlo oltre. 

“Sto lavorando,” rispose lui, secco. “Trovatevele da soli.” 

“Capisco signore, ma se solo lei…”

“Basta ora, andatevene. Altrimenti sarò costretto a scortarvi in cella.”

“Sono sicuro che al cardinale non piacerà sapere che ci sono stati ritardi con il pranzo,” azzardò Cassio. “Ho sentito che quando è di malumore non è una giornata buona per nessuno qui al castello. Mi sbaglio?”

L’uomo fece un verso di interessamento, poi una smorfia pensosa. Sembrò riflettere su quello che Cassio aveva appena detto, sul se gli convenisse o meno scortarli alle cucine perché Montaigu avesse servito il pranzo in tempo.

“Seguitemi, avanti,” borbottò, infine, frettoloso.

Davide guardò Cassio e gli sorrise per ringraziarlo. Il suo tentativo era stato folle, non aveva nessun modo di sapere se davvero Montaigu fosse un uomo intrattabile che aveva sfuriate con i suoi sottoposti quando aveva una giornata storta. La sua sensazione che fosse così era dovuta al fatto che era un templare, anzi, il capo di tutti loro, e i templari non erano celebri per essere degli agnellini.

Accademia CronoWhere stories live. Discover now