Ismira Senzanima

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Ismira non sapeva molto sul mercato di Sarèt, se non che fosse illegale. La famiglia che la ospitava come cantastorie era "perbene", perciò fu molto attenta a inventare una scusa per portarvi il loro figlio Jim. Infilò le babbucce, strinse la fascia in seta turchese attorno alla vita e lasciò l'abitazione.

«In realtà, sono piuttosto curioso di vedere le donne 'lkere andare in estasi.» commentò lui mentre attraversavano la strada, i suoi capelli biondi appena mossi dal vento.

«Te lo ripeto un'altra volta.» Ismira agirò l'indice color ambra in aria con fare esperto. «Niente droga, niente alcol, mangia solo cibi che conosci e non dire il tuo nome in giro.»

Lui rise, ma in realtà il mondo del quartiere di Sarèt lo spaventava. Era una zona diversa dal resto della capitale Venere.

Uno tremando e l'altra fervendo di curiosità, raggiunsero il luogo da secoli simbolo dell'immigrazione nel regno orientale. Le strade si fecero più stette, fino a trasformarsi in vicoli. Disegni negli stili più esotici decoravano lo stucco di bassa qualità delle pareti.

Jim si strinse contro la ragazza, ma presto venne trascinato via da una folla di immigrati acuari, yastan, ubeni dell'est, livi, tinari dell'impero di Gira e del principato Waqqo, koul, mulatti del bassopiano più a sud di Verea.

Il mercato era festa. Musica ritmata sorgeva spontaneamente dagli artisti di strada. I drappi scarlatti e celesti tesi fra gli edifici coloravano la luce che raggiungeva la folla. Dalle sale del tè un aroma pungente completò il mosaico di sensazioni ipnotizzanti.

Ismira sapeva di aver fatto la scelta giusta a venire. Uomini kuol contrattavano con i loro turbanti bianchi. Comprò da uno di loro un dolcetto liveo e lo regalò a uno stregone che le lesse la mano. Guidata dalle grida di venditori abili acquistò anche un anello contro l'infertilità, un bracciale per il coraggio e un profumo carico di spezie dolci. Una pesca arrostita, quasi regalata da un giovane inginocchiato fra le bancarelle, sarebbe stata il suo pranzo.

Prima di consumarla la appoggiò al tavolo di una cartomante per aggiustarsi la fascia alla vita. Strinse il nodo e la agitò come una coda. Raccolse il suo frutto cotto e proseguì soddisfatta. Sapeva di manioca.

Quel giorno sarebbe stato una grande fonte di esperienze, perfetto per la sua anima. Dall'inizio del suo viaggio aveva preso l'abitudine di acquistare un braccialetto in tutti i luoghi che avesse visitato, e il sonoro tintinnio non poteva darle che piacere. Si disse che oggi ne avrebbe acquistati due, tanto, metà del mondo pareva incontrarsi a Sarèt.

Nonostante la povertà e le demolizioni, lo spaccio e la prostituzione, quello era un posto dove chi arrivava trovava un tessuto sociale pronto ad accoglierlo. Il costo stracciato di un sottoscala nei mille ostelli della zona, le cavallette arrostite a mezza moneta, le macellerie tinari con le uova e gli occhi di serpente il salamoia, per molti significavano casa.

Jim non poteva essere più lontano dai suoi pensieri quando raggiunse una piazzuola con un palchetto in legno riciclato. Affascinata, si fermò. Suonavano i Folo Dispersion di Uben City. Dalle loro nacchere sgorgava un ritmo irresistibile, dai loro flauti una melodia trascinante. Danzò come tutti: alla maniera del proprio paese.

Udì un grido, ma non ci badò. Una donna koul si agitava convulsamente, tanto che gli amici furono costrette e slegarle il bambino dalla schiena. Un'altra prese a piegare la schiena avanti e indietro. Dal palco, un uomo con un tatuaggio sul naso, fece cenno alla folla di portarli sopra da loro. Lì continuarono ad agitarsi a un ritmo sempre più rapido, finché i loro turbanti non esplosero di una cascata di capelli e pagliuzze. La musica li aveva posseduti.

Poi altre persone, anche giovani dai capelli biondi come Jim, vennero sollevate sul palco. Ismira trattenne il respiro, assorta dall'evento.

La musica finì e i ballerini scivolarono a terra. I loro occhi erano socchiusi, le loro pupille dilatate, i muscoli morbidi, l'anima altrove. Prima che l'incantesimo uscisse da Ismira col fiato una donna le mise le mani sugli occhi.

«Vuoi sapere dove sono andati quei koul?» domandò con accento yasan.

Lei non resistette alla curiosità.

«La dolce ebbrezza delle nacchere ci riporta a casa. A quella che tutti abbiamo avuto, ma che nessuno ricorda. Esiste una patria comune a tutti gli uomini, oltre il mare delle anime. Sulle nuvole si trova un villaggio con una grande piazza. È da lì che tutti veniamo.»

Quando lei tolse le mani Ismira riusciva ancora a vedere la grande piazza al centro del mondo. La donna stava ridendo. «"Yasan" significa "viaggiatore". Tutti quelli del nostro popolo sono esperti nel guidare le persone in quel posto, anche solo per un momento.»

Indicò le persone sul palco, ancora arrossate. «Questa musica serviva a sfogare l'ansia. Se ti mostrassero la loro anima adesso questa sarebbe azzurra come prima.» Senza esitazione alzò la camicia dalla pancia, mostrando un cerchio giallastro che brillava attorno all'ombelico. «Spero che fra poco cambino ritmo, ho i miei mali a cui pensare. E tu, ragazzina, perché sei qui?»

Ismira scoprì la pancia a sua volta. «Vede, signora, io non ho un'anima. Non so perché, ma sono nata senza.» Accarezzò la fascia turchese attorno ai fianchi. «Per questo sto viaggiando. Secondo i saggi, tutte le mie esperienze si condenseranno in questo drappo, e alla fine otterrò la mia anima.»

La yasan non fece in tempo a risponderle che un grido attraversò la folla. Una fiumana si persone fuggì attraverso i vicoli, dimenticando le cose che si era sforzata di vendere con tanto impegno. Ismira corse dietro al palco. Fra l'impalcatura vide i soldati sparare colpi in aria per disperdere i musicisti.

Indietreggiò. Urtò qualcosa. Si voltò e mise una mano sulla bocca e una sul collo del ragazzino. Era Jim. Lo lasciò.

«Ismira. Dobbiamo andarcene.» bisbigliò.

«Sì. Adesso parto. Addio Jim.»

«Cosa stai dicendo?»

La ragazza gli indicò la cintura. «Una donna yasan mi ha parlato di una piazza oltre un mare di anime. Sento che se compirò quel viaggio, alla fine otterrò la mia anima. Jim, devo andare.»

Lui era confuso. «Ci lasci così?»

Lei sorrise. «Sì. Non posso restare Ismira Senzanima per sempre. La prossima volta che ci vedremo avrò un altro nome. Te lo prometto.» Congiunse le mani davanti al petto e si inchinò, poi corse via.

Jim restò ancora un momento ad osservare la schiena della ragazza alla ricerca della propria anima.

I racconti oltre lo specchioWhere stories live. Discover now