77."ogni fibra del mio cuore"

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Parte I

-1

Avete allacciato le cinture?


perché darle quelle bellissimi iridi verdi, se erano sempre state destinate a contenere solo ombre di infelicità?

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I suoi polpastrelli morbidi accarezzavano i bordi freddi e bagnati della vasca, l’acqua le bagnava il corpo nudo e ricoperto di pelle d’oca, i suoi occhi verdi rimanevano chiusi, per quelle che sembravano ore e ore, mentre il suo fiato leggero e il cinguettio degli uccellino erano il suo unico compagno, in quel bagno silenzioso e illuminato solo dalla luce dell’alba,  che entrava attraverso la tenda.

Sarebbe mai andato via, quel peso nel petto?

Si chiese, inclinando la testa di lato, lasciandola ciondolare, mentre un brivido le percorreva la colonna vertebrale.

Aveva freddo. L’acqua della vasca si era ormai ghiacciata, ma lei di uscirne non aveva intenzione.

La sua pelle si stava raggrinzendo, ma aveva bisogno di quel freddo per congelare il suo cuore, quel dannato organo nel petto che non aveva smesso di soffrire.

Non piangeva, aveva smesso di farlo da quando aveva lasciato l’attico ore fa, eppure quello strazio non aveva smesso di pulsare e di sanguinare.

La sua ferita era ancora fresca, palpitante e poteva sentire il dolore proveniente da essa in ogni centimetro del suo corpo.

L’aveva lasciata.

Le aveva mentito.

L’aveva tradita.

Non aveva lottato per lei.

Non ci aveva nemmeno provato.

Si era semplicemente arreso, quando lei aveva cercato di tenerlo con i denti e con le unghie.

“l’amore è qualcosa che arriva all’improvviso. Non puoi obbligare una persona ad innamorarsi di te, non importa quanto tu ci tenga. Farà male all’inizio, ma ti renderai conto che, forse, era destino. Forse, non eravate fatti l’uno per l’altra”

Le aveva detto sua mamma, anni e anni prima, quando era tornata a casa da scuola dopo che il suo cuore era stato spezzato per la prima volta da un suo vecchio compagno di classe.

Ricordava di aver pianto, di essersi sentita inferiore e insicura. Si era chiesta se fosse stata lei il problema, o se davvero il destino non aveva programmato nessun futuro per loro.

E se lo chiese anche in quel momento. Era lei il problema?  Aveva qualcosa che non andava, e che portava gli uomini nella sua vita a ferirla e lasciarla?

Il suo problema, era che dava sempre troppo, senza mai chiedere nulla in cambio.

Si sarebbe accontentata di piccole cose, che per lei valevano più di qualsiasi altra cosa, e nel frattempo avrebbe dato ogni briciola del suo corpo, della sua anima, della sua mente e del suo cuore.

Non voleva nient’altro. Voleva solo che lui tenesse a lei.

Lentamente il suo corpo iniziò a scivolare verso il basso, aiutato dalle pareti scivolose della vasca, e lei permise all’acqua di avvolgerla interamente.

Prima le spalle, poi il collo ed infine il volto. Permise ai suoi occhi di aprirsi, e di osservare il soffitto.

L’acqua le bruciava gli occhi, e il naso e i polmoni, impedendole di respirare e di immettere ossigeno nel suo corpo.

Avrebbe dovuto odiare quella sensazione di soffocamento, l’incapacità di respirare, la sensazione di sentire ogni nervo del proprio corpo sul punto di scoppiare, eppure…lei in quel momento la amava.

Lei bramava quel momento, quel dolore nel petto, che però riusciva a calmare quello nel suo cuore.

Lentamente chiuse gli occhi, e permise alla sua mente di viaggiare, di riaprire bauli pieni di ricordi sbiaditi, e di lasciarsi avvolgere da quelle emozioni.

Lasciò che quei ricordi le rimembrassero perché aveva smesso di dare il suo cuore, senza mai ricevere nulla.

×××××
Alcuni capelli bagnati le si appiccicavano al viso ogni volta che la sua testa veniva sollevata bruscamente per quei pochissimi istanti, che lei cercava senza risultato  di usare per riempire d’ossigeno i suoi polmoni.

Stava per morire.

Lo sentiva in ogni fibra del suo essere, nel sangue che scorreva lentamente nelle sue vene, portando piccole dosi d’ossigeno che tenevano ancora vivo il suo corpo.

<<Dimmi la verità, bella>> sibilò la voce rauca e graffiante sul suo orecchio, mentre una mano forte le avvolgeva i capelli e le tirava su la testa, facendola boccheggiare in cerca d’aria.

Non riusciva a parlare, non riusciva a muovere nemmeno un arto del suo corpo. Sentiva che ogni forza e energia la stava abbandonando, mentre lentamente smise di lottare contro di lui.

Era troppo forte di lei, troppo soffocante e spaventoso.

Una parte del suo viso le bruciava per le ferite sulla guancia e sul labbro inferiore spaccato, ogni volta che lui tornava ad affondarle la testa sott’acqua.

Era così che sarebbe morta? Sarebbe morta avvolta nell’acqua, che le riempiva la bocca, il naso e gli occhi, senza permettere all’ossigeno di raggiungerla.

Sarebbe morta tra le braccia del suo mietitore, del suo assassino e incubo peggiore?

Eppure lei non meritava di morire così. Non meritava di farlo tra le mani macchiate di sangue e dolore di quel mostro, che aveva distrutto ogni angolo della sua esistenza.

Non lo meritava.

Eppure in lei non trovò un briciolo di coraggio e di determinazione per lottare. Sembrava che il suo corpo e le sua mente fossero già pronti a spegnersi completamente.

<<La tua morte avverrà sulle mie mani, Bella. E niente potrà mai salvarti>> le diceva quella voce maschile, protagonista delle sue paure e dei suoi incubi.

<<Mi hai tradito, Bella. Ti avevo avvertito di non parlarne con nessuno>>

La sua voce le giungeva lontana, mentre i suoi occhi aperti che bruciavano per l’acqua vedevano solo l’ombra della sua figura a sfocata.

La sua unica felicità era che non sarebbe morta guardando quegli occhi azzurri gelidi, dove la cattiveria occupava ogni centimetro dei suoi sguardi.

Sarebbe morta solo con l’impronta della sua mano contro la gola, dove esercitava così tanta pressione da farle vedere le stelle.

E in quel momento, mentre il suo corpo si rilassava completamente e i suoi occhi si chiudevano, poteva immaginare che quelle mani fossero gentili, morbide e calde, e che la stessero accompagnando verso un posto dove avrebbe finalmente trovato la pace.

Quella pace che tanto aveva agognato.
××××

Un urlo soffocato le uscì dal profondo della gola, mentre il corpo scattava in avanti e la sua testa riemergeva dall’acqua della vasca.

La sua mano bagnata, scivolosa e raggrinzita si strinse attorno ai bordi, mentre l’altra si avvolgeva attorno al suo collo, che si sentiva ancora stretto per la sensazione delle mani estranee sulla sua pelle.

Il suo petto saliva e scendeva velocemente, mentre dalla bocca socchiusa uscivano respiri profondi e rumorosi.

Stava tremando, ogni centimetro del suo corpo.

Sembrava una foglia appesa all’unico ramo debole dell’albero, mentre il vento la scuoteva talmente forte da farla tremare.

Si portò le ginocchia al petto, abbracciandosi forte per proteggersi dal freddo che le colpiva la carne nuda, e da ogni male di cui lei aveva paura.

Cercava di calmare i suoi respiri, ma non c’era niente che potesse fare per i suoi ricordi.

Niente che potesse toglierle dalla mente quegli occhi azzurri gelidi.

Lunghi minuti dopo, che sembravano ore interminabili, si alzò dalla vasca, uscendo dall’acqua ormai ghiacciata, e avvolgendosi il corpo con l’asciugamano color crema appoggiato lì accanto.

Ormai era mattina, e dopo aver passato una notte in bianco non c’era parte in lei che fosse propensa a coricarsi.

La sua mente e i suoi pensieri non glielo avrebbero mai permesso.

Con il calore che finalmente aveva iniziato a entrare nel suo corpo, e nei suoi muscoli, si avvicinò al lavandino e al piccolo armadietto sotto di esso, in cerca di un altro asciugamano per i suoi capelli che perdevano gocce d’acqua gelata sulle sue spalle e sulla sua schiena.

Ma quando aprì lo scompartimento, avrebbe preferito non averlo fatto.

Perché in fondo al cassetto, nascosta in un angolo, c’era la scatola dei suoi medicinali che lei non aveva mai buttato.

Avrebbe dovuto farlo una volta interrotta la terapia farmaceutica, mesi e mesi prima, ma lei non era mai riuscita a sbarazzarsi completamente di loro.

Era come se una parte di lei era consapevole che, prima o poi, lei avrebbe di nuovo avuto bisogno di loro. Che non sarebbe mai stata forte abbastanza da sopravvivere giorno dopo giorno senza di loro.

Di continuare a vivere senza quelle pastiglie nel suo sangue, che la rendevano più calma, che spegnevano la sua mente e la notte la facevano dormire senza mai sognare.

Era diventata dipendente da loro, e guardando quella scatola, Isabella comprese che forse non sarebbe mai stata in grado di vivere davvero senza di loro.

Aveva bisogno della sua droga che le segnava la mente, e eliminava gli scenari spaventosi della sua mente.

E mentre allungava la mano, sapeva che non avrebbe più potuto mantenere la promessa che aveva fatto a sua madre.

Prese il flacone scuro con l’etichetta bianca, e senza pensarci lo svitò, versando sul suo palmo alcune pasticche.

Le guardò, sentendo un peso posarsi sul suo petto già stretto, e i suoi occhi inumidirsi, mentre si sedeva per terra contro l’armadietto.

Non aveva più freddo, sentiva solo tanta tanta tristezza.

Tristezza per sé stessa. Per la sua dolce e premurosa mamma, e per il dolore che le aveva provocato in quegli ultimi anni.

Tristezza per quella parte di lei che non sarebbe mai guarita, e avrebbe sempre continuato a sanguinare copiosamente.

Si chiese se valesse la pena continuare a vivere, quando ogni giorno le sembrava di perdere pezzi insostituibili di sé stessa.

Se valesse la pena continuare a respirare, giorno dopo giorno, quando il suo passato sarebbe stato il suo presente e il suo futuro. Se il dolore e il rimorso l’avrebbero accompagnata ad ogni gradino della sua vita.

Pianse, lacrime che non sapeva di aver conservato, sentendo le sue labbra bagnarsi, mentre si portava la mano alle labbra e permetteva a quel veleno di posarsi sulla sua lingua.

Pianse per sua madre, suo padre, per sé stessa e persino per quell’uomo da cui aveva solo voluto amore.

Pianse perché le aveva spezzato il cuore, e niente lo avrebbe mai potuto sistemare.

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