Due vite

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Canzone consigliata:
Due Vite, Marco Mengoni

"Lasciami andare! Fa male, fa male! Lasciami andare, cazzo!"
"Mamma, mamma svegliati!"
"Fa male, lasciami" piagnucolai.
"Mamma, mamma!" mi sentii richiamare ancora una volta.
Spalancai gli occhi, ero sudata, tremavo. Voltai il capo verso sinistra, il mio piccolo ometto mi stava scuotendo, poi sorrise.
"Buongiorno mammina" posò le sue minuscole labbra sulla mia guancia.
"Ciao amore" lo strinsi a me.
"Stavi urlando forte, hai sognato il lupo cattivo?"
Gli accarezzai i capelli che ricominciavano a crescere, più biondi di prima.
"Sì, stavo sognando il lupo cattivo, ma ora sono con il mio angioletto, e va tutto bene"
Mi resi conto che fosse spaventato, ma che cercasse di nasconderlo per farmi forza. Ancora una volta mi sentii affranta, e mi rimproverai, perché la natura delle cose imponeva che andasse al contrario, che dovessi essere io a proteggerlo.
Odiavo avergli trasmesso le mie preoccupazioni, ma soprattutto la mia insicurezza. Continuavo a credere di non essere una brava madre, e mi ritrovavo spesso a pensare alle parole dei miei genitori, secondo i quali Jessica avrebbe avuto una vita migliore crescendo con mio fratello. Con il passare del tempo, avevo capito avessero fatto la scelta giusta ad allontanarla da me, e forse era quello il motivo per il quale volevo che qualcuno mi accompagnasse nella formazione di Paulino, in modo che se di punto in bianco sarei impazzita, non si sarebbe ritrovato da solo.
"Oggi passo la giornata con zio Paulo ed Oriana, vero?"
Annuii, per quanto mi riguardava sarei dovuta tornare a Torino per la chiacchierata di controllo annuale con la psichiatra del centro, e siccome il piccolo non poteva saltare altri giorni di asilo, altrimenti non lo avrebbero ritenuto pronto per l'iscrizione anticipata alla scuola elementare, i due si erano offerti di occuparsene.
Ogni volta mi sorprendevo per il fatto che non si rivolgesse ad Oriana come "zia", nonostante sapesse che lei e Paulo fossero una coppia. Non gli avevo mai chiesto il perché della sua scelta, probabilmente data la sua età si trattava di un gesto del tutto involontario, ma ne ero incuriosita, tanto che il pensiero mi accompagnò per tutto il tempo che impiegammo per sistemarci.
Aiutai Paulino a fare la doccia, lo profumai e lo vestì di tutto punto, per poi lasciarlo seduto sul divano davanti ai cartoni, con una tazza di latte e biscotti tra le mani.
Ne approfittai per rinfrescarmi e passare un filo di trucco. Anni prima non lo avrei reputato necessario, ma l'avvicinamento alla soglia dei trenta stava diventando un vero e proprio peso per me, era dura accettare che avessi sprecato gli anni migliori della mia vita. Poi però ci ragionavo sù, e mi ripetevo che non potevo continuare a credere ad un costrutto sociale secondo il quale superati i ventisei la vita diventi uno schifo. Ero padrona del mio destino, e potevo rendere i restanti cinquant'anni i più belli di sempre.
In macchina cantammo le canzoni del momento, comprese quelle di Rauw Alejandro e della Rosalía. Volevo imparasse lo spagnolo, i suoi "zii" contribuivano molto, gli avevano insegnato i numeri, i colori e a presentarsi in lingua, rigorosamente con accento argentino.
Mi piaceva immaginarlo qualche anno più in là, a dare del "vos" anziché del "tú", e ogni volta quella visione m'inteneriva da morire. Il mio sogno era portarlo in Argentina, che avevo avuto modo di visitare prima di conoscere suo padre, senza che nessuno lo sapesse.
Ero stata a Buenos Aires, Córdoba, Mendoza e Rosario, poi mi ero dovuta fermare e tornare in Italia.
