You're just in time make your tea and your toast

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6 mesi dopo

Il telefono squillò per un secondo prima che lo silenziassi, rivolsi lo sguardo verso il piccolo Paulo, dormiva beato tra le sue coperte verdi.
Mi stropicciai gli occhi e massaggiai le spalle, la poltrona dell'ospedale era scomoda, ma non potevo lasciarlo da solo, era troppo piccolo e indifeso.
Abbassai la luminosità dello schermo, controllai l'orario: 02:04 a.m.
Mi guardai intorno, ero l'unica sveglia tra mamme e bambini, allora capii che fare una telefonata non sarebbe stata una saggia decisone. Riposi il cellulare nella borsa, mi coprii il più possibile con il plaid e chiusi gli occhi, sperando di riuscire ad addormentarmi almeno per qualche ora.
Niente da fare, squillò ancora, allora fui costretta ad alzarmi e andare in corridoio.
"Cosa c'è?" sussurrai per evitare di fare troppo rumore.
"Buongiorno Nena, lui come sta?"
"Bene, non ha sofferto tanto oggi"
Lo sentii sospirare, un sospiro di sollievo come quello che aveva abbandonato le mie labbra non appena il piccolo aveva chiuso le palpebre quella sera.
Niente vomito, niente malessere dopo la chemio, pregai sarebbe stato così anche la giornata successiva, anche se molto probabilmente sarebbe andata diversamente.
"Tu? Cosa è successo? Non eri a cena con la rosa?"
I suoi ragazzi con aggiunta di Paul, appena tornato, e Ángel Di Maria, new entry.
"Sì, mi hanno fatto capire. Ho preso una scelta, volevo fossi la prima a saperlo"
Il cuore iniziò a martellarmi nel petto, le gambe tremanti, un po' come le mie mani: una a sorreggere il telefono, l'altra che finì immediatamente davanti alla bocca.
"Roma, vado a giocare alla Roma"
Si fermò, poi ripartì, poi si fermò ancora mozzandomi il fiato, e la tachicardia prese immediatamente il sopravvento.
"Vorrei abbracciarti" esclamai.
"Vengo lì"
Annuii e riattaccai, con le lacrime agli occhi.
Andai in camera a recuperare una mascherina, lasciai un biglietto a Lidia, mamma di Gabriele, dove la avvisavo che ero fuori a fumare una sigaretta.
In ascensore tirai via le pellicine dalle dita, facendolo diventare un gesto compulsivo. Tamburellai con il piede per terra, ero agitata, ci sentivamo tutti i giorni al telefono ma non ci vedevamo da tanto.
Girai il capo verso destra, scese dalla sua Lamborghini gialla con nonchalance. Non mi notò immediatamente, ero immersa nel buio, perciò decisi di spostarmi verso il lampione che illuminava la strada.
Lo osservai indossare la ffp2 sopra la chirurgica, per schermare ulteriormente eventuali germi, e disinfettarsi le mani con l'antibatterico.
Prima di correre nella mia direzione chiese il permesso, voleva sapere se avesse eseguito correttamente tutti i passaggi. Proprio per quel motivo non era più venuto a trovarci, per evitare di passare a Paulino qualche malattia.
Era in remissione parziale da due mesi, seguiva delle terapie di mantenimento e poteva stare in stanza con gli altri bambini. La prudenza però non era mai troppa, avrei continuato a seguire scrupolosamente ogni step fino alla remissione totale.
Mi avvicinai lenta, quasi spaventata da quello che sarebbe stato il contatto del mio corpo con il suo. Non riuscivo a prevedere che emozioni avrei provato, dopo anni in cui non ci eravamo sentiti eravamo riusciti a riprendere un rapporto amicale, prettamente a distanza nonostante ci trovassimo entrambi a Torino.
Ci eravamo incontrati solo due volte dopo quella mattina al parco, dal gelato puffo e nutella che aveva offerto a mio figlio: il giorno in cui mi ha presentato Oriana e quello in cui avevo bisogno di qualcuno che mi portasse in pronto soccorso.
Uno squillo, due squilli: "Dimmi tutto Eva"
"Paulo scusami, scusami davvero ma non sapevo chi chiamare"
Tremavo come una foglia, seduta sull'asfalto al lato della strada.
"Stai bene?"
"Io non.. credo di essermi rotta la caviglia"
Stavo camminando verso l'auto, con tre buste della spesa in una mano e una cassa d'acqua nell'altra, il marciapiede era rotto, non ci avevo fatto caso. Mi ero ritrovata a terra in un frangente di secondo, e non riuscivo a rialzarmi.
"Stai calmo, ho solo bisogno che mi aiuti, dato che non riesco a sollevami e guidare. Non ti allarmare, non è successo nulla"
Dopo avergli dato le coordinate, lo ritrovai lì nel giro di quindici minuti, nei quali ero riuscita a farmi aiutare da un passante e sedermi all'interno del Giardino Sambuy, proprio di fronte al supermercato.
Nessuna frattura per fortuna, solo una distorsione che sarebbe passata in poco tempo. Riuscii a convincerlo che ce l'avrei fatta da sola, e così fu, dato che la mia unica occupazione era stare con Paulino in ospedale.
Presi dei giorni di ferie, nonostante mi logorasse tantissimo lasciare nelle mani di un supplente i miei alunni, ma mi servirono per ristabilirmi del tutto.
Non lo avrei mai chiamato se non fosse stato necessario, e me ne vergognai per settimane, dato che nel tempo ero riuscita a rendermi autonoma. Mi vergognai perché sapevo di sentirmi sola, e avevo bisogno di averlo vicino. Mi pentii talmente tanto che non lo cercai più, e declinai qualsiasi invito ricevessi da parte sua.
Mi abbracciò forte, nemmeno ricordavo come fosse essere stretta tra le sue braccia, era passato così tanto tempo. Era raggiante, contento della strada che aveva deciso di seguire.
"Raccontami" lo invitai.
"I ragazzi sono stati molto gentili sai, mi hanno aiutato a riflettere su ciò che volessi davvero. Un aspetto che avevo tralasciato era sicuramente la mia età, chi si era messo a pensare che tra qualche mese compio ventinove anni, Eva? Io sicuramente no, mi sento ancora quel ragazzino che soffocava nel bagno mentre ascoltava la melodia suonata da te al pianoforte"
Mi colpii, che stesse ricordando quell'attimo con me. Di certo non mi sarei aspettata una comunicazione così libera tra di noi, io ero ancora ritirata, non pronta ad affrontare certe ferite, mentre lui pareva assolutamente disinibito.
"Non sono più un ventenne però, quindi mi sono data una svegliata, e ho capito che l'unico modo per sentirmi ancora vivo è indossare la maglia giallorossa. Può darmi grandi soddisfazioni, più che altro lo spero tanto"
Restai in silenzio ad ascoltarlo, giocherellai con la fede per ammazzare l'imbarazzo che provavo ad averlo accanto, con le mani in tasca seduto sulla panchina di marmo.
"Mi dispiace averti svegliato"
"Tranquillo, di solito non dormo"
Inaspettatamente mi sfiorò il ginocchio, poi ci posò il palmo per intero, e mi domandai se ci avesse pensato oppure fosse stato un gesto spontaneo.
"Non ti ho mai chiesto se a volte ti serva che qualcuno prenda il tuo posto, magari per andare a casa, riposarti"
Sorrisi, prima di rispondere: "No, ce la faccio, non preoccuparti".
Ero un disastro, un completo disastro, e lo si poteva intuire dal mio outfit: pantaloni grigi della tuta, maglia oversize e infradito. Passavo così la maggior parte delle giornate, molto spesso non avevo né tempo né modo di lavare i capelli, allora li raccoglievo in una coda di cavallo e riuscivo ad andare avanti per qualche giorno.
"Oriana lo sa già?"
Annuì, spiegandomi che le aveva telefonato durante il tragitto casa-ospedale, così come aveva fatto con il suo procuratore e la sua famiglia.
Posai la testa sulla sua spalla, non avrei voluto, non avrei dovuto. Lo sentii fremere, gli guardai il braccio e aveva la pelle d'oca, un po' come me.
"Lunedì prossimo faranno gli esami, sarà il momento della verità" mi lasciai andare.
"Proverò ad esserci quando avrete i risultati"
Sapevo non sarebbe potuto essere così, doveva correre a Faro, a trovare la squadra in ritiro, ed andava benissimo. Tarpargli le ali non era tra le mie opzioni.
Mi ero ripromessa che tra di noi sarebbe andato tutto liscio, che non avrei fatto gli stessi errori di una volta. Infondo non eravamo più giovani, avevo un bambino da gestire, lui una nuova carriera, un posto nuovo in cui vivere.
"Devi cercare casa adesso" ridacchiai, sviando il discorso.
La villa che avevano preso e arredato in collina qui a Torino era spettacolare, ma alla sua lady la città non piaceva così tanto, sicuramente si sarebbe trovata meglio nella capitale.
"Mi terrorizza tornare in un appartamento, non saprei dove mettere i cani, i quadri e le mille cose che ho comprato durante questi tre anni"
Era un accumulatore seriale, lo sapevo benissimo.
"Ti troveranno un bel posto, non sarai costretto a vivere come prima"
Io al suo contrario avevo deciso di rimanere ai piani alti, mansarda nel quadrilatero romano, decisamente confortevole, perfetta per me e il piccolo.
"Sei ancora in tempo per fare tutto quello che vuoi, Paulo" dissi ripensando al suo discorso sull'età.
Non ero in grado di dirgli tante cose, passavo la maggior parte del tempo in silenzio persa tra i ricordi, e mi domandavo spesso cosa pensasse di quel mio atteggiamento. Ero una persona completamente diversa rispetto a quella che aveva conosciuto, che aveva deciso di sposare.
"Sarebbe bello se ci fossi anche tu, se ci foste voi"
Non capii subito, ero talmente tanto confusa e assonnata da non aver recepito il messaggio, perlomeno finché non lo sentii pronunciare: "non è che avreste voglia di trasferirvi a Roma con noi?"
Strabuzzai gli occhi, come aveva potuto pensarlo?
"Non credo sia il caso, non voglio rivivere quello che abbiamo già vissuto"
Mi riferivo ai nostri primi mesi insieme, quelli in cui ci siamo innamorati, con io che ero diventata la sua amante e lui costretto a scegliere.
Pensavo spesso ad Antonella, a che fine avesse fatto e se fosse felice. Le avevo rovinato la vita per poi non concludere niente. Chissà come sarebbero andate le cose se avessi avuto il coraggio di tirarmi indietro, se non fossi stata egoista.
"Prometto che non succederà"
"Ci siamo promessi troppe cose, e alla fine è comunque andato tutto a puttane"
Non dubitavo del suo modus operandi, dubitavo in primis del mio. Avevo imparato a gestirmi, mi ero disintossicata, lui però non c'era, e sapevo che in un non nulla sarebbe diventato la mia giustificazione.
Non che intendessi riprendere quella via, per esser chiari, ma non ci sarebbe voluto molto per far emergere, dal calderone di spiriti ribollenti presenti nel mio inconscio, il sentimento che ancora provavo per lui.
"Possiamo provarci"
"No, non possiamo. E poi, ho un figlio adesso, un figlio di cui posso finalmente occuparmi. Sta affrontando un momento difficile, non sappiamo ancora come andrà a finire"
Il mio bambino, il mio tenero bambino..
"Lunedì, aspettiamo lunedì per parlare. Anzi, facciamo una scommessa" disse, facendomi corrugare la fronte.
"Se ce l'ha fatta, se l'ha sconfitto, abbandonate tutto e venite con me. Sarebbe la giusta occasione per ricominciare, lasciarsi il passato alle spalle"
Scossi il capo, poi abbassai lo sguardo verso i nostri piedi.
"Paulo, sarebbe come rincorrerlo quel passato. Non è fattibile"
Gli diedi le spalle, rintanandomi in me stessa. Era palpabile non fossi pronta ad affrontare l'argomento, e apprezzai quando concluse il discorso con: "ne riparleremo".
Avrei voluto dirgli che avevo paura, ma che forse il piccolo avrebbe apprezzato. Che sarebbe dovuto tornare, magari più tardi, e salire a salutarlo.
"Chiama appena è attivo" e fu con quella frase che mi salutò, soltanto dopo avermi lasciato un bacio in fronte con la mascherina a schermarci.
Era diventata consuetudine: le infermiere lasciavano che fossi io a svegliarlo, con dolci carezze e baci, poi lavavamo i dentini, prendevamo i farmaci a stomaco vuoto e infine facevamo colazione. Mentre consumavamo il pasto più importante della giornata, avviavamo una videochiamata con Paulo, e chiacchieravamo per ore.
Per lo più erano loro, in realtà, a parlottare di videogiochi e altre stupidaggini. Io mi prendevo del tempo per leggere, preparare le lezioni, o semplicemente ascoltare un po' di musica.
La verità era che ogni giorno mi donava del tempo per rilassarmi, tenendo occupato lo scricciolo, migliorando le ore di entrambi.
La verità era che non gliene sarei mai stata abbastanza grata, e che forse se mi stava chiedendo di fare un passo in più, avrei dovuto assecondarlo.
Non volevo lo vivesse come un abbandono, non dopo tutto quello che lo avevo costretto a sopportare.
Mi portavo addosso un peso enorme, un macigno nel petto, che si sarebbe alleggerito soltanto con la consapevolezza di stargli ridando indietro tutta la felicità che gli avevo tolto.
Tempo al tempo, sarei riuscita ad aggiustare tutto, avrei messo a posto i pezzi delle nostre vite andate distrutte anni prima.

Él 2 ||Paulo DybalaWhere stories live. Discover now