Lo specchio dei personaggi

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Takao allontanò la tazzina dalla bocca. Se non doveva darsi pace fin quando non avesse posto quell'ustionante domanda al barista, allora tanto valeva che gliela la formulasse subito. Sentiva i raggi del sole passare attraverso le vetrate della tavola calda e sfiorarle la schiena, e questo le metteva ansia.

«Qua dentro non c'è niente con cui possa suicidarmi, giusto?»

Il barista, un uomo sulla cinquantina con un paio di guance gonfie, smise di lucidare una coppa per il gelato.

«Non capisco il senso della sua domanda.»

Takao scrollò le spalle, poi prese un altro sorso di caffè. Non aveva bisogno di voltarsi per sapere che il tramonto si stava avvicinando. «Dico che non c'è nessun oggetto veramente affilato, e lei non mi ha mai staccato gli occhi di dosso.»

Lui, come per contraddirla, girò lo sguardo sul lungo mobile alle sue spalle. Entrambi erano fatti di una materia vecchia, ma passata attraverso la storia sorretta da abili mani, tanto che ora, circondati da tazze e piatti, facevano ancora la loro bella figura.

«Ancora non ho capito il senso della sua domanda.»

La ragazza accarezzò le pagine del piccolo libro che aveva appoggiato sul bancone. Aggiustò un ciuffo del caschetto parigino e scosse la schiena. Desiderava aspettare un altro po', ma aveva già aspettato molto, troppo.

«Lei legge il giapponese?»

«Anche questa domanda non mi sembra sensata.» rispose lui, più rapidamente.

«Pazienza.» sospirò la giovane facendo scivolare il libricino sul pannello in legno. Numerosi ideogrammi erano allineanti con la cura di una stampante.

L'uomo appoggiò la coppa lucidata accanto a dei bicchieri, poi lanciò una rapida occhiata alle scritte. «Credevo fossero degli appunti di magia che avevi preso a scuola. Qual è il senso di prendere un libro se tanto non lo possiamo leggere. Spero che tu non lo abbia pagato.»

«L'ho fatto.» confermò lei, guardando il suo riflesso nel caffè.

Il barista contorse il viso in una smorfia di rimprovero. Lanciò lo straccio nel lavandino e appoggiò le mani sui fianchi.

«Senti, hai mangiato il mio cibo, perciò diciamo pure che siamo in confidenza. Mi chiamo Tozen. Perché mai ti è venuto in mente di comprare un libro?»

Non ricevette risposta. Takao si voltò verso i raggi del tramonto e li osservò finendo il proprio caffè. Ecco, lo sapeva. Tutte le ragazze di questo mondo volevano leggere libri, bere caffè e sedersi con le gambe incrociate sulle sedie. Per non parlare della loro fissa di indossare maglioni, nonostante non fosse inverno da anni, e appendere le loro cartelle ovunque, anche se potevano lasciare gli appunti negli armadietti a scuola.

Takao tornò rivolta verso l'uomo, ancora corrucciato. Stava per aprire bocca, quando l'immagine sullo schermo installato fra il mobile da bar e una parte, cambiò. Il menù, scritto in italiano a mo' di gesso sulla lavagna, lasciò il posto alla telecronaca in inglese dei fatti del giorno. Cose ordinarie, il petrolio che saliva, la borsa che scendeva, i lingotti di arkaerum comprati in massa, il numero dei morti. Quando lei era piccola segnavano anche il numero di nati, ma ormai era inutile.

Tozen si grattò un orecchio tornando alla sala. Adesso, la ragazza aveva un'espressione molto più seccata. Si mordeva il labbro color pesca guardando lo specchio appeso al muro alla sua destra.

«Si sa com'è... di là?»

Lui riprese a pulire un bicchiere, e il sorriso gli tornò sul volto. La pila alla sua sinistra ne comprendeva almeno ventiquattro, doveva essere passata una famiglia.

«Sì. È una fortuna che abbiamo scoperto quel passaggio, se vuoi la mia opinione, senza saremmo stati con l'acqua fino alla gola. Ma da qua a là le persone viaggiano senza poter tornare indietro, per questo viene conservato solo per i casi come il tuo. Ma le onde elettromagnetiche scivolano che è una meraviglia da questa parte e dall'altra, perciò abbiamo tutto. Foto, video, documenti e altro sulla Terra.»

Lei arricciò il naso. «E com'è, di là?»

Guardò il suo riflesso in una pila di pentole sporche appoggiate sul bancone. Avrebbe avuto sempre quella faccia, sulla Terra?

«È un mondo simile a questo, ma dove possiamo leggere libri in italiano e qualcuno conosce il giapponese. Povera ragazza, iniziare a disgregarsi così presto.»

«Massì, massì. Sempre meglio che vivere in un mondo che scompare. E poi potrò leggere molti libri, e sentirò tutto più coerente. È così fastidioso avere un nome così diverso dalle parole che uso.» Detto ciò si alzò in piedi, recuperò il libro e armeggiò con i lacci dello zaino per aprirlo.

Tozen lo osservò arricciando le labbra. «Penso che l'autore avesse una certa ammirazione per la lingua giapponese.»

«Forse.»

Come attirata da un improvviso magnetismo, Takao raggiunse lo specchio. La superficie le sembrava normale, inquietantemente comune, ma non si azzardò neanche a sfiorarlo.

L'uomo appoggiò di fretta il bicchiere. «Vuoi già la scala per attraversarlo?»

«No no, aspetto. Senti, che ruolo hai tu, nella trama? Non dico adesso, faccio quando ancora non ci aveva mollati.»

«Dovevo essere l'antagonista. Accogliere gentilmente l'eroe per poi tradirlo verso la fine. Tu?»

«Io? Io ero il narratore.»

«Ah.» Tacque.

«Le cose peggioreranno molto quando me ne andrò.»

«Vuoi la scaletta?»

«Credo di sì.»

Tozen corse nello sgabuzzino accanto.

«Avevi già ucciso molta gente, quando ci ha lasciati andare?» parlò lei, alzando il tono perché lui la sentisse.

«Non me lo ricordo.» gridò l'uomo dall'altra stanza.

«Probabilmente stai iniziando a disgregarti. Dovresti passare anche tu.»

Lui arrivò, senza portare una risposta.

«Guarda che non puoi punirti per l'idea che qualcun altro aveva di te. Ah. C'ha, passami lo zaino, tirarla lunga non serve a nessuno.»

Conclusa la sua vita lì, Takao attraversò lo specchio senza esitazione.

I racconti oltre lo specchioWhere stories live. Discover now