Capitolo 8 - Il principe azzurro

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«Devo ammetterlo, Camille: venire qui è stata un'idea magnifica» esclamò Phoebe Simmons contenta, mentre teneva in braccio uno degli otto cuccioli di labrador del signor Smith. Era un fittavolo del Visconte che abitava a solo un'ora a piedi dal seicentesco palazzo della Duchessa, e dato il tè pomeridiano stava diventando noioso, aveva proposto quell'uscita improvvisata.

«Ne sono felice. Questi cuccioli sono dei veri tesori, impossibile non restarne incantate» rispose, mentre il piccolo che aveva in braccio le leccava e mordicchiava le dita della mano. «Vorrei tanto poterne portare a casa uno. Sarebbe una bellissima compagnia, non credi?»

«Perché non lo fai? Sono sicura che al Visconte non dispiacerebbe, ha già tre levrieri.»

«È proprio per la loro presenza che non oso chiederlo: essendo cani molto territoriali, non ho idea di come possano reagire alla presenza di un altro animale. Non voglio che a uno di questi piccoli venga fatto del male, non lo sopporterei.»

«Ti capisco e devo confessare che anche io non ne potrei avere. La Duchessa li detesta, non sopporta quando si mettono ad abbaiare o a sbavare su tutta la tappezzeria, quindi portarne uno a Southlake sarebbe oltremodo disdicevole.»

«Siamo entrambe sfortunate, ma per fortuna al signor Smith non dispiace se veniamo qui di tanto in tanto... meglio approfittarne, fintanto che possiamo.»

«Sei stata qui spesso?»

«Solo una volta, in verità. Stavo tornando da uno dei miei pomeriggi con la Baronessa e il cocchiere è dovuto passare di qui, per prendere il Visconte e il figlio. Sai, gli Smith sono loro fittavoli da anni, così, nel mentre loro finivano di discutere di affari, la signora Smith mi ha fatto vedere i cuccioli: una tenerissima scoperta, vero?» cinguettò felice.

«Assolutamente! E, se posso permettermi, mi è parso di capire che tu e lord Mortain andiate finalmente d'accordo.»

«Perché lo dici?»

Phoebe si strinse nelle spalle. «Spero tu non prenda il mio ardire per arroganza, ma prima, mentre camminavamo, non hai fatto altro che parlare di lui. Allora ho pensato che, dato quando siamo stati in città sembravate detestarvi a vicenda, aveste risolto i vostri diverbi.»

Camille si permise di arrossire, ripensando alla conversazione che aveva avuto con John ormai due settimane addietro.

Era stato inaspettato.

Mai avrebbe pensato che il motivo per cui era stato lontano da casa e dagli affetti, fosse l'indifferenza del ton nei confronti della guerra. Sarebbe stato più logico se fosse stato per via di un trauma, dei brutti ricordi o di un cuore spezzato. In fondo, non sarebbe stata una novità: l'amata fidanzata che decide di sposare un altro gentiluomo perché lui era lontano e con l'incertezza del ritorno. Un cuore infranto lo si poteva sanare, ma un odio tanto radicato e profondo le pareva impossibile.

Si era vergognata come il peggiore dei ladri quando glielo aveva detto, soprattutto perché, se in quel periodo fosse stata grande abbastanza da frequentare i salotti, si sarebbe comportata come tutti gli altri. Non lo avrebbe fatto di proposito, ma le parole dure di John erano servite per farle capire quanto realmente fosse viziata e superficiale.

Non era stato facile ammetterlo.

Ci aveva messo tre pomeriggi solitari più quattro notti in bianco, arrivando alla conclusione che, purtroppo, a parte sé stessa, non si era mai curata degli altri. L'unica eccezione era stata Heather e anche in quel caso avrebbe potuto sforzarsi di più.

La verità era che non aveva mai dovuto preoccuparsi di nulla. Dopo la morte dei genitori, era stata la sorella a crescerla e a consolarla, a trasmetterle quell'amore genuino che dei lontani cugini ereditari non avrebbero mai potuto darle, e a lei andava bene così. Le era sempre stato permesso fare tutto quello che voleva e, quando qualcosa le si metteva per traverso, bastava lamentarsi per ottenerlo: non certo il migliore dei comportamenti.

Un visconte all'improvvisoWhere stories live. Discover now