Capitolo 24.

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...Non c'era fato peggiore di non poter gridare al mondo il proprio dolore e di soccombere a una morte silenziosa, col proprio carnefice come unico spettatore, il cui delitto era non saper vedere la linea di confine tra amore e ossessione, altruismo ed egoismo.
- A Succubus Poetry di 97ShadesOfSam

I fruscii delle foglie morte, dello spezzarsi dei rami secchi sotto le suole delle scarpe, i rantoli soffocati per la lunga corsa verso una salvezza ignota erano i rumori di un'anima in corsa, piena di lividi sul corpo e l'immagine della morte imp...

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I fruscii delle foglie morte, dello spezzarsi dei rami secchi sotto le suole delle scarpe, i rantoli soffocati per la lunga corsa verso una salvezza ignota erano i rumori di un'anima in corsa, piena di lividi sul corpo e l'immagine della morte impressa nelle pupille. Danzava con i suoi demoni, parlava con loro e faceva riaffiorare ricordi disconnessi, persi per troppo tempo. Lui era innocente, lo aveva sempre pensato, ma quando un essere umano poteva dichiararsi tale? Depressione, desolazione, mancanza di affetto e illusioni potevano cambiare la vita di una persona per sempre. La si rendeva l'ombra di se stessa, persa in un oblio troppo difficile da uscirne indenne, si cadeva verso l'inferno senza nemmeno accorgersene e come Lucifero, venivano staccate le ali, privata di qualsiasi felicità finché non si arrivava alla pazzia o addirittura alla vendetta. Alcuni restavano a guardare la propria dipartita, osservavano come spettatori l'arrivo della fine del mondo, altri invece per sopravvivere diventavano violenti, manipolatori o assassini pur di arrivare al proprio scopo. Facevano soffrire tanta gente, ridevano della tristezza altrui, godevano nel vedere uscire lacrime e tormento. Era un gioco sadico che l'essere umano aveva perfezionato durante i secoli. Samaele, al contrario, era diventato una pedina sacrificabile. Si sentiva perso, dimenticato, e dopo essere stato pestato per aver provato uno dei pochi piaceri della vita, era tornato nell'oscurità, nella cecità più assoluta.

La pioggia sottile inumidiva le ciocche ribelli, mentre il vento si insinuava tra i ricci umidi e la bocca aperta per incanalare più aria verso i polmoni. Correva senza sosta, i rovi gli graffiavano le caviglie e le guance. Piccoli resti di foglie e fango riempivano il viso insieme alle braccia di marcio e terra, mimetizzandosi con le efelidi. Gli occhi erano sbarrati, il cuore batteva all'impazzata, rendendo le sue arterie e vene dei fiumi in piena durante una tempesta. Si guardava attorno, ma nulla riusciva a farlo sentire al sicuro. Aveva paura di tornare a casa, di vedere lo sguardo deluso del padre e quello d'ira del fratello. Si immergeva nel bosco fino a perdere l'orientamento, tutto era uguale: tronchi, alberi, cespugli si ripetevano all'infinito. Aveva la sensazione di essersi smarrito nel tempo, tra lo scoccare di un secondo e l'altro.

Qualcosa, però, fermò la sfrenata corsa di Samaele: una grossa radice fece perdere il suo precario equilibrio e cadde al suolo sul piccolo fiumiciattolo, sbattendo la testa a terra. L'acqua fluiva sulle gote, sulle braccia, bagnandogli la camicia larga e i capelli scarlatti. Il petto fu scosso da singhiozzi violenti e gemiti di sofferenza, non aveva più le forze; si abbandonò allo scorrere della natura, sperando in una carezza lieve.

Si mise carponi, ma le braccia tremavano come foglie, spaventate dal freddo e dal gelo imminente. Avrebbe voluto eliminare ogni emozione dal proprio corpo, invidiava Matilde per la sua freddezza. Il vuoto le regnava nell'animo, perso in una dimensione lontana, nel luccicore dei suoi occhi d'ambra, aspettando una mano gentile che la raccogliesse nel buio di un universo senza stelle.

Anime dimenticate.Where stories live. Discover now