PARTE II - LUCI E OMBRE.

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Taehyung

Si dice che le sensazioni siano già mezze verità. E così anche i dubbi. L'istante in cui capii che avevo formulato dei pensieri che corrispondevano alla realtà mi fece sprofondare in un bagno di estrema inquietudine. Ero certo che Jungkook non mi avrebbe respinto immediatamente, ma avevo anche percepito il fatto che non si sarebbe lasciato andare facilmente e ci avrei rinunciato immediatamente, senza rimurginarci più del dovuto.

Dopotutto, conoscevo ancora il significato di stare con qualcuno. Avere e Dare il permesso di baciare ed essere baciati, spogliarsi e toccarsi, nel periodo in cui avevo permesso ad altre persone di respirare sulla mia pelle, sfiorarmi, posare le labbra su ogni mia insicurezza.
Non mi era piaciuto affatto, ed ero certo non volerlo rifare ancora.

Immaginarlo invece era possibile e nessuno poteva vietarmelo. Avevo sbagliato a scrivere a Jungkook, a bere e stuzzicare la sua curiosità, e ora ne avrei pagato le conseguenze. Mai avrei pensato di riuscire a trattenere così a lungo le lacrime e la mia voglia di farmi del male come quella sera, da poter paragonare ad un paradiso infernale.

« Taehyung aspetta! » due parole. Due. Bastarono a capovolgere completamente l'andamento di quella serata. Entrò in macchina nervoso e si avvicinò pericolosamente al mio viso, così tanto da farmi aprire lo sportello e prendere un po' d'aria e riflettere un attimo. Quando mi raggiunse cercai disperatamente di nascondere ciò che in quel momento stavo provando: angoscia e profonda agonia; paura che lui avrebbe potuto toccarmi da un momento all'altro e io non avrei saputo gestirlo. I sensi di colpa per aver anche soltanto immaginato di potercela fare di nuovo mi assalirono. Non avevo più diciassette anni, e non ero più solo magro. La voce di Jungkook e il suo modo di conversare mi facevano ancora di più salire la voglia di zittirlo e provare a passare la serata diversamente.

« Si può sapere cosa ti passa per la testa? Non ti consiglio di giocare con me, Jungkook. Sei perdonato, non preoccuparti »

« Sei ubriaco, ed io sono stanco, non dovrei stare al tuo gioco » non dovrei stare al tuo gioco. Continuammo a dibattere sul fatto che non fossi ubriaco e che lui voleva assicurarsi che io stessi bene, ma la mia mente era già un passo avanti a lui, e in pochi secondi gli presi la mano e camminai il più rapidamente possibile, raggiungendo la villa dei Fisher. Ci venivo fin da bambino insieme a Jimin, che aveva scoperto per caso, sentendo una loro conversazione in un bar, che avevano acquistato la casa per alcune cene di lavoro che ospitavano una sola settimana al mese. Dopo essercene accertati, passavamo da lì spesso, a farxi foto in giardino, nasconderci da nostro padre o saltare le lezioni in Accademia.

Jungkook si mostrò testardo e scettico e non fu semplice convincerlo a seguirmi, ma ero certo che gli sarebbe piaciuto stare lì, e me lo confermò il modo in cui si guardò intorno, meravigliato, con lo sguardo perso nei colori e nelle mie parole quando gli dissi che nell'altra stanza c'era un pianoforte, ma che non avremmo potuto toccarlo, insieme a tutto il resto. Provai a conversare con lui per metterlo a sua agio nel modo più calmo possibile, per poi complimentarmi con lui per essere entrato in Accademia. La sua risposta mi piacque particolarmente.

« È così che raggiungi il tuo scopo iniziale? Mi porti qui, mi lusinghi. Perché così tanto impegno, poi? Credi davvero che io te lo permetta? »

Sì, Jungkook, altrimenti non saresti qui.

« Credevi davvero che lo avrei fatto in uno squallido bagno o nel retro della macchina? » inclinai la testa e mi avvicinai a lui, completamente impegnato a guardargli le mani.

« Certo che l'ho pensato! Hai bevuto e iniziato a toccarmi davanti a tutti » e a quel punto la mia unica intenzione era quella di calmarlo e non sentire più una sola parola dalla sua bocca. Ragionare divenne impossibile, dopo aver abbassato lo sguardo sul suo corpo, ed evitai di ragionare così da non pentirmene immediatamente. Lo feci sedere e lasciai che le mie labbra scivolassero ovunque, spogliandolo come se fosse un manichino, per poi sospirare pesantemente e pentirmi di ciò che avevo appena fatto. Non era un'altra fotografia. Il suo petto, l'addome, le gambe, i fianchi, la clavicola sporgente. Erano reali.

Musica E Deserto [taekook]Where stories live. Discover now