Born to fight

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I giorni successivi al suo risveglio furono difficili.
Nonostante le sue condizioni non fossero tragiche come ci era stato prospettato, ebbe qualche iniziale difficoltà riguardo alla pronuncia delle parole, e all'intorpidimento dei muscoli.
Pensai molto a quanta fortuna avesse avuto, i medici mi avevano detto più volte cosa avrebbe comportato il risveglio dal coma se fosse durato più a lungo, ed avevo i brividi soltanto ad immaginarlo.
Potei avvicinarmi a lei qualche giorno dopo, dovendomi accontentare fino ad allora di salutarla da fuori la stanza.
Conoscendo i suoi precedenti, la psichiatra mi aveva consigliato di aspettare che si riappropriasse dell'uso del linguaggio, altrimenti una comunicazione scarsa ed inefficiente tra di noi, dato il nostro rapporto, avrebbe potuto causarle l'ennesimo trauma.
Quando mi diedero il permesso di entrare non aveva più il cordino dell'ossigeno intorno al volto, e riusciva a muoversi in autonomia.
Nel momento in cui finalmente le fui accanto tremavo da capo a piede, e istintivamente feci l'unica cosa che mi era stata permessa nelle settimane precedenti: prenderle la mano, stringendola forte per placare l'emozione.
Avevo gli occhi lucidi quando disse: "che fai? Non mi baci?"
Con timore avvicinai il mio viso al suo, piano le accarezzai i capelli e feci scontrare le nostre labbra. Mentirei nel dire che non era cambiato nulla dall'ultima volta, perché era e sarebbe stato tutto diverso d'ora in avanti. Avremmo ricominciato da zero, per l'ennesima volta.
"Come sta Paulino?" chiese.
"Sta bene, sa che vengo a prenderti in aeroporto domani"
Scelsi di darle così la notizia che tanto aspettava.
"Domani?"
S'illuminò.
"Sì, Eva. Torniamo a casa domattina, ti dimettono"
Ci abbracciammo, le sue braccia strette intorno al mio collo e le mie mani posizionate rispettivamente sulla sua nuca e sulla sua bassa schiena.
"Grazie per tutto quello che hai fatto, non hai idea di quanto significhi per me"
Glielo avevo sentito dire centinaia di volte, non cambiava mai, nemmeno di una virgola.
Seppur fosse convinta non lo sapessi, conoscevo bene il valore delle mie azioni nei suoi confronti, ma ero comunque convinto di non fare abbastanza rispetto a quanto volessi, e a quanto meritasse.
"Ho letto quello che hai scritto" 
Allungò il braccio verso il quaderno che le avevo posato sul comodino, e mi pietrificai. Non ero pronto a discuterne.
Avrei voluto dimenticassimo tutto nel più breve tempo possibile, ma non potevo pretendere di farlo senza affrontare l'amaro in bocca che gli eventi delle ultime settimane ci avevano lasciato.
"Mi dispiace tanto, Paulo. Ho sentito fuoriuscire da quelle pagine tutto il tuo dolore"
Il suo sguardo cambiò, e capii immediatamente mi stesse compatendo. Non era mia intenzione prendere la parte della vittima, ma sapevo che anche se avessi nascosto quel che veramente provavo, lei avrebbe messo da parte la sua sofferenza per fare spazio alla mia.
Non potevo evitarlo, aveva ancora la tendenza a credere che dopo tutto quello che aveva fatto anni ed anni prima il suo stato d'animo non importasse quanto il mio.
"Per favore Eva, parliamo di te. Sei tu ad aver sofferto più di tutti, hai affrontato giornate difficili"
"Lo so, ma non ricordo niente. Non ricordo l'aggressione, né il pronto soccorso. L'ultima cosa che so di aver fatto è stata arrivare davanti al bar, ed aspettare Mauro. Poi mi sono risvegliata in questo letto"
Sentirla pronunciare il nome di quel viscido mi mise i brividi.
Ero contento non avesse memoria delle cose più spiacevoli, sarebbe stato un peso in meno da sopportare, ma d'altra parte sapevo che in quel modo non avrebbe avuto sentimenti negativi nei confronti del mostro che le aveva messo le mani addosso. Volevo provasse odio e rabbia, al contempo però mi ripetevo che emozioni così ostili l'avrebbero spezzata un'altra volta, e non poteva accadere.
"Senti, so che hai scritto il diario per non confrontarti con la realtà una volta che sarebbe stato necessario farlo, ma vorrei mi raccontassi. Non ti chiedo di dirmi tutto nei particolari, vorrei soltanto ti sfogassi, così avrò modo di starti vicino"
"Non voglio che mi stai vicino, voglio essere io a stare vicino a te"
Il mio volto ebbe uno spasmo involontario, la sua mano si posò sulla mia guancia, e con un sorriso confortante la accarezzò tranquillizzandomi.
"L'uno la spalla dell'altro, non funziona a senso unico" esclamò.
Non aveva torto.
"Cosa vuoi sapere?" le domandai.
"Tutto"
Seppur mi parve riduttiva ma allo stesso tempo esagerata come risposta, iniziai a parlare degli aspetti che reputavo maggiormente rilevanti.
"Innanzitutto, so che mi rimproverai perché ho comprato un regalo a Paulino, e devo dirti che nel frattempo gli ho regalato anche altre cose. La verità è che non sapevo come gestire la situazione, né tantomeno come trasmettergli l'amore necessario affinché non si sentisse abbandonato. Ho scoperto che sono un pessimo genitore"
Me ne vergognavo.
"Non lo sei, sei stato perfetto. Fare il padre è difficile, consideralo un banco di prova per il futuro"
Fece l'occhiolino, e il mio cuore di conseguenza un tonfo.
Sorrisi.
"Altra cosa, mi dispiace se ti ho chiamata spesso 'amore mio', forse non era il caso"

Él 2 ||Paulo DybalaWhere stories live. Discover now