"Entra ed aspetta nel vialetto, mi raccomando, prendo lo zaino e arrivo"
Dopo che il portone d'ingresso ci venne aperto, gli afferrai la manina e ci dirigemmo verso le vetrate della villa, dalle quali spuntò Oriana con il suo solito sorriso.
"Ciao Eva"
"Ciao Ori, come stai?"
Ci salutammo con un abbraccio, com'era nostra consuetudine fare.
"Dov'è zio Paulo?" esclamò immediatamente lui, dopo essersi stretto alle sue gambe.
Lei mi guardò con preoccupazione, poi si chinò verso mio figlio e disse: "è dovuto partire molto presto, mi amor. Ma potrai restare con me, ci divertiremo tanto insieme a Bowen e Kaia"
Mentre si tirava sù le chiesi: "in che senso è partito?"
"Una chiamata urgente da uno sponsor di Milano, dovrebbe tornare in serata"
Annuii, non ci credetti fino a fondo ma non mi sentii d'imputare la colpa alla ragazza in piedi davanti a me. Anche lei sembrava poco convinta, non volevo darle un pensiero in più esprimendo i miei tentennamenti.
Perché non mi aveva avvisato? Sarebbe bastato un messaggio. E perché non l'aveva portata con sé? Quando si trovava in Italia lei non lavorava, e non era mai successo che la lasciasse a casa da sola.
Cercai d'ignorare l'accaduto, parcheggiai l'auto nel loro garage e chiamai un taxi per poter arrivare a Roma Termini. Preso posto nel freccia rossa, iniziai a leggere un nuovo libro: "Cambiare l'acqua ai fiori" di Valérie Perrin, una scrittrice francese. Era la prima volta che leggevo qualcosa di suo, tra l'altro mi era stato consigliato da un'alunna della mia ex collega di violino, che talmente le ero simpatica si fermava sempre a chiacchierare con me in corridoio, durante la ricreazione.
Si chiamava Sole, e continuavamo a tenerci in contatto. Le avevo detto che sarei tornata a Torino per la giornata, ci eravamo accordate per una passeggiata al Valentino subito dopo pranzo, prima che riprendessi il treno.
Superata Milano Rho Fiera, che sapevo essere l'ultima tappa prima di arrivare in città, scattai una foto del romanzo, e la indirizzai a lei. "Ne parliamo dopo, non vedo l'ora" mi rispose.
Udii il familiare "beep" dell'avviso riguardante le fermate, alzai lo sguardo verso lo schermo e lessi: Torino Porta Nuova. La mia tote bag, con sopra stampato il "cielo stellato" di Van Gogh, si riempii nuovamente degli averi dalla quale l'avevo svuotata all'inizio del viaggio. Poi finalmente mi alzai in piedi, e dopo essermi sgranchita le gambe mi avviai verso le porte d'uscita, delle quali non riuscivo mai ad indovinare il verso d'apertura.
Una volta a terra mi guardai intorno, come amavo fare, poi respirai a pieni polmoni: ero di nuovo a casa. Venni travolta dall'emozione, talmente tanto che quasi mi scapparono le lacrime.
M'incamminai per il lungo tragitto che separava la seconda classe dall'inizio dei binari, e dopo qualche minuto notai su una panchina un uomo con i pantaloncini, una t-shirt oversize tie-dye e degli occhiali da sole. Pensai che fosse pazzo ad andare in giro così con quel clima, il caldo sole aveva già da qualche settimana iniziato a far spazio alle nubi e al vento fresco, ma non appena spostai lo sguardo sulla sua mano, che reggeva il cellulare, mi pietrificai. Conoscevo quel tatuaggio, lo avevo visto decine di volte. Non volli crederci, finché non alzò il capo e si voltò verso di me.
"Che cosa ci fai qui?" esclamai.
"Hai viaggiato in seconda?" si alzò in piedi.
"Ti aspettavi viaggiassi in business?"
"Pensavo di averti insegnato qualcosa in questi anni"
"Ti dimentichi che dopo la separazione sono diventata povera, e smettila di eludere il discorso! Che cazzo ci fai qui, Paulo?"
Cercò di tergiversare, dicendomi che non sapeva cosa significasse "eludere", e si meritò il mio sguardo di disapprovazione, in primo luogo perché dopo dieci anni in Italia sarebbe dovuto essere un madrelingua, successivamente perché continuava ad ignorare la mia domanda.
"Possiamo prendere un caffè e discuterne con calma?"
"Ho tempo di farlo? Tra due ore devo essere in clinica, e i mezzi di trasporto in qualsiasi città della penisola sono un disastro"
"Eva, sei diventata stupida? Hai la tua vecchia macchina qui, a cosa ti servono i mezzi pubblici?"
Giusto, aveva ragione, ma avrebbe dovuto comprendere che ero confusa. Lo sapevo a Milano, la sua compagna lo sapeva a Milano, ed invece era lì con me, ostinandosi a non darmi spiegazioni al riguardo.
Mi offesi perché aveva definito la mia Yaris "vecchia macchina", quando in realtà l'avevo presa nuova lo stesso anno in cui ci eravamo conosciuti. A Roma ero stata costretta a fidarmi di un rivenditore di usato, ed acquistare alla modica cifra di quattro mila euro una Panda del 2010, prosciugando tutti i miei risparmi. Me l'aveva consigliata lui, dicendomi che conosceva bene gli Agnelli, e di conseguenza una Fiat sarebbe stata affidabile, seppur con dodici anni di utilizzo da parte dei precedenti proprietari. Come se esistesse un nesso tra le due cose.
A livello di anzianità, dunque, non poteva assolutamente offendere in quel modo la mia amata Toyota.
"Andiamo a caffè della musica?"
"Oddio, mi vuoi morta. Non torno lì dalla laurea"
Era il posto dove ci eravamo incontrati dopo aver litigato per la prima volta, lui era con Alvaro ed io con Anna, loro ordinarono un succo mentre noi uno Spritz.
Si trovava lungo la via d'ingresso al conservatorio, avevo vissuto le giornate più belle e più brutte della mia vita davanti ad un loro cappuccino, e Paulo ed io ci eravamo andati spesso, soprattutto quando la mattina mi accompagnava a lezione. Era vicinissimo a casa nostra, lo raggiungevamo tranquillamente a piedi, come facemmo anche quella volta.
Non passammo per via Roma, sarebbe stato troppo doloroso.
Per i circa cinque minuti di camminata non parlammo, osservai le strade nelle quali avevo passeggiato infinite volte, guardando in alto come mi piaceva fare, in quanto credevo che in tal modo avrei potuto scorgere gli aspetti migliori degli edifici, quelli che molto spesso non venivano presi in considerazione.
"Non mi hai mai parlato della tua laurea" mi disse una volta dentro, mentre aspettavamo le ordinazioni al bancone.
"Ha segnato il termine di un percorso estenuante, non è stato niente di emozionante"
"Dai, dimmi almeno com'eri vestita, chi c'era.."
"Eravamo io, Anna e il padre di Paulino; indossavo un abito nero. Abbiamo festeggiato, ammesso che questa sia la parola più opportuna da utilizzare, con una birra. E se non lo avessi capito, non mi va di parlarne"
Annuì, poi stette in silenzio. Cazzo, la mia psicologa si sarebbe incazzata se avesse saputo che mi rivolgevo a lui così.
"Non so ancora perché sei qui" gli feci notare.
Sospirò.
"È necessario che te lo dica?"
"Direi di sì, se fosse semplicemente il voler passare la giornata con me lo avresti già fatto, perciò deduco ci sia dell'altro"
Sospirò ancora.
"Vorrei che mi portassi da lei" proferì.
M'immobilizzai, e prima di ripetere la scenata fatta nel ristorante decisi di uscire dal bar con tranquillità, salutando e ringraziando i dipendenti. Lo lasciai pagare e lo aspettai fuori, nel frattempo posai sul naso i Prada da sole, per mascherare lo sgomento.
"Eva, qual è il problema adesso?"
Mi mordicchiai l'interno della bocca per mantenere la calma e tenere a bada il tremolio.
"Non puoi pensare di chiedermelo così, ho bisogno di preavviso per una cosa del genere, e di certo arrivare qui all'improvviso non ti farà ottenere quello che vuoi. Perché sei uscito di casa alle tre del mattino e hai detto ad Oriana che avevi un lavoro urgente?"
Si portò una mano sul fianco, l'altra alla bocca, e scosse la testa.
"Sono uscito a quell'ora perché il treno per Milano partiva alle quattro, dunque non sarei stato credibile se avessi aspettato a casa fino alle cinque, per poi prendere quello per Torino"
"Cioè, eri nel mio cazzo di treno?"
Mi diedi della scema per non averlo capito prima, c'era davvero bisogno che lo rendesse così palese? Ci sarei potuta arrivare da sola.
"Sì, ero in business e mi aspettavo di trovarti lì, ma a quanto pare a te piace atteggiarti da umile borghese. Sinceramente non mi andava di girare tutti i vagoni per trovarti, per farmi poi rimproverare, come farai tra poco"
Apprezzai l'onestà, e la consapevolezza di ciò che le sue azioni avrebbero scatenato.
"Finisci il discorso" dissi, ed iniziai a camminare. Star ferma mi agitava ancora di più, soprattutto guardare i musicisti varcare la soglia d'ingresso con i loro strumenti.
"Da quando mi hai detto dove si trova non ho pace, ho bisogno di vederla. Ed il motivo per cui Ori non sa che sono qui è perché non ho ancora avuto il coraggio di dirle tutto, la ferirebbe troppo, non so se posso farle questo, non se lo merita"
Mi vennero i brividi a sentirlo parlare in quel modo, non potevo minimamente immaginare cosa lei avrebbe provato nel momento in cui le avrebbe rivelato che stava per diventare padre, e che tutto era andato a puttane, per colpa mia. Le mille domande l'avrebbero assalita, si sarebbe chiesta come sarebbero andate le cose se la bambina fosse nata, se in tal caso lui sarebbe rimasto con me o avrebbe scelto lei nonostante tutto. D'altra parte comprendevo il timore di Paulo, perché il padre di mio figlio non conosceva il mio passato, ed era scappato ugualmente.
Pochi giorni prima mi aveva pregato di dirgli dove l'avessi fatta seppellire, gli avevo risposto che si trovava nel giardino del cimitero di Torino, contornata da fiori colorati. Lo avevo visto piangere e sfogarsi per l'ennesima volta, certo è che non mi sarei mai aspettata che si precipitasse lì. D'altronde ognuno assimila le notizie in maniera differente, e non lo avevo tenuto in conto, come lui non aveva pensato che andare a trovarla insieme potesse ferirmi ulteriormente.
"Non penso di esser pronta a sacrificarmi per te, lo dico sinceramente, spero non ti offenda per questo"
"Ti prego Eva, ho fatto di tutto per te, davvero di tutto. Ti sto chiedendo di riconciliarci, di rimettere insieme la nostra famiglia per qualche minuto, dopo di che ti lascerò in pace"
Potevo rifiutarmi? No, non potevo. Probabilmente mi avrebbe distrutto molto più evadere da quella situazione che affrontarla.
"Dovremmo smetterla di avere una vita parallela" esclamai, decidendo di non seguire più il filo del discorso, per rendere l'aria meno pesante.
"Quindi è un sì?"
"Certo che lo è, Paulo"
Sorrise, sorridemmo entrambi.
"Hai ragione, dovremmo smetterla, ma credo di aver bisogno di un qualcosa che sia solo nostro. Infondo lo sai anche tu, che non sono mai riuscito a lasciarti andare, e tantomeno ho intenzione di farlo adesso"

Él 2 ||Paulo DybalaOpowieści tętniące życiem. Odkryj je teraz