Prologo.

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"Il tuo fasto è disceso negli inferi,
con la musica delle tue arpe.
Sotto di te si stendono le larve,
i vermi sono la tua coperta."

(Isaia 14:11)

Urla ancestrali si stagliavano tra i sottili tronchi degli alberi di betulla. Un bosco in cui tutto era uguale, ogni angolo sembrava lo stesso di quello precedente. Il bianco candido della corteccia oscurava l'orizzonte, mischiandosi col muschio verdognolo del terreno; un labirinto da dove nessuno sarebbe uscito illeso.
Una radura, però, faceva da regina in mezzo alla monotonia della natura, un punto dove poter tornare a respirare, ma non per quell'anima solitaria in procinto di bruciare.
Gridava per la paura, per l'oscurità imminente dove la sua essenza sarebbe stata accolta dalle fiamme eterne, in completa solitudine. Il suo corpo si illuminò di luce, un bagliore incandescente tra il grigiore della nebbia e dell'inverno perenne.

Il dolore era indescrivibile, bocca aperta da formare un buco nero in cui poterci annegare anche il tempo, lacrime invisibili dove nessuno sarebbe mai arrivato ad asciugarle.
Piangeva per non aver potuto vendicarsi, per non essere stato capace di uccidere i propri sentimenti e nasconderli tra i vermi striscianti sotto la terra umida. Era il suo peccato: solo lui avrebbe sofferto per tutta l'eternità, bruciando al fianco di Lucifero.
Aveva amato più di se stesso un'anima dimenticata, un essere umano da proteggere a tutti i costi dagli sguardi maligni e dalle ingiustizie della vita, ma non era al corrente di cosa potesse nascondere la solitudine. Nessuno era in grado di saperlo, a parte chi avrebbe avuto il coraggio di entrarci e farsi male fino a trovarne la morte.
La sua pelle ardeva e il calore gli pervase ogni centimetro, ogni cellula epiteliale, fino a penetrargli l'anima, soffrendo in quelle atrocità ancora e ancora. Secoli dopo secoli, avrebbe rivissuto per l'eternità il suo sbaglio più grande: quello di fidarsi.

Poco più avanti, due occhi color dell'ambra, così lucenti da far invidia alla resina stessa, illuminati dai raggi silenziosi del sole, scrutavano quello splendido spettacolo.
Non sorrideva, non tentennava, non aveva nemmeno la minima intenzione di salvarlo da quelle fiamme perenni. Come un fantasma, restava ferma con le braccia lungo il corpo e la testa leggermente piegata da un lato, pietrificata davanti alla bellezza della dannazione.
Provava addirittura piacere nel vederlo piangere, come se quelle gocce trasparenti fossero la sua più grande perversione. Si sarebbero incontrati sempre, anche dopo essere entrati in altri corpi, in altre vite non loro. Niente poteva separarli; uniti da un vincolo durato millenni.

«Possa la mia anima bruciare all'inferno, se decidessi di non voler più restare al tuo fianco.»

Lei prese quel patto come una sfida, una potenziale tortura per vederlo perire, fin quasi ad averne la nausea. Gli avrebbe fatto desiderare di scappare, di allontanarsi da lei, così da poterlo veder prendere fuoco come un tizzone ardente. Il loro peccato li avrebbe perseguitati per sempre, Lucifero avrebbe fatto capire loro che non c'era espiazione per due anime destinate a essere divise nei lunghi e infiniti spazi temporali. Sarebbero passate milioni di stagioni, ma non c'era fine a quel loop eterno.
Lei non provava emozioni, le aveva dimenticate come si faceva con gli oggetti inutili: buttati in un angolo della casa e lasciati lì a marcire.
Non si sarebbe data pace, nemmeno le sue grida di pietà potevano intenerirla, perché prima o poi tutto aveva una fine, una data di scadenza. Avrebbero avuto la possibilità di rinascere, partire da zero senza sapere cosa il futuro avrebbe avuto in serbo per loro.

Gli ultimi gemiti erano quelli più teatrali, strazianti, gridava il suo nome come se fosse l'antidoto per riportare l'ordine tra la materia oscura dell'universo.
Della cenere iniziò a propagarsi nell'aria; petali di rose appassite, animate da soffi leggeri del vento freddo di dicembre. Di quel ragazzo consumato dalla sua negligenza, non rimasero altro che pochi resti. La figura femminile, intrattenutasi a guardare, si avvicinò con cautela; l'erba bagnata le inumidì la pelle lattea e le dita dei piedi. Si sdraiò accanto a lui, per aspettare quel secondo prima di rinascere da qualche altra parte nel mondo e cercarlo di nuovo, così da assistere, per l'ennesima volta, a quel meraviglioso spettacolo. Si impresse sulla pelle il nero del carbone, da sporcarle le mani, il viso e i capelli di un rosso così intenso da sembrare sangue. Sapere di essere ancora viva la faceva star male, non poteva esistere senza quell'anima tormentata.

Delle loro vite precedenti non rimanevano altro che lievi frammenti, nessuno dei due si sarebbe ricordato l'uno dell'altra: corpi, occhi ed esistenze completamente diverse, ma l'inferno sapeva essere spietato. Il destino avrebbe fatto di loro sue marionette e si sarebbe divertito a renderli colpevoli di un'esistenza troppo crudele.

Due anime dimenticate che si distruggevano a vicenda, per il resto delle loro eterne vite.

Due anime dimenticate che si distruggevano a vicenda, per il resto delle loro eterne vite

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Anime dimenticate.Where stories live. Discover now