IL DESTINO, NON DECIDERÀ PER NOI

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VIENI

I miei passi

lievi lievi lambiscono il selciato

quando vengo a trovarti:

ho paura di disturbarti

ora che dormi in pace.

Ma una bestia spietata

mi divora l'anima:

famelico è il tormento.

Chissà cos'è appassito nel tuo cuore

per lasciarci così in fretta.

Chissà quali tempeste

ti scompigliavano dentro.

Chissà.

Ma il verbo è muto.

Tu rimani lì

come da sempre:

distante e schivo

sfuggente come un alito di vento.

Ma vieni a consolarmi

quando apro i cassetti del pianto.

Vieni a cercarmi

quando schiudo le porte al sonno.

E una parola

appena sussurrata ad un orecchio

basterebbe,

un tenue tocco d'ali sul mio viso

a dal calore a quest'inverno

senza fine.

(di MariaCacciola4)

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Ludovico, dalla sua residenza nel centro della City, osservava assorto la tempesta che sferzava le finestre della camera riccamente arredata. 

Aveva la netta sensazione che la natura gli urlasse di non essere l'unico a soffrire, l'unico ad aver deciso di morire per il bene altrui... 

Quella mattina si era diretto da Clara, la sua migliore amica, in cerca di conforto e di un consiglio. La donna lo aveva osservato con un misto di rabbia e delusione poi, con la consueta semplicità, gli aveva detto ciò che gli ripeteva da anni: «Ludovico, per l'amor di Dio! Smettila di comportarti come il personaggio di un sonetto medievale, cerca d'essere felice!» 

Lui l'aveva ascoltata assorto e, tornando a casa, aveva decretato di lasciare Rafe e partire il giorno successivo per un lunghissimo viaggio. 

Socchiuse gli occhi stringendo nel pugno il messaggio giunto quel pomeriggio, il definitivo segnale divino che la decisione presa era quella giusta. 

Il suo maggiordomo gli aveva consegnato quel biglietto scritto in modo sgrammaticato, che apparteneva a un servitore del conte Durham. L'uomo gli ricordava che, anni addietro, lo aveva aiutato economicamente permettendo alla figlia, il suo orgoglio, di diventare un'ostetrica. Ora la ragazza era sposata, aveva un marito amorevole, tre figli e una casetta piccola ma molto carina. 

Tutto grazie alla generosità dello straniero italiano, ecco perché il domestico lo aveva messo al corrente di una conversazione ascoltata il giorno prima: il padre di Rafe aveva scoperto, grazie a un detective, la natura del suo rapporto con il figlio. Furente aveva deciso di denunciare Valguerra, sicuro che il primogenito non lo avrebbe ascoltato se gli avesse imposto d'interrompere quello scandalo di relazione. 

Dunque, il parentado di Rafe, avrebbe gettato tutti loro nel fango, piuttosto che fargli vivere la quella storia d'amore segreta... 

Ludovico spalancò gli occhi tornando a osservare la pioggia battente che sferzava la notte, con lo stesso ritmo violento del suo cuore e, senza pensare, gettò la missiva che teneva in mano ormai da un paio di ore, nel fuoco alto dell'ampio camino. 

La biblioteca profumava di pino a causa dei ciocchi che bruciavano, creando un rumore ipnotico che in genere lo faceva rilassare. 

Il conte aveva voluto creare, all'interno della dimora, un luogo dove potersi rifugiare. Una stanza in cui racchiudere ciò che amava, come i libri antichi e i classici greci o latini che facevano bella mostra di sé su una piccola libreria illuminata da diverse lanterne in ottone. 

Il resto dell'ambiente era stato arredato con due poltroncine in velluto color panna, ampi tappeti riccamente decorati, e un'immensa scrivania in mogano chiaro, massiccia, quasi minacciosa, dove scriveva e leggere per ore. 

Quell'ambiente lo aveva sempre protetto, ma non quella sera, non mentre, con il cuore in pezzi e la insana idea di desistere dal suo proposito, si avvicinava allo scrittoio per elaborare una lettera d'addio diretta all'uomo amato. 

Ludovico aveva stabilito di consegnarla al suo damerino la mattina successiva, poco prima di salpare per la Francia, così da evitare scene di collera o per non essere costretto a confrontarsi con lui... 

Non era certo di riuscire ad abbandonare Rafe se gli avesse parlato, così fuggiva come il codardo che era, sorridendo del fatto che tutti gli ripetevano che si comportava come l'eroe romantico di qualche tragedia... Mentre lui si sentiva solo un vigliacco e un mentitore, perché rinunciando a Rafe contravveniva a tutte le promesse, insultando e umiliando un rapporto puro e perfetto. 

L'aristocratico si ripeteva, per darsi coraggio, di non poter distruggere il suo adorato dandy trascinandolo nella vergogna, anche se ormai... 

Ludovico apparteneva a Rafe, come Rafe apparteneva a Ludovico.  

Vacillando afferrò una matita, con la speranza di riuscire a portare a compimento il progetto di lasciare Rafe. La mano gli tremava troppo per usare la penna stilografica, cosciente d'essersi trasformato in un bambino incapace di scrivere. Con la calligrafia più chiara possibile, trattenendo le lacrime, vergò le prime righe, fino a quando un forte rumore non attirò la sua attenzione. 

La porta del "nascondiglio" si spalancò all'improvviso e un infreddolito e fradicio Rafe entrò nella stanza, seguito dal maggiordomo imbarazzato.

«Mi scusi, signore... Non sono riuscito a...»

«Non fa nulla Byrne, lasciaci soli.» 

L'uscio si chiuse e i due fidanzati si fissarono silenziosi come contendenti, pronti a lottare per le rispettive posizioni.

Nel Corpo di Un Uomo ( un racconto di Ludovico e Rafe)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora