PARTE I - L'ACCADEMIA.

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01. 

Taehyung

Neanche ricordo l'ultimo giorno in cui la mia mente ha elaborato un pensiero felice, ma so che da qualche parte una luce fioca e tenue sta nutrendo il piccolo me del passato: una spugna che ha assorbito troppe emozioni insieme e non ha riconosciuto quali doveva custodire e quali strizzare via.

Cominciò tutto da mio padre, fondatore dell'Accademia più famosa di Seoul, e dai miei due fratellastri: Jin, il violinista più apprezzato da ogni membro della famiglia Kim, e Jimin, futuro attore e interprete in ben tre lingue.

E poi c'ero io: l'unico di una lunga lista di familiari a non avere nessun tipo di talento nel mondo della musica e della recitazione, e questo mi provocò diversi danni. Non so come, ma più camminavo cercando di ricostruire un nuovo me, più mi facevo del male, e le scelte che prendevo erano una più letale dell'altra.

Fui leso diverse volte: prima dalla danza, poi dalla droga e dall'alcol. È così che si forma il carattere: basta una scelta sbagliata, uno stupido errore e il destino ti fa pentire amaramente di ogni tuo atteggiamento, desiderando soltanto di poter aggiustare le cose. Ma non tutto è riparabile, e a volte bisogna soltanto chiudere gli occhi, concentrarsi e lasciare che ricordi tacciano.

2012: l'anno peggiore di tutta la mia vita. Mio padre mi iscrisse a danza ben cinque anni prima, e credetemi se vi dico che all'epoca non c'era bambino più felice di me al mondo. Rimembro ancora quei sorrisi, così...limpidi, innocenti, splendidi.

« Buongiorno, Jimin! » urlai dalla cucina, spalmando su un paio di fette di pane tostato del burro d'arichidi. « Hai già fatto colazione? La nonna ieri ha portato anche la crostata!  » Jimin aveva sedici anni ed era il più grande, e per me non aveva un solo difetto.

«No, sto aspettando Jin per fare colazione al bar, e tu? » udii i suoi passi svelti dirigersi verso la mia posizione.

« Aspetto papà, sta scendendo »

« Allora ci becchiamo all'Accademia più tardi. Buona giornata, Tae » le sue labbra mi scivolarono sulla guancia per mezzo secondo, poi lo vidi scomparire fra le porte insieme a Jin, e ripresi a fare colazione con calma. Quella fu letteralmente la mia ultima colazione. Entrai in macchina con mio padre dopo una ventina di minuti, mi accomodai sul sedile, accesi la radio, mi allacciai la cintura, ma poi udii la sua voce, cupa come non lo era mai stata.

« Hai preso su qualche chilo, tesoro? » deglutii.

« Forse, ma è normale, no? È stato il compleanno di Jin la settimana scorsa, poi della nonna... » mi squadrai le ginocchia, i polpacci, l'addome. Si, avevo preso qualche chilo probabilmente.

« È normale!? Tra meno di un mese devi esibirti e sei in prima fila, te ne rendi conto? L'hai visto il portamento di Namjoon? Vuoi farci farci sfigurare? » le sue parole inizialmente non mi ferirono. Non ero una cima e non puntavo ad essere il numero uno, ma mi divertivo e cercavo di  dare comunque il massimo di me, anche se non bastava mai. Non risposi, pazientai qualche minuto e arrivai in Accademia. Nel giro di pochi secondi il mio mondo crollò, come se avessi sbattuto ripetutamente le palpebre e una nuova realtà mi fosse apparsa dal nulla.

Erano tutti in piedi, in fila, con solo i boxer addosso, posti davanti alla bilancia. Mi guardai intorno, mi spogliai e seguii i miei compagni. Al mio turno, presi un sospiro e salii sulla bilancia.

« 2,6 kg in più dall'ultimo controllo, Kim. »

Ed ecco che arrivò il primo di una lunga serie di attacchi di panico. La vista iniziò a calare e le lacrime lisciavano il mio viso rapide come razzi. Ero accaldato, ingoiavo i battiti del mio cuore e i miei respiri smozzati erano diventati inarrestabili. La sensazione peggiore, quando mi accorsi che tutti mi stavano fissando, facendo alzare e abbassare il mio petto ancora più rapidamente. Namjoon aprò bocca e con strafottenza mi cinse con un braccio le spalle. Lui, il suo corpo e i suoi lineamenti, non erano minimamente paragonabili ai miei. Gli occhi color cioccolato, la carnagione olivastra, i capelli sempre in ordine. Non sembrava affatto un tredicenne. Caratterialmente però, era più velenoso di un serpente.

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