Capitolo 7 - Una prima verità

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Se fino al giorno prima gli avessero detto che non esisteva niente di più terrificante dei sotterranei di Brownston Castle, con ogni probabilità avrebbe concordato con il suo interlocutore. Dopo il pomeriggio appena passato, però, si sentiva in dovere di precisare che le stanze delle torture rinvenute in quella fortezza non erano niente in confronto all'accompagnare due signorine a fare acquisti. O meglio, una signorina in particolare, visto che Phoebe Simmons era rimasta entusiasta quanto un bambino di fronte al precettore che assegnava i compiti.

Camille no.

Camille era stata alla pari di una grandinata distruttiva.

Partendo dal presupposto che non si erano più parlati dal pomeriggio precedente, anche quella mattina John aveva preferito mantenere un rigoroso silenzio: primo, perché parlandole si sarebbe fatto saltare i nervi, già tesi per le prospettive che quella giornata riservava; secondo, perché la giovane gli aveva tirato un destro tanto perfetto da non poter in alcun modo controbattere.

L'aveva sottovalutata oltre ogni dire e sebbene non fosse semplice fregarlo, lei c'era riuscita lo stesso. 

Era stata furba come una volpe, mettendolo in una situazione in cui non aveva potuto obiettare... non senza risultare maleducato agli occhi di una personalità come la Duchessa. In fondo, era un gentiluomo: non poteva sottrarsi all'onere di fare da accompagnatore a due signorine dell'alta società. Così, con la rabbia in corpo, l'orgoglio ferito e la coda fra le gambe, aveva dovuto sobbarcarsi quel supplizio in nome dei buoni modi di comportamento.

Come aveva previsto, l'inizio di quel pomeriggio non fu dei più rosei. Dopo un pranzo leggero e dopo essersi preso un rimbrotto per i dieci minuti di ritardo nei quali Camille era stata costretta ad aspettarlo neanche fosse una cameriera, per citare le sue parole, erano partiti in tutta fretta per andare a prendere la signorina Simmons. Naturalmente, anche in quel frangente non si erano rivolti la parola ed entrambi avevano provato un gran sollievo nell'accogliere Phoebe in carrozza.

Una volta poi arrivati in città, vennero per prima cosa trascinati dalla modista, dove una signora sulla quarantina e con un improbabile e alquanto orrendo abito color pesca li accolse felice come una Pasqua. 

Di sicuro doveva sapere che quando era la signorina Gray a entrare nel negozio, i suoi introiti aumentavano in maniera esponenziale, perché per tutto il tempo l'aveva fissata come un gatto col topo, sempre ben disposta a mostrare ogni centimetro di stoffa della boutique. In effetti, così era stato: con la scusa che secondo l'ultimo opuscolo di moda di Madame Latouche la vita degli abiti femminili si era abbassata di ben due centimetri, aveva acquistato mussola, seta e raso per confezionare dieci nuovi abiti, sei da sera e quattro da pomeriggio. Avevano perso più di un'ora a scegliere le maledette stoffe per i maledetti vestiti, per poi correre dal calzolaio e abbinarci le scarpe giuste.

John provò pietà per quel pover'uomo, costretto a correre da una parte all'altra del piccolo negozio per farle vedere i modelli disponibili.

«Solo questi?» aveva osato chiedere Camille, osservando i quindici tipi diversi che aveva di fronte.

Avrebbe voluto ucciderla. Il calzolaio, tuttavia, in nome degli affari e di ben duecento sterline, fu molto felice di disegnare tre nuovi modelli seguendo le sue rigide direttive. A detta di Camille sarebbero state un enorme successo, soprattutto se avesse deciso di mostrarle alle altre signore. 

Nessuno dei presenti osò mettere in dubbio il suo buon gusto: era ovvio che, essendo patita di giornaletti di moda e avendo partecipato alla stagione, ne sapeva più lei di tutta Windermere, ma ciò non diminuiva l'assurdità della situazione. 

Un visconte all'improvvisoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora