Capitolo 25.

83 9 71
                                    

"Tutti dobbiamo morire, tutti quanti, che circo!
Non fosse che per questo dovremmo amarci tutti quanti e invece no, siamo schiacciati dalle banalità, siamo divorati dal nulla."

- Charles Bukowski

⚠️ Attenzione, scene forti ed esplicite ⚠️

Una triste e sofferente musica si librava nell'aria da una finestra aperta, circondata da mattoni rossicci

Oops! This image does not follow our content guidelines. To continue publishing, please remove it or upload a different image.

Una triste e sofferente musica si librava nell'aria da una finestra aperta, circondata da mattoni rossicci. La melodia faceva da sottofondo alla pioggia scrosciante, cadeva sui tetti, bagnava fognature, la leggera nebbiolina nascondeva i lineamenti aguzzi e austeri di Monteluna all'orizzonte. Il vento cullava le fronde dell'albero di noce, quasi come se stesse danzando in una specie di macabro ballo a ritmo del violoncello.

Alberto era seduto a guardare fuori, piangeva e suonava con trasporto. Le tozze dita a contatto con le corde sottili diventavano aggraziate, delicate e gentili.

Il volto di Liliana non smetteva di tormentarlo, i ricordi erano coltelli affilati e non aveva nessun rimedio per occultarli in un luogo in cui solo sua figlia ne aveva avuto la capacità. Matilde era una tabula rasa, forse qualche ricordo era incastrato tra le pieghe della sua materia grigia, ma quegli occhi così vuoti erano il frutto di un destino crudele. Non era riuscito ad arrivare in tempo a salvarle, Liliana era già morta quando arrivò sul posto, la cullava sulle sue braccia come se dovesse farla addormentare. Il sangue a corrodere la pelle candida e gli occhi spalancati erano rivolti verso la sua piccola figlia. Era rimasta a guardare, a imprimersi per sempre il dolore e la sofferenza negli occhi. Lo sguardo freddo e morente della madre si era aggrappato a quello di Matilde, diventando il suo incubo ricorrente e la fine delle proprie emozioni.

Era successo tutto per colpa della lussuria, di un amore proibito che avrebbe recato solo dolore e discordia. Sapevano entrambi di sbagliare, ma nessuno dei due faceva a meno l'uno dell'altra. Amare qualcuno non era mai facile, ci si poteva bruciare di una brama psicotica, il calore entrava negli organi e spezzava ossa, fino a lasciare solo un mucchio di cenere sul terreno. Nessuno si sarebbe ricordato di quell'affetto, tranne chi aveva avuto la sfortuna di diventare fuoco e morte. Era un dolore sempre presente, non rendeva liberi e si perdeva il senno della ragione, consumando azioni violente senza un briciolo di rimorso.

La passione ossessiva rendeva malvagi chiunque, anche il più docile degli esseri umani.

La musica riempiva le orecchie di Alberto, provava a quietare i dolori, i tormenti più profondi dell'anima. Suo padre gliel'aveva insegnato, era un musicista e avrebbe voluto una vita migliore per suo figlio. Durante la seconda Guerra Mondiale, il violoncello era stato la sua unica salvezza da un orrore ancora peggiore della morte. Suonava nei locali e nei ristoranti per far piacere a maiali ingozzati d'orgoglio, di vittime sulle spalle e di sadico divertimento. Gli aveva insegnato il violoncello per essere libero, andarsene in un luogo migliore e non essere catturato come sua madre.

Anime dimenticate.Where stories live. Discover now