Asimmetria

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Se c'era un cosa sicura riguardo l'andamento del mondo, era che questo fosse caratterizzato dalla sproporzionalità, e se la felicità era possibile, la sua fonte aveva tana nell'asimmetria.

Per essere più felice Aurora cercava di lasciar perdere il mondo e tutte le speranze che gli altri potessero avere. Buttarsi in ginocchio sull'asfalto urlando che l'essenza dell'essere umano era la più bella e la più fragile, supplicando i passanti di riconoscere i desideri dei propri compagni di pena, non aveva mai aiutato nessuno.

Mancavano tre notti.

Alba adorava passeggiare con Aurora. La rincorse la mattina dopo la terza notte, lagnandosi perché prendesse la sua mano di bambina nella sua di ragazza, e le raccontasse cose che non voleva sentire. Aurora la inquietava e, allo stesso tempo, l'attraeva. Il suo cuore era pieno di tutti quei valori che le maestre tentavano di spiegarle a scuola, ma era certa che lei non li avrebbe recepiti come gli altri. Se i suoi compagnetti subivano i lunghi discorsi degli insegnanti o prendevano appunti ansiosi di diventare un giorno come gli eroi della patria, Aurora avrebbe trovato tutto questo superficiale. Lei li avrebbe compresi, forse compatiti, indovinando anche la corolla attorno al pistillo della morale.

«Tutto è un misto. La felicità, la rabbia, la pietà e la saggezza sono ritagli diversi di una stessa tela.» le diceva, e Alba si chiedeva che destino avessero gli avanzi lasciati senza forma.

La guardò con il sorriso ebete che aveva imparato a modellare in quanto bambina. La semplicità dell'outfit della ragazza era nobilitata dai dettagli degli indumenti. Il blu dei jeans sfumava nel celeste accanto alle cuciture, e poi si immergeva nell'oltremare delle pieghe. La suola degli scarponi era alta, divisa in più blocchi, sui quali erano state intagliate file di finestre. Sembrava che ad ogni passo schiacciasse una metropoli di gomma nera. La giacca era un arazzo di trecce color crema, sul petto era ricamata un'opera esposta al Museo di Arte Postbellica di Splendor. I suoi occhi erano scuri quanto i riflessi degli edifici nelle pozzanghere. Non sapeva come, ma aveva la certezza che in qualche maniera avessero a che fare con la città schiacciata ai suoi piedi.

Scese la seconda notte.

Aurora era l'unica a passeggiare in quell'ora del buio. Splendor, tutto sommato, era un bel posto. La pace aveva fatto costruire ampi parchi e lunghi viali di mattonelle levigate. Il lungolago profumava di silenzio. Un lampione splendente, alto nel cielo, faceva strada allo sfarfallio di stelle morenti. L'inchiostro le mangiava, e loro lo costringevano a vomitarle. Una sequela di panchine era rischiarata da lune verdi incastrate su un palo. Il mondo si stava sfacendo, ma non le importava. Aurora guardava al suo di mondo, e quello stava finendo.

Era alla seconda decade della sua vita, aveva sfrecciato sulle auto, baciato e morso. I suoi compagni di sventura dicevano di ricercare la morte, perché nell'estasi del rischio si sentivano vivi. Ma lei, nello sforzo della vita, si sentiva morta. Il lontano orizzonte azzurrino indicatole dalle panchine marciava inesorabilmente verso la sua anima angosciata. Nel laureasi, nel partorire, nella bellezza degli eventi, vedeva il tempo scorrere. Aveva ancora una vita lunga, ma più brave, sempre pi breve. L'ansia non le lasciava la gola, in quella notte pacifica.

Arrivò l'ultimo giorno. Metà dei quadri nel Museo erano scomparsi. I rettori di facoltà noiose all'università erano svaniti. Da un giorno all'altro un calcinaccio poteva caderle in testa e lei morire. Ma in quanto personaggio abbandonato, la sua fine sarebbe stata un'altra. L'autore aveva scacciato in un angolo della propria memoria una trama che non lo soddisfaceva più: la vita in cui Aurora si era tanto impegnata. Doveva salvarsi prima che l'asimmetria dell'autore la schiacciasse.

Sorse l'ultima notte. Andò sul lungolago, la piccola Alba che le trotterellava accanto. L'afferrò il parapetto. La sproporzione è tanta fra l'inventore e l'invenzione, ma anche gli umani oltre il patto narrativo hanno una certa dose d'impotenza, e questo lei lo sapeva. Quando un autore inserisce in un libro qualcosa carico dei sentimenti che l'oggetto gli ha lasciato nella realtà, questo diviene una sorta di portale fra i due mondi. Non tutti i personaggi lo sanno, e tanti erano i suoi fratelli caduti nelle mani di architetti svogliati.

Ma lei era stata progettata con cura, e si sarebbe vendicata. Salì sul parapetto, perché in quella storia non c'era nessun oggetto reale. Solo tante piccole scintille in ciascun elemento, tante piccole sensazioni che lo scrittore aveva riportato in ciascuna cosa descritta. Guardò l'acqua del lago farsi profonda come il cielo, rendersi uno specchio dei suoi desideri. Le panchine si ridussero al loro scheletro di idee, i lampione vibrarono di luce verde.

Era l'asimmetria che l'avrebbe salvata: il sacrificio di tutti per lei. Sorrise ad Alba. Il suo creatore, in fondo, era stato bravo. Dopo tutta la saga aveva immaginato di dare alla sua civiltà una figlia simbolica, una speranza nata dalle sue sofferenze. Avrebbe spremuto fino all'ultima goccia di realtà fuori da lei.

L'orizzonte tremò, il lago si fece piatto. Lo specchio che nella mente dell'autore aveva trasformato la realtà in finzione si era infranto. Saltò dal parapetto e ci raggiunse, felice.

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