Capitolo 9.

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Il garrire intenso delle rondini riempiva il cielo di striduli acuti, richiami dolci di animali sempre in movimento. Ali leggere, mezze lune perfette ricordavano cieli notturni di una luna crescente. Sbattevano silenziose nell'immensità dell'aria, imprimendo il loro manto scuro con i profumi della campagna. Si divertivano a rincorrersi, a giocare nelle correnti ascensionali senza mai stancarsi. Ogni tanto sparivano nella bassa vegetazione di campi non ancora arati, per nascondersi da occhi vispi di gente curiosa e subito dopo tornare in volo con la grazia di minuscoli aeroplani di carta. Altre, invece, si sbrigavano a catturare vermi, zanzare e altri tipi di insetti per sfamare i loro piccoli all'interno di nidi costruiti tra una trave e l'altra di tetti spioventi, interni di case abbandonate o addirittura capannoni pieni di fieno, usato per accogliere bestiame di agricoltori sempre con le mani nell'orto.

Respirare l'aria estiva, di un paese sperduto tra le colline, significava assaporare per un secondo la sensazione di libertà. Lo sapeva bene Christian quando si affrettava, tra le strade ghiaiose fuori le mura della città, per raggiungere Matilde prima che il sole iniziasse il suo lento declino dietro l'orizzonte fatto di montagne acuminate. Nuvole scherzose diventavano vestiti, abbellimenti di un tramonto vanitoso, colmo di sfumature aranciate e bluastre.
Il vento frizzante di un tardo pomeriggio scompigliava una nube folta di piume corvine, simile all'inchiostro liquido di uno scrittore naufrago in mezzo a un oceano cristallino. Ciocche aggraziate venivano spostate dai movimenti sinuosi di un'aria pesante, soporifera, rendendo il paesaggio circostante una distesa di fuoco e fiamme. Il caldo non voleva andarsene, anche se camminare sotto l'ombra di ciliegi, alberi di fichi e rampicanti di rara bellezza, davano al giovane una parvenza di dolce sollievo dai violenti raggi del sole.

I suoi passi erano veloci; la terra sotto di sé, arida e secca, alzava polvere rossiccia entrando nelle punte scollate delle scarpe. Guardò per alcuni istanti la libertà di rondini impavide, di un universo infinito dove poter immergere le iridi, del medesimo colore dell'imbrunire, tra strati di atmosfera rarefatta. Un leggero sorriso si disegnò sul suo volto, avrebbe donato la vita al diavolo per avere una millesima parte di un privilegio impossibile da realizzare. La capacità di andarsene ovunque, senza limitazioni e doveri morali. Era l'unico modo per salvare la sua anima e rendere pura la fragilità di Matilde.
I suoi pensieri cominciarono, però, a essere invadenti; lo riportarono con prepotenza a immergersi nelle parole maligne, criptiche, di Marie Sophie. Non comprendeva cosa si celasse dietro quella storia malata, riempita di menzogne popolari e antichi riti pagani. Doveva informarsi, forse avrebbe dedicato una giornata interamente a leggere libri in biblioteca, cercare con assidua costanza cosa si nascondesse dietro a tonnellate di polvere, anche negli angoli più reconditi di scaffali stracolmi di tomi e antologie.

"Un passo falso e perdi la partita." Non riusciva a dimenticare parole così intense rimaste impresse nel suo cervello, diventando quasi un'ossessione. Non doveva perdere, non se lo sarebbe mai perdonato. Qualsiasi cosa Marie Sophie avesse fatto la notte della sagra non doveva avverarsi: non c'era nulla di vero, niente gli avrebbe fatto cambiare idea. Lei era solo una vipera incantatrice, sua madre glielo diceva sempre di stare lontano da persone del genere, ma Christian si fidava troppo. Era ancora rimasto bambino, mentre si perdeva tra i boschi a giocare ad acchiapparella con l'unica persona alla quale avrebbe affidato la sua anima, la sua vera esistenza. Solo lei era capace di placare i suoi pensieri, le sue ansie più oscure, ma non si rendeva conto che più il tempo passava più iniziava a diventare un tormento.

Correva per provare a mantenere la calma, il fiato sempre più veloce, il cuore in continua palpitazione, sentiva lo sterno collidere con l'epidermide biancastra sotto il sottile strato della camicia di lino. Dentro la sua testa, milioni di sussurri cominciarono a riempirgli i timpani fino all'esasperazione. Ridevano, comandavano di svolgere atti impuri, si prendevano gioco della sua ingenuità, delle sue debolezze, ma allo stesso tempo un odore metallico di un liquido caldo e carmineo si impossessò delle sue narici fino a prevaricare all'interno della materia grigia. Il sangue sgorgava dalle sue mani, il viso tumefatto, fischi acuti di un'acufene persistente, il mondo si distorceva sotto ai suoi occhi. Campi rossi scarlatti, cielo grigio come la cenere di un vecchio rogo, qualcosa di sinistro lo stava divorando dall'interno.
Si fermò di colpo spaventato dall'improvviso attacco di panico, sprofondò i palmi delle mani tra riccioli ribelli, premevano forte contro le ossa craniche da sentirle scricchiolare, spaccarsi sotto lo strato sottile di pelle.

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