Jey Summon

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Jey stropicciò le fibre vegetali del cappello alla marinara, noncurante di rovinarlo troppo. La sua immagine intubata in un vestitino bianco era già abbastanza innocente così. Il dubbio, però, non la lasciava mai. Cosa vedevano gli altri di lei? Le Convers, i capelli castano chiaro. Forse era una straniera.

Desiderò di poter lavorare ogni giorno senza che questo fosse un problema, come a casa sua, dove tutto era un'agonia, a parte il colore delle sue ciocche.

«Ti prego.»

«Sei già sceso così in basso?»

Deglutì, non doveva attirare l'attenzione. D'istinto girò il collo verso destra, ma al primo movimento del suo riflesso tornò al finestrino alla sua sinistra, appena sopra lo schienale.

«Guarda, Gerth.»

Indicò con l'unghia limata la distesa marina sopra cui le carrozze correvano. Intravedeva già le casupole attorno al porto, circondate da bassi arbusti odorosi. Il sole, prossimo all'orizzonte, era un'unica palla di ardente noia.

«Quando me ne andai diceste tutti che sarei tornata il giorno dopo, piangendo. Guarda quanta strada hai dovuto fare, prima che io sparisca per sempre. Per voi, almeno.»

Gli occhi del ragazzo si inumidirono. "Gli mancherò sinceramente", sospirò Jey, "che peccato".

«Hai trattato i tuoi genitori come se con la tua famiglia non potessi avere un futuro! Ti sembra poco, tutto quello che ti hanno dato? L'istruzione che hai avuto, le principesse, se la sognano. Non ti è mai mancato nulla.»

«N-non mi importa.» Inclinò il mento verso il petto. Ancora il suo riflesso si mosse, e lei lo ignorò. «Io voglio di più. Per me e...» Si accarezzò la pancia. «Be', chiunque sia.»

Gerth sembrava sul punto di esplodere. «E il giorno in cui non gli andrai più comoda? Cosa farai?»

"Quello non è un finestrino", constatò Jey, "è un magnete."

«Lo ucciderò.» Torse il cappello, tanto erano gli unici sulla carrozza.

Gerth lasciò cadere le spalle sullo schienale. Era sull'orlo del pianto. «Non mi hai detto niente.»

Jey sentiva che le sue spalle si sarebbero trasformate in marmo da un momento all'altro. «Manca poco alla stazione... tanto non ci rivedremo più.»

«Questo è il punto! Tutti questi anni, non credi valgano almeno un addio?»

«Gerth, forse non ti è chiara una cosa. Io ti odio.»

Lui si rizzò. Lei, alla fine, aveva alzato lo sguardo.

«Fin da quando ero piccola sono sempre stata la brava sorellina del mio fratellone. Lui partecipava alla riunioni, lui avrebbe preso in mano la famiglia. Io ero la dolce gerarca esperta nel piano, tutta eccellente e intelligentissima, ma sempre ad utilizzare le mia capacità nell'ombra. Ormai è qualche tempo che gestisco i miei affari nell'ombra. Senza di me, il cognome Summon non avrà più significato. E tu. Mi hanno appioppato te perché mi facessi da piccolo servetto. Siamo stati amici solo fin quando i miei non hanno preferito perfino te, un sudicio topo preso dalla strada, alla loro figlia legittima. Sei troppo bravo a scacchi. O loro danno troppa importanza agli scacchi.»

Il disco rosso raggiunse lo specchio salino. Un flash dorato cristallizzò quell'attimo. Era su quel treno, la luce era fantastica. Tutto corrispondeva allo scenario che aveva progettato. Ma non era felice. Il dubbio la assillava sempre. Come la spuma di mare vedeva lei?

Si guardò le mani. Aveva già ucciso, era il caso di sbarazzarsi della sindrome della "Brava bambina". Guardò il suo riflesso nel finestrino accanto, che aveva ferito più di lei. Provò un'inebriante sensazione di liberazione quando gli mise le mani al collo e lo schiacciò sul legno della panca. Finalmente coincideva con sé stessa.

Sorrise. Guardava la sua immagine negli occhi vuoti del ragazzo e le diceva: "Ti ho scoperta, me stessa. Ora sei libera di andare."

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