Il fascino della novità

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"Risponde la segreteria telefonica del num.."
Riattaccai. Era la sesta volta che provavo a chiamarlo, senza ricevere alcun segno da parte sua.
Abbassai lo sguardo sulla domanda di trasferimento posata sul tavolo, dovevo consegnarla entro mezz'ora, altrimenti non avrei potuto cambiare istituto per il resto dell'anno.
Osservai i miei colleghi in sala docenti, scambiavano chiacchiere e lamentele davanti a un caffè, che grazie alle nuove macchinette installate non erano più obbligati a portare da casa in un termos.
Prima che qualcuno provasse ad attirarmi in un discorso che non avevo la forza di affrontare, tentai quella telefonata ancora una volta.
Affogai l'ennesimo fallimento in un tè caldo, nel quale avevo messo troppo zucchero.
Lui e il piccolo Paulo non si sentivano più la sera, ci avevamo messo giorni per capire che non si sarebbe più fatto vivo, e altrettanto tempo per metabolizzarlo. Non saprei dire se avesse colpito più me o mio figlio, quel che era certo era che entrambi avevamo una voglia matta di riprendercelo. Fu quello il motivo che mi spinse a recuperare velocemente le mie cose e varcare la soglia della segreteria.

Un mese e mezzo dopo

"Trenitalia informa: il freccia argento Torino-Roma viaggia con un ritardo di venticinque minuti. Ci scusiamo per il disagio"
Sbuffai.
Quello che doveva rappresentare l'apice del cambiamento che avevamo deciso di attuare nella nostra vita si rivelò un viaggio della speranza, sin dal mattino presto.
Paulino si era svegliato con la nausea, rifiutandosi di mangiare per non rimettere il cibo pochi istanti dopo. Ci eravamo messi in taxi direzione stazione Porta Nuova, il tragitto era stato però interrotto numerose volte dai suo conati.
Lasciai una mancia sostanziosa al tassista, per la pazienza che aveva avuto e per una profonda pulizia dell'auto, necessaria dopo la nostra toccata e fuga.
Lo convinsi a prendere una brioche al bar, l'unico aperto alle cinque del mattino, mentre io sorseggiai il più triste ginseng mai bevuto.
Piansi in silenzio, con la testa bassa, senza che nessuno se ne accorgesse. Sbattevo freneticamente l'unghia contro il manico della valigia, pensavo ad ogni singolo momento vissuto nella mia città del cuore.
Erano stati anni intrisi di emozioni: le lunghe passeggiate al Valentino, le sbronze a due passi dalla mole di notte, le giornate intere passate ad osservare le macchine scendere nel parcheggio sotterraneo di piazza Bodoni, e il mio tabacchino di fiducia di fronte al conservatorio.
Mi sarebbero mancati i gianduiotti di Appendino, i pranzi in giro per la città, un giorno fingendo di essere una turista e un altro la riccona Torinese doc.
Fare il resoconto di quello che era stato non mi avrebbe aiutato, perché era chiaro che non volessi andare via, ma cercai di convincermi che si trattava di un sacrificio necessario. La "lampadina rossa" si accese nel mio cervello, così la mia psicologa soleva chiamare lo stato di allarme che sarebbe dovuto scattare in me ogni qual volta replicavo comportamenti dannosi del passato, e quella mattina non ci misi molto ad accorgermi che qualcosa non andava.
Non lo ignorai, non dissi a me stessa che per così poco non sarei ricaduta nel loop, perché sapevo bene che bastasse anche meno.
Mi posi delle domande:
Cosa stavo facendo? Io e mio figlio ci stavamo trasferendo a Roma.
Come mi faceva sentire lasciare Torino? Male, nostalgica.
Perché lo stavo facendo allora? Per seguire l'amore della mia vita.
Al termine delle nostre cinque ore di viaggio, quasi non mi sembrò vero potermi sgranchire le gambe, con del grazioso vento a muovermi i capelli.
Cercai di non agitarmi quando mi resi conto di dover tenere i bagagli sempre a portata di mano, per evitare borseggi, e contemporaneamente Paulino stretto a me, che con la sua prorompente curiosità tendeva a voler scappare via, verso ciò che gli pareva più interessante degli accorgimenti di mamma.
Feci un bel respiro, domandai gentilmente al signore sulla cinquantina davanti a me se potesse portare fuori dal treno anche i miei bagagli, presi in braccio il bambino, e con estrema attenzione scesi la scaletta.
"Siiiiii, ce l'abbiamo fatta amore! Siamo a Roma!" esclamai non appena ci ritrovammo sul piazzale d'ingresso.
Mi guardai intorno, indecisa se fosse meglio prendere l'autobus o un taxi, ma desistetti immediatamente dalla prima opzione, dato che non avevo idea di dove acquistare i biglietti.
L'appartamento che avevo affittato, a scatola chiusa, si trovava nel quartiere Della Vittoria. Mi ero basata sulla vicinanza al liceo dove mi avevano assegnato, e quello lì era l'unico bilocale che potevo permettermi con il mio stipendio da insegnante.
Soggiorno, camera da letto e bagno abbastanza accogliente, era ciò che traspariva dalle foto sul sito dell'agenzia. Purtroppo non avevo avuto modo, né contatti, per poterlo visitare di persona.
Quando arrivammo sotto il portone in legno del palazzo sperai con tutta me stessa che non ci fossero problemi, avevo versato due mesi d'anticipo, e un piano B non era contemplato, oltre che inesistente.
Per le scale mi sentii tesa, sudavo e le gambe mi tremavano. Provai a dare la colpa all'unica rampa che dovevamo salire per arrivare al nostro piano, ma di certo non si trattava di quello.
"Mamma, ora che siamo qui posso andare a giocare con zio Paulo?"
"Zio Paulo è tanto impegnato, tesoro mio"
"E quando avrà un po' di tempo per me? Non vedo l'ora di vederlo"
Gli risposi che lo avrebbe visto presto, che in quel momento doveva pensare soltanto a decidere se la nuova casa gli piacesse o meno.
La verità era che non sapevo nemmeno che fine avesse fatto zio Paulo, ma non volli spezzare la sua gioia incontenibile, che sfogò togliendosi le scarpe e iniziando a saltellare sul divano di pelle bianca.
Gli arredi mi ricordarono molto quelli dell'appartamento di Dybala nel nostro amato palazzo storico torinese, la mobilia che i trasportatori avevano scaraventato su tutto il pianerottolo interrompendo la mia quiete, indispettendomi.
Il mio amore era stanco, non mangiò e non volle sentir ragioni al riguardo, aveva deciso che era il momento del pisolino. Aprii tre scatoloni prima di trovare quello in cui avevo riposto le coperte, lo avvolsi come in un sacco a pelo e gli feci adagiare la testa sopra un cuscino da seduta.
"Per quanto tempo dovrò dormire sul divano?"
"Il tempo che la mamma disinfetti il letto e ci metta le coperte"
Per inaugurare il nostro nuovo luogo dei sogni, dove avremmo riso, pianto, ricevuto notizie belle e notizie brutte, mi sedetti di fronte al pianoforte verticale, che avevo comprato grazie alla vendita del coda che tenevo nell'appartamento dei miei, e iniziai a suonare la Moonlight di Beethoven.
Quando ancora non conoscevamo la malattia di Paulino, ogni sera prima di andare a dormire eseguivo un brano per lui, e quella Sonata era sempre stata la sua preferita.
Lo avevo educato all'ascolto della musica sin da quando lo portavo in grembo, non perché volessi che seguisse le mie orme, ma perché credevo nell'alienazione dell'arte più che in qualunque altro tipo di essa.
Schopenhauer la considerava la forma più misera per allontanare la volontà, quasi imparagonabile alla compassione, che a sua volta non era minimamente possibile mettere a confronto con l'ascesi.
Io la reputavo la forma suprema di estraniazione, seppur breve, credevo fosse l'unica in grado di ridurre il carico di pesantezze che eravamo costretti a sopportare. Di certo non bastava ad eliminarlo, ma nella vita vera, e non nell'Iperuranio, non ci sarebbe riuscita nemmeno la rinuncia ad ogni forma superflua.
Continuai a suonare anche dopo che Morfeo lo aveva da tempo attirato tra le sue braccia. Mi persi nei pensieri, quali il fatto che a breve sarebbero iniziati i Mondiali, e che di conseguenza Paulo sarