Capitolo dodici

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Capitolo dodici

«Signorina Black...»
Udii da lontano una voce chiamarmi non appena terminai di scendere gli scalini della biblioteca.
Finalmente avevo consegnato tutti quei libri polverosi di storia. Nel momento in cui posai sul bacone quella pila infinita di 'Date, Nomi, Bolle papali, Trattati, ecc....' fu come se mi fossi liberata da un enorme peso che mi aveva tor- mentata per un'intera settimana.

«Signorina Black!»
Sentii nuovamente gridare il mio nome; mentre chiude- vo il mio zainetto alzai lo sguardo e fui felice di vedere il docente Dawson alzare una mano.
«Professor Dawson!»
Lo raggiunsi.
«Signorina Black, la stavo cercando» disse con aria stanca portandosi una mano sul fianco.
Lo vidi fermarsi e fare un lungo respiro.

«Mi dica, è successo qualcosa?» intervenni quasi impaurita per via dell'affanno.
Era una persona di una certa età, lo si poteva intuire dai capelli e dalla lunga barba grigia.
«No signorina Black» disse prendendo fiato e sorridendomi, «vorrei parlarle in privato.»
A quelle parole fui sorpresa, tanto che corrugai le sopracciglia.

Cara Ivy, cos'hai combinato stavolta?

Mi fece accomodare nella sua aula chiudendo la porta alle mie spalle e felice si incamminò verso la cattedra cercando qualcosa all'interno della sua ventiquattrore.

«Il motivo per il quale l'ho chiamata è questo...» disse felice trovando un pezzo di carta malconcio. Cercò di stirarlo con le mani pressandolo sulla cattedra.
«Si ricorda del mio amico Carl?»
Mi guardò come se già avesse capito che non ricordavo minimamente chi fosse.
«Settimana fa le presentai uno scrittore...»
Non appena parlò ricordai benissimo di quella sera; ma certo, Carl Richardson il famoso scrittore.

«Certo! ora ricordo.»
Sbadatamente portai una mano in fronte.
«Oggi pomeriggio hai un colloquio con lui.»
Rimasi a bocca aperta.
«Io... cosa?» dissi poggiando una mano sulla cattedra per sorreggermi; lui mi passò il pezzo di carta sgualcito. «Qui c'è la via dove si deve recare. In bocca a lupo signorina Black.»

Attonita, guardai il foglietto, poi alzai lo sguardo verso il mio docente.
«Su vada, non faccia tardi.»
Mi fece l'occhiolino gesticolando affinché andassi via.

Cara Ivy, chiudi quella bocca e corri, oppure vuoi restare ancora lì impalata come una stupida?

Arrivata a casa, come un fulmine mi fiondai in camera mia; mi spogliai dei miei vestiti gettandoli un po' ovunque. Entrai in bagno per darmi una rifrescata veloce e con ancora lo spazzolino in bocca aprii l'anta del mio armadio.

"Come ci si veste per un colloquio?" pensai.

Era la prima volta che facevo un colloquio con qualcuno, per un presunto lavoro. Corsi in bagno sputando nel lavandino, sciacquai per bene, picchiettai con l'asciugamano le labbra e fissai l'armadio.

«Ivy, tutto ok?»
Da dietro la porta sentii la voce di mia madre che, dopo qualche secondo, entrò con uno strofinaccio tra le mani e con una faccia spaesata.
«Mamma ho un colloquio. Come ci si veste?» chiesi mentre per il nervoso mi mangiucchiavo le pellicine.

Alla fine, dopo i vari consigli di mia madre, optai per un pantalone nero semplice a vita alta, una camicia nera con dei piccoli disegnini e un paio di decolté con il tacco bas- sissimo quadrato color carne. I capelli li lasciai al naturale, portandoli semplicemente dietro le orecchie; mi truccai un po' di più valorizzando l'azzurro dei miei occhi e le labbra carnose.
Presi il mio cappottino lungo nero e la borsetta, ed uscii di casa.

Black SwanWhere stories live. Discover now