Memento Mori

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Quando tutto riapparve intorno a lui, la prima cosa di cui prese coscienza fu che era dentro quattro mura, all’interno di una casa. 

Era un appartamento non troppo dissimile da quelli a cui era abituato, del resto erano passati solo quarantadue anni dalla sua linea temporale. 

La casa in cui si trovava sembrava proprio come tutte le altre che conosceva, solo i mobili erano di uno stile che non riconobbe, di colore verde scuro e che sembravano di un materiale non più metallico come lui era abituato ma di qualcosa simile al caucciù, di origine vegetale. 

Aveva studiato le epoche future e sapeva che in quel tempo gli umani si dedicavano, in un ultimo disperato tentativo di redenzione, all’ecologia. Quel materiale si trattava senza dubbio di un tentativo diretto a quello scopo.

Era una stanza da letto, con una grande finestra dal vetro oscurato che non permetteva di vedere ciò che stava all’esterno, ma che lasciava trapelare filtrati i raggi del sole, illuminando la stanza senza bisogno di accendere la luce.

Al centro della camera c’era un letto matrimoniale, sempre in quel materiale vegetale, con sopra un materasso sottile ma ergonomico e una copertina che per essere novembre sembrava troppo leggera.  In terra vi era un tappeto bianco peloso dall’aspetto morbido, sui muri poteva vedere dei bocchettoni per il ricircolo dell’aria e il resto del mobilio consisteva in due comodini verdi bassi, uno vuoto e l’altro con quello che sembrava un ebook Reader e una bottiglia d’acqua in vetro, e infine un grande armadio dello stesso verde scuro di tutto il resto.

La stanza era vuota, Cassio non si vedeva da nessuna parte e, in memoria di ciò che era successo nel 1945, Davide fu percorso da un brivido.

L’attimo dopo, però, sentì qualcuno trasalire, e si voltò a seguire il suono.

Lui era là, appoggiato allo stipite della porta, e lo guardava in totale silenzio. Era diverso da com’era stato nella sua linea temporale. I suoi capelli erano verdi, ma avevano un bel po’ di ricrescita del loro colore naturale, aveva indosso una maglia larga e un paio di pantaloncini come se non avesse nessuna intenzione di mettere il naso fuori di casa, aveva gli occhi arrossati e sembrava malfermo sulle gambe.

“Cassio,” mormorò, sentendo la preoccupazione montargli dentro come la marea. “Che cosa c’è?”

L’immortale  non rispose. Si avvicinò a lui in due passi e gli prese il volto tra le mani. Lo tastò, come per assicurarsi che fosse davvero lì, lo guardava a occhi spalancati, a stento sembrava sbattere le palpebre. 

Cassio l’aveva sempre guardato con quella che era stata pura adorazione. Addirittura, la prima volta che l’aveva visto, l’aveva scambiato per un dio. Ogni volta che stava per sparire, lo fissava come se non potesse averne abbastanza.

Eppure, non l’aveva mai guardato così prima. Come se nient’altro al mondo, passato o futuro, avesse importanza. Come se si fosse dimenticato chi era, dove si trovava, persino il suo stesso nome, come se non ci fosse niente se non Davide, lì, in quel momento.

“Cassio,” ripeté, a mezza voce. “Mi stai spaventando. Che è successo? Stai bene?”

Non rispose neanche questa volta. Si avvicinò a lui, tenendo il suo volto saldo tra le mani, e lo baciò.

Davide restò un attimo sorpreso a quel gesto, poi si arrese a lui come aveva fatto ormai già altre volte, si lasciò andare alla sensazione delle sue labbra che si schiudevano, delle sue mani che lo stringevano ancora, dei loro corpi così vicini. 

Cassio lo baciò con disperazione, persino più della prima volta che l’aveva fatto, coi respiri affannosi e con una fame tale che Davide non poté che farsi travolgere, lasciare che le sue labbra lo distruggessero e lo ricostruissero da capo, che le sue mani, scese finalmente dal suo volto, lo esplorassero con calma e devozione, come non avevano mai fatto prima.

Accademia CronoWhere stories live. Discover now