14 - Porte, castelli, musei e... fantasmi?

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Da fuori non era chiaro che fosse un castello. Le grandi mura che si estendevano lungo la strada e la piazza non erano circondate dai classici fossati. Entrati nel cortile, però, si distingueva la tipica struttura interna dei castelli: arcate, finestroni alti, un grande stemma scolpito e una torre. C'erano anche degli scavi archeologici al centro.

La famiglia prese dei biglietti, salì una scalinata per vedere il piano superiore, dove c'erano corridoi di pietra dorata e una grande stanza vuota che sembrava un'elegante sala da ballo. Cloe si immaginò principi e principesse danzare un valzer in abiti da sogno. C'era qualche cartello e una mostra che i genitori della bambina si soffermarono a guardare, poi scesero nuovamente al cortile e attesero per qualche minuto l'inizio di una visita guidata.

La prima guida che introdusse il gruppo alla storia del castello fu lo stesso costruttore, Giangiacomo dell'Acaya, un uomo del 1500. Chiaramente fu possibile soltanto grazie ad un trucco tecnologico, ma a Cloe sembrava davvero che quell'uomo fosse lì a parlare di quella che era anche la sua storia. L'architetto infatti ideò, su ordine del Re Carlo V, il progetto di ricostruzione di quello che, inizialmente, era un castello medievale e ne seguì tutti i lavori, tanto che si può dire ne fosse il padre. Senza di lui il castello, così come lo vediamo, non sarebbe nato. Tuttavia il signor dell'Acaya finì in qualche guaio che lo portò a indebitarsi senza riuscire più a restituire ciò che doveva. Per questo venne rinchiuso proprio nelle prigioni da lui stesso progettate, dove rimase fino alla morte. Una storia piuttosto triste, anche se il signor Giangiacomo sembrava un uomo spiritoso e pieno di vita.

La seconda guida del castello, quella in carne ed ossa, arrivò e portò il gruppo a fare un giro di ronda sulle mura. I parapetti erano molto alti, perciò Cloe, per guardare cosa c'era al di sotto, era dovuta salire sulle spalle del papà. Da lì si vedevano alcuni tetti e cupole della città.

Il gruppo poi venne accompagnato dritto nei sotterranei. Scesero lungo una rampa che si infilava nel buio e sbucava in un'ampia galleria, piena di pozze d'acqua che riflettevano le fioche luci dell'illuminazione. Un pontile la attraversava tutta, fino ad un punto dove l'acqua sgorgava, forse da una sorgente, e aveva creato un vero e proprio laghetto. Il fascino di quel posto era unico e Cloe si perse a osservare i riflessi sugli specchi naturali mentre percorreva il pontile.

Una volta usciti dai sotterranei, la guida li portò a visitare la cappella interna al castello, che era tutta scavata per degli studi archeologici, che avevano riportato in superficie le murature di un'epoca precedente. Delle proiezioni animate su di esse facevano vedere altari, archi e ingressi com'erano stati in origine.

Infine il gruppo entrò nelle prigioni. Non avevano sbarre e assomigliavano più a delle grotte, ma la guida spiegò che le incisioni che ricoprivano le pareti erano state fatte dai prigionieri, spesso uomini di rilievo nella società dell'epoca che erano finiti in qualche guaio, come Giangiacomo dell'Acaya, e raccontavano le loro storie. Cloe si immaginò il costruttore del castello, solo e disperato, dentro quel luogo buio e umido, stanco, affamato e morente, incredulo per la fine che stava facendo. Era come se si fosse costruito la sua stessa condanna e a Cloe questa disperazione sembrava di poterla sentire nell'aria consumata di quel luogo, mista ad una sorta di consolazione, forse quella di poter rimanere per sempre tra le mura di cui era il padre. Alla bambina sembrò di sentire un lamento, proveniente da un angolo scuro, e poi un sospiro freddo che le passava affianco e si spostava verso l'uscita, dove la guida li ricondusse poco dopo.

L'ultima tappa della visita fu il museo della cartapesta, con statue di Santi e Madonne a misura d'uomo, che sembrava impossibile fossero fatte di un materiale così semplice e fragile. A Cloe inquietavano un po', tutte quelle figure che la fissavano dalle teche, ma erano anche esposti alcuni strumenti per la preparazione della cartapesta, che portavano la bambina a immaginare il giovane Salvatore Castro, il triste scultore del volto sull'angolo di un palazzo di Lecce, al lavoro per modellare stelle comete per i presepi e fiori per la sua amata Isabella Dominici.

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