Capitolo 12.

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"Avremo letti pieni di leggeri odori,
divani profondi come tombe,
fiori strani sulle mensole
aperti per noi sotto i più bei cieli.

I nostri cuori saranno due grandi fiaccole
nello sprazzo a gara degli ultimi ardori:
come rifletteranno i loro doppi splendori
negli specchi gemelli delle nostre anime!"

-Charles Baudelaire, La morte degli amanti (1851)

Il cielo si faceva sempre più grigio e le nuvole minacciose, rimaste in un angolo a guardare lo spettacolo di gradazioni aranciate, carminie, di una stella incandescente, si erano affrettate a coprirne la luminosità. Invidiose di tanta brillantezza, si erano fatte aiutare dai soffi del vento per imprimere nei colori accesi dei prati sfumature scure tendenti al nero. Anche il viso di Matilde si incupì non appena venne sovrastato dall'imponenza dei tronchi dei pini, dalla folta vegetazione strabordante di fiori e foglie ancora verdi. Alcune avevano iniziato a prendere un colorito giallastro, ma erano sempre pronte a donare un posto sicuro, un luogo in cui nascondersi: animali spaventati, due anime dimenticate che si rincorrevano a vicenda, senza sapere dell'esistenza l'uno dell'altra. Non avrebbero mai smesso di cercarsi, dal giorno in cui i loro sguardi si erano sciolti e fusi insieme, l'universo aveva cambiato aspetto. Samaele era allettante da studiare, le sue lacrime e le sue parole taglienti ancora le inumidivano la memoria. Restavano in bilico tra i sussurri del vento e il baratro di un inferno pronto ad accoglierli.

La giovane era rimasta a spiarlo tra cespugli di alloro e rami secchi di vecchie piante morte, edere rampicanti rimaste attorcigliate per vivere in un perenne abbraccio mortale. Le scarpe chiare si erano impregnate di polvere, terra e pennellate di verde lasciate dall'erba fresca. Si muoveva con eleganza, passi felpati tra la vegetazione, mentre due occhi color dell'ambra non smettevano un minuto di osservare Samaele rivolto di spalle. Si accingeva a tornare nel punto in cui lo aveva visto appeso a un cappio. Voleva urlargli, inveire contro di lui, minacciarlo con il coltello di non provare di nuovo a togliersi la vita. Non avrebbe più ascoltato le sue parole deliranti, ma la lama sarebbe stata la sua lingua tagliente tra le venature del collo. Provava una fervida rabbia verso il mingherlino, le mani si strinsero a pugno nelle tasche per nascondere lo strano comportamento. Non si accorse di aver stretto forte tra le dita il trinciante e una linea scarlatta si materializzò in mezzo al palmo. Un forte pizzicore le fece ritrarre la mano, osservò un rivolo di sangue uscire fuori dalla ferita. Non si curò di coprirla con un pezzo di stoffa o pulirla nel rigagnolo poco lontano, era ammaliata dal denso colore di icore vischioso. Spezzava la monotonia di un pallore tendente al rosa, una sbavatura all'interno di un quadro impressionista. Il suo obiettivo, però, era uno solo e si trovava proprio a pochi metri di distanza. Alberto le aveva insegnato le basi della caccia: se si puntava una preda non si lasciava mai scappare; le pupille dovevano essere un secondo foro di canna, un mirino calibrato al millimetro per non dare speranze a chi si trovasse nel loro campo visivo.

La coltre di ricci vermigli venne travolta dalla vegetazione e lo perse di vista per alcuni istanti, si avvicinò ancora senza calpestare rami troppo secchi o foglie morte. Il terreno morbido e i sussurri del vento frizzantino coprivano i passi di Matilde. Erano attratti l'uno dall'altra come calamite: volevano unirsi al metallo, ma qualcosa in mezzo le teneva lontane, smagnetizzandole. Non era la paura a distanziarli, ma i pensieri amalgamati tra di loro in un vortice di urla e parole sputate come veleno.

Non appena girò il viso oltre un tronco spezzato, riempitosi di muschio, piante, ragni e vermi ritrovò la piccola radura con in mezzo la grande quercia. Si innalzava imperiosa davanti ai suoi occhi. Samaele si avvicinò al busto centenario, accarezzò la corteccia rugosa e piena di canali stretti, ideali per colonie di formiche e tarme. Rimase fermo solo qualche istante, come se sentisse una presenza girare intorno al suo corpo fremente. Si voltò di scatto, ma nel momento in cui lo sguardo si puntò oltre l'orizzonte, Matilde era già scomparsa dietro le frasche e con il cuore in gola. Il volto impassibile e calcolatore, occhi persi nel vuoto oltre le sfumature del bosco, celava il suo senso di inadeguatezza tra le sterpaglie. Non poteva rimanere lì per sempre, doveva escogitare un piano al più presto.
Aspettò qualche secondo prima di ritornare a spiarlo, voleva essere sicura di non ritrovarsi occhiate simili a quelle di un cerbiatto impresse sulla carne. Soprattutto, si assicurava di non diventare preda delle sue iridi cangianti; era lei quella con l'arma nascosta sotto un sottile strato della gonna.

Anime dimenticate.Where stories live. Discover now