Capitolo sette

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Capitolo sette

Finalmente ero davanti l'enorme portone, volevo tornare indietro per l'imbarazzo.

Cosa ci faceva lì una semplice studentessa di Letteratura?

Se non fossi stata all'altezza di tutto questo?

Ho passato l'intera mattinata a cercare qualcosa di carino da mettere per un evento così importante; grazie all'aiuto di mia madre decisi di indossare una gonna a pantaloncino scuro con dei bottoni color oro ed un semplice maglioncino nero, che misi al suo interno e degli stivaletti neri in camoscio alti fino al ginocchio.

«Sei bellissima» disse mia madre mentre finiva di sistemarmi i capelli. Con gioia mi aiutò facendomi una treccia.
«Finalmente sono pronta!»
Finii con il mettermi degli orecchini che riprendevano il colore oro dei bottoni.
«Bambina mia andrà tutto bene, in bocca a lupo» disse mia madre passandomi il cappotto.
Mentre lo prendevo guardai mia madre ed istintivamente l'abbracciai a me.
«Grazie mamma» dissi lasciandole un bacio sulla guancia ed anche il lucidalabbra che misi.

Volevo tornare indietro per l'imbarazzo, ma per tornare indietro era troppo tardi.

Quando suonai il campanello mi accolse un cameriere al quale consegnai il mio cappotto e la borsetta. Mi incamminai verso la 'folla' e proprio lì trovai un volto amico: il mio docente di lettere. Non appena entrai lui si avvicinò sfoggiando un sorriso che ricambiai.

«Sapevo saresti venuta, mi fa molto piacere» disse pulendosi gli occhiali con il maglione.
«Il piacere è mio in verità» esordii guardandomi intorno.

Ero incantata da tutto: era il tipico posto dove erano presenti le classiche persone che sprizzavano cultura da tutti i pori: scrittori, poeti, letterati e docenti come il mio.

Mi si presentò un cameriere con in mano un vassoio pieno di bicchieri stracolmi di champagne, allungai la mano prendendo un bicchiere.

«Vieni, ora che si è liberato volevo farti conoscere il mio amico Richardson.»
Lo disse con una tale felicità negli occhi che la trasmise anche a me.
«Ehi, Carl Richardson» disse il mio docente con tono amichevole per poi allargare le braccia.
Il suo amico si fiondò felice tra esse.

«Che bello vedere un volto amico» dichiarò lo scrittore. «Volevo farti conoscere lei» disse il mio docente indicandomi; fui presa dall'imbarazzo tanto che sentii avvampare le mie guance.
«Signorina, io sono Carl Richardson» disse mentre mi tendeva una mano.
«Piacere, io sono Ivy Black» dissi stringendogli la mano. «Questa ragazza ha un talento Carl...»

Il mio docente iniziò a parlare del mio elaborato che secondo i suoi occhi era uno dei migliori che avesse mai letto; finimmo con il parlare ore ed ore non solo del mio elaborato ma della grande passione che ci accomunava per la letteratura, della passione dei figli del mio docente per le saghe fantasy e di tanto altro... quando guardai l'orario sgranai gli occhi perché mi ricordai dell'evento di pugilato dell'amico di Yoora.

«Vogliate scusarmi, ma per me si è fatto tardi» dissi sorridendo.
Gentilmente mi scortarono fino all'ingresso e quando uscii trovai nel telefono decine di chiamate da parte di Yoora.

Mi incamminai verso lo stadio, ringraziai mentalmente mia madre che aveva convinta ad indossare delle scarpe comode.

***

Avevo il fiatone e quando finalmente svoltai l'angolo vidi lo stadio feci un sospiro. Quando arrivai corsi subito in bagno, mi guardai allo specchio e mi sistemai un po' il trucco.

Uscita dal bagno notai Yoora che faceva la fila per i pop-corn.
«Yoora» urlai alzando una mano.
Quando lei finì di pagare si incamminò verso di me. «Scusami se ho fatto tardi ma l'incontro si è prolungato più del previsto» dissi facendo un sorriso malinconico. «Tranquilla Ivy» disse portando un pop-corn alla bocca.
«L'incontro deve ancora iniziare. Su, andiamo.»

Quando entrai notai l'enorme palco di pugilato tutto illuminato dai grossi fari; Yoora mi fece strada finché non ci dirigemmo nelle nostre tribune numerate. «Ciao!»
Salutai tutti i ragazzi e loro mi salutarono all'unisono.

Quando mi sedetti realizzai che lo 'show' stava per iniziare perché le luci si affievolirono, concentrandosi solo al centro del palco.
«Non ricordo bene chi è il tuo amico» dissi a Yoora avvicinandomi al suo orecchio perché c'era troppo baccano.
«Jaekwang. Non vi ho presentati?» mi urlò.
Io feci spallucce perché non ricordavo chi fosse.

«Benvenuti al ventunesimo incontro di pugilato» disse il telecronista. «Tra poco saliranno sul palco i nostri sfidanti, siete carichi?»

Quando smise di parlare, la folla urlò impazzita e io istintivamente mi girai verso Yoora, la quale sventolava il sacchetto di pop-corn come se fosse una bandiera. Ridetti divertita per quella scena portando le mani sul volto.

«Ecco a voi il campione Joo Jaekwang!»
Quando pronunciò il suo nome tutta la folla si alzò e poco dopo lo vidi raggiungere il palco.

Notai un ragazzo dai capelli neri mossi, che cadevano bagnati sugli occhi; in quel momento ricordai la descrizione di Yoora: "ed infine il misterioso e solitario Joo Jaekwang".

«Ed il suo temuto avversario, lo statunitense Oscar Scott!»
Quando entrò l'americano notai immediatamente la differenza di corporatura tra i due avversari. Jaekwang fisicamente non aveva nulla fuori posto se non quei capelli mentre il suo sfidante era più mingherlino e basso di lui.

«Che vinca il migliore!» concluse il telecronista, mentre passava una ragazza sventolando un cartellone che comunicava l'inizio del primo round.

I due concorrenti andarono rispettivamente nei propri angoli; misero il caschetto, i guantoni e il paradenti. Iniziarono a darsi qualche gancio, ma Jaekwang, che aveva dei movimenti veloci e fluidi, iniziò a colpire l'avversario come se sapesse già quali fossero i suoi punti deboli.

Passai la maggior parte del combattimento a guardare la partita con le mani davanti al viso, perché con il passare dei round iniziò il vero combattimento, tanto che vidi volare del sangue dalla bocca sia di Jaekwang che del suo avversario.

«Il vincitore è...»
Il telecronista impugnò le mani di entrambi ed alzò quella di Jaekwang per segnare la sua vittoria.

Istintivamente mi alzai anch'io per la felicità.

Tutti raggiungemmo l'uscita, subito dopo ci raggiunse anche lui; i suoi amici andarono a congratulandosi, io non sapevo che fare, mi sentivo di troppo, e scesi le scale che separavano l'ingresso dello stadio dalla strada.

«Aspetta...»
Sentii una mano posarsi sul mio braccio, istintivamente guardai la mano; corrugai le sopracciglia e dopo aguzzai gli occhi alla vista di quei tatuaggi.
Alzai lo sguardo incontrando i suoi occhi... indietreggiai portando una mano sul punto in cui mi aveva afferrata.
«Eri tu?»

Black SwanWhere stories live. Discover now