Capitolo 9 - Una nuova consapevolezza

184 11 19
                                    


In quelle ultime tre settimane, John aveva dovuto ricredersi su tutte le sue convinzioni.

La prima che aveva dovuto abbandonare, era quella sull'essere tornato. Undici anni a ripetersi che sarebbe stato uno sbaglio, che se ne sarebbe pentito, invece, superati i primi giorni, tutto aveva iniziato ad andare meglio.

Le visite ai fittavoli erano state costruttive, gli incontri con gli amministratori estenuanti e la lettura dei libri mastri più piacevole di quanto si aspettasse. 

Suo padre, nel vederlo così motivato e preso nella gestione della tenuta, pareva ringiovanito di vent'anni, e con lo stupore di tutti aveva ritirato fuori gli strumenti per la caccia. Purtroppo, a causa del tempo instabile e degli impegni amministrativi, erano riusciti ad andarci solo due volte: la prima rientrando a mani vuote e la seconda con un solo fagiano come trofeo.

«Io avrò la scusa della vecchiaia e dei troppi anni passati a oziare, ma tu, figliolo, sei proprio un disastro» gli aveva detto scherzando.

«Nelle piantagioni non c'era molto tempo per la caccia» aveva risposto, ma il senso di colpa dovuto a quella menzogna non lo aveva più turbato come all'inizio.

La verità era che era entrato in una sorta di zona di conforto. Certo non era felice di continuare a mentire, ma se non altro stava cercando di fare di tutto per tornare a essere l'uomo che era destinato a diventare.

Non gli dispiaceva.

La seconda certezza che aveva dovuto abbandonare, era l'odio per gli incontri mondani.

Alla prima cena ufficiale indetta da suo padre, temeva di far scoppiare un putiferio. Ricordava bene la sensazione di oppressione al petto che provava a Londra e aveva il terrore di non riuscire a reggere, di scappare di nuovo come un vigliacco insieme ai ricordi che lo soffocavano.

Non era successo. Anzi: si era quasi divertito.

Naturalmente, non ci fosse stata quella cena e quelle che erano seguite a casa di zia Shaw e di altri intimi conoscenti sarebbe stato meglio, ma era stato bello ritrovare vecchi amici, persone che mai si sarebbe aspettato di rivedere e che lo avevano accolto con calore e senza giudizio. 

In particolare, ritrovò i vecchi compagni di scuola: Gabriel Ridder, ora sposato e padre di tre figli, e Charles Wright, sempre il solito scapolo incallito.

Insieme a loro aveva preso a frequentare il club di Windermere, a ritrovarsi a casa di uno o dell'altro per passare qualche ora di svago giocando a carte, bevendo del buon brandy e, gamba permettendo, a tirare di scherma. Era come essere tornato ragazzo, con l'unica differenza che non correva più dietro a qualsiasi gonna che si muoveva.

E a proposito di gonne, la terza e ultima convinzione che aveva dovuto lasciarsi alle spalle era riguardo Camille.

Dopo il loro chiarimento, in quelle due settimane si erano avvicinati parecchio. O meglio: Camille e i suoi infiniti sproloqui si erano avvicinati, lui aveva cercato di convincersi che sarebbe stato bene anche facendosi gli affari suoi.

Errore gigantesco.

Lo aveva capito il primo giorno in cui lei non era entrata come una furia nel piccolo studio dove si ritirava a leggere i libri contabili, interrompendo la sua pace e la maggior parte delle volte facendogli rovesciare il tè sui fogli per lo spavento... perché, naturalmente, bussare era troppo complicato: molto meglio spalancare la porta con veemenza e col rischio di farla cedere.

Di solito le cause delle sue visite erano delle più inutili e disparate: i biglietti della sarta che la informavano che i suoi abiti non erano ancora terminati, la Duchessa che non permetteva a Phoebe di andare con lei a Windermere a prendere la cioccolata calda, i cani di suo padre che le ringhiavano contro come fossero belve e così via. Argomenti del tutto superflui che testimoniavano quanto fosse annoiata da quella routine. Eppure, il giorno che non si era presentata, non aveva potuto fare a meno di chiedersi se le fosse successo qualcosa.

Un visconte all'improvvisoWhere stories live. Discover now