Passare il limite

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Davide, appena partito dalle quattro mura sicure della sua stanza, si ritrovò a Dresda riapparendo in un fascio di luce, come ogni volta. 

Erano passati sei mesi dal giorno in cui si era ritrovato Cassio al suo primo giorno, da quando l’aveva visto come ragazzino innamorato della vita e scandalizzato dall’idea di frequentare bordelli, così indignato dalla prospettiva della fine della Repubblica da aiutarlo a uccidere un uomo.

Aveva affrontato missioni, eliminato obiettivi, collezionando successi su successi e attirando le attenzioni dei piani alti dell’Accademia, lavorando col suo immortale.

In quel momento si trovava in un ufficio, una stanza piuttosto spaziosa che dava l’idea che la persona a cui era destinata fosse importante. Una grande scrivania in mogano stava addossata alla parete, colma di carte. Sulla destra un camino spento, libero da braci.  Alle pareti bianche erano appesi quadri di tavole anatomiche, quadretti di medaglie al valore e una cartina dell’Europa un po’ diversa da come Davide la ricordava.

Quando aveva visto quello che sarebbe stato il suo abbigliamento per quella missione, inizialmente era impallidito: una divisa completa da SS lo aveva salutato da sopra il suo letto, su misura per lui, con tanto di gradi e fascia rossa con la svastica al braccio.

Il suo obiettivo era Aron Schultz, un Obersturmführer delle Sicherheitsdienst, il servizio di intelligence delle SS che aveva l’obiettivo di individuare nemici dello stato per arrestarli e deportarli.

Il tipo di persona per cui Davide aveva meno problemi a ignorare i sensi di colpa derivati dal togliere una vita.

Tutta la sua perplessità verso il suo abbigliamento svanì veloce com’era arrivata, non appena si rese conto che Cassio, dovunque fosse, non era con lui.

Il suo bracciale era studiato per farlo apparire nel punto deserto più vicino a dove Cassio si trovava al momento dell’arrivo, e lui sino a quel giorno si era sempre premurato di recarsi in luoghi isolati di modo che Davide potesse apparirgli accanto.

Non gli era mai capitato di apparire per una missione senza trovarlo. Se per tutto il tempo che Cassio aveva saputo del suo arrivo non era riuscito a organizzarsi per trovare un luogo solitario dove farlo arrivare in pace, significava che doveva essergli successo qualcosa.

Qualcosa di brutto.

Tirò fuori il bracciale che aveva sotto la manica della camicia e lo localizzò. Si trovava a sessantatré metri da lui, doveva essere nello stesso edificio. Studiò con attenzione la direzione nel piccolo schermo, imparò le svolte che avrebbe dovuto prendere e ri nascose il bracciale sotto la manica della camicia.

Davide prese un profondo respiro e sfiorò la semiautomatica nella fondina. Fuori da lì ci sarebbe stato qualcuno, ne era certo, perché se quello dove si trovava era il posto deserto più vicino a Cassio, sicuramente avvicinandosi a lui avrebbe trovato altre persone. 

Andò a grandi falcate verso la porta, posando le mani sulla maniglia. Non era preparato a questo, ma sarebbe andato sino in fondo per trovarlo. Se Cassio si trovava davvero nei guai, non l’avrebbe lasciato là dentro un minuto di più.

Sei tu la mia ragione, non dimenticarlo, gli aveva detto quella volta a Roma, nel 44 a.C. 

Davide non se l’era dimenticato. Aveva giurato a sé stesso che l’avrebbe protetto, e intendeva fare proprio questo.

Aprì la porta dello studio e uscì dalla stanza per ritrovarsi in un lungo corridoio. L’aria era fredda, di metà Gennaio, e l’ambiente asettico dai muri giallognoli alimentava questa sensazione di gelo. I soldati che camminavano lungo il corridoio dall’aspetto infinito non lo degnarono di uno sguardo quando uscì dalla stanza e cominciò a camminare, la sua divisa lo faceva confondere senza problemi tra gli altri.

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