capitolo 14

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“Andiamo?” domandò Gabriel avvicinandosi.

“Aspetta, vado un attimo a pettinarmi” risposi, e andai in bagno. Mi accorsi subito che ciò che indossavo non era molto coordinato, quindi, andai in camera e mi misi un paio di jeans, una felpa leggera grigia e mi infilai le mie amate converse. Tornai in bagno e mi pettinai, lasciando i capelli neri ondulati sciolti. Scesi giù e Gabriel era seduto sul divano.

“Finalmente, insomma ti dovevi solo pettinare èh!?” ridacchiò e poi si alzò dal divano, spengendo la tv. Presi le chiavi di casa e il cellulare, li infilai in tasca, e poi aprii la porta. Era tarda mattina ormai. Il sole splendeva nel cielo e non c'era nemmeno una nuvola. Tirava un po' di venticello, ma non dava molto fastidio. Non c'era anima viva, solo qualche signora anziana con il suo marito. Sicuramente si stavano dirigendo in chiesa per la messa, essendo quasi le undici e domenica. Gabriel mi prese la mano e incominciammo ad avviarci al parco.

“Quando hai la prossima partita?” domandai per parlare un po'.

“Prossimo sabato” annuii. Proseguimmo la passeggiata in silenzio, sempre per mano. Dopo dieci minuti arrivammo al parco.

“Vieni, ti faccio vedere un posto segreto a me molto caro.” mi disse, tirandomi la mano di scatto in una direzione. Stava correndo così veloce che facevo fatica a starli dietro. Ad un certo punto mi trovai in una parte del parco in cui non ero mai stata. Di fronte a me c'era un bosco buio, a causa degli alberi molto alti e grandi che facevano ombra.

“Vieni?” domandò.

“Sisi..” così lo seguii, e ci avventurammo dentro il bosco. C'era un fortissimo odore di pino e di quercia. Notai che molti alberi erano caduti, ceduti dalla costante pioggia della settimana scorsa. All'improvviso mi prese i fianchi e mi butto sulla sua spalla.

“Cosa fai?” chiesi ridendo e tirandoli piccoli pugnettini sulla schiena.

“Ci sono molti alberi da scavalcare” mi spiegò, proseguendo la camminata.

“Guarda che sono capace di scavalcarli anche da sola!” urlai ridendo.

“Shhh! Tanto siamo quasi arrivati culona!” disse, e mi tirò una sculacciata sul sedere. Io ricambiai tirandogliela una più forte sul suo. Rise e io mi arresi, alzando la testa per guardarmi attorno. Poco dopo mi posò a terra. Mi riaggiustai un po' i vestiti stropicciati e appena tirai su la testa rimasi perplessa. C'erano tre robuste quercie, il quale i loro rami molto grandi erano intrecciati fra loro, formando quasi un pavimento perfetto. Su essi c'era una casa costruita in legno e per arrivarci c'era una scala a chiocciola scavata in una delle tre quercie. Vicino alle scale, c'era un tavolino e due panchine, anche essere in legno. Sembrava di essere dentro a una fabia, in quei posti magici, surreali.

“Wow...” sussurrai. Mi giravo in torno, per catturare ogni singolo particolare di questo luogo.

“Stupendo èh!” disse Gabriel, orgoglioso di questo posto.

“Ma, chi l'ha fatto? Tu? Da solo?” domandai, ancora stupefatta.

“L'abbiamo costruito io, Jack e mio padre. Io e Jack avevamo sei anni, stavamo giocando nel parco, e in qualche modo ci ritrovammo qui. Quindi tornammo indietro e andammo a chiamare mio padre. Lo portammo lì e decidemmo di costruirci un rifugio segreto, infatti io e Jack venivamo spesso qua a giocare.” mi spiegò. Annuii.

“Ma come fai a conoscere Jack? Lui sta in centro” chiesi.

“Prima, da piccolo, abitava qua, poi si è trasferito là prima di compiere sedici anni, e poi dopo due mesi è successa quella cosa ai suoi genitori, se ti ricordi”

“Aaah, capisco” dissi.

“Bhé, vuoi salire?” fece un gesto verso le scale a chiocciola.

“Lo chiedi pure?” corsi verso le scale, le salii velocemente, facendo attenzione a non sporgermi troppo per non cadere e appena arrivai davanti alla porta di legno di fronte a me, afferrai la maniglia fredda. Aprii lentamente la porta. C'era un piccolo divanetto rovinato e un piccolo tavolino di plastica affiancati a una parete. Era pieno di giochi da ragazzi. Al muro erano appesi poster, alcune foto di lui e Jack travestiti da pirata, il gioco delle freccette e altre cose varie. Entrai e incominciai a osservare ogni particolare di questa casetta. Mi fermai ad guardare meglio una foto.

“Passo molto tempo qui” disse Gabriel, abbracciandomi da dietro e appoggiando il mento sulla mia testa.

“Dove eravate qui?” domandai, puntando la foto.

“Lì Jack compieva otto anni, e avevo organizzato una mini festa a sopresa per lui. Come regalo gli ho regalato un pallone diviso a metà. Da una parte c'è il mio nome e dall'altra il suo. Lo so è un regalo un po' strano” rise a quel ricordo.

“No, invece è molto significante.. È personalizzato” dissi. Poi mi girai verso di lui e sorrisi, lui ricambiò. Mi sollevò, andò verso il divanetto, e mi appoggiò su esso pian piano, con il suo sguardo dritto nel mio. Il divanetto era troppo piccolo per noi, ma non mi importava, mi interessava solo guardare con attenzione quegli occhi stupendi. Il verde era diventato più presente in essi, il marrone circondava solamente le pupille, per formare un contrasto incredibile. Quegli occhi, quegli occhi mi facevano capire che lui mi amava davvero. Quegli occhi mi davano sicurezza, mi facevano capire che mi dovevo fidare di lui. Quegli occhi, chissà cosa avranno mai visto. Occhi diversi da tutti, che ti mozzavano il fiato. Ti trascinavano dentro un vortice, un vortice che non aveva una fine. Con la consapevolezza che non saresti sopravvissuto a lungo. Sentii un rumore provenire dalla porta, ma non riuscivo a staccarmi da quelle due pupille, ormai il vortice mi aveva intrappolata.

“Che coglio...” mormorò Gabriel. Mi lasciò un bacio veloce, poi si alzò di scatto, per andare a vedere chi era. Ero ancora incantata, non riuscivo a muovermi e non so il perché. Gabriel aprì la porta e sbucò Jack.

“Wee! Bella gente!” urlò, spalancando la porta mezza aperta.

“Bada chi si vede!” si scambiarono delle pacche sulla schiena, come si fa tra amici maschi. Mi sistemai la maglia, mi alzai e corsi verso di loro, buttandomi addoso a Jack per abbracciarlo. Per me lui è come un fratello, non so come descrivere il bene che gli voglio. Gli stampo un bacio sulla guancia.

“Visto? Preferisce me a te!” disse Jack a Gabriel, facendoli la lunguaccia. Gabriel lo fulminò con lo sguardo. Incominciai a ridere.

“Quanto siete scemi..” dissi. Dietro Jack sbucò Denisa, con una faccia impressionata.

“Hai visto un fantasma per caso?” domandò Gabriel. A tutti e tre scappò una risatina, la sua faccia era troppo forte.

“No, questo posto.. Come cazz..”

“Ti abituerai presto” disse Jack, dandogli un piccolo bacio.

“Comunque, lo sai che sono arrabbiata con te?!” disse Denisa incrociando le braccia e guardandomi male. Era molto brava a nascondere le emozioni a gli altri. Ma io capivo quando era veramente arrabbiata con qualcuno, o fingeva, e in questo caso, è proprio la seconda, quindi non era una cosa grave.

“Per cosa?” domandai, fingendo di sentirmi offesa.

“Sei andata via dalla festa ieri! Non mi hai nemmeno salutata o avvertita! Poi lo sai che era molto importante per me quella festa!” urlò, gesticolando come una matta.

“Quello s'era capito.. Era tipo un mese che non parlavi d'altro” disse Gabriel. Gli tirai una piccola botta sul braccio. Lui mi attirò a sé, mettendomi un braccio attorno alle spalle.

“Scusa, mi dispiace. Non stavo tanto bene, e non ti trovavo quindi sono tornata a casa” spiegai, anche se non era vero.

“Va bene, va bene..” disse lei, arrendosi al mio labbruccio che stavo favendo per convincerla. Ci abbracciammo.

“Bene, che facciamo?” domandai.

....

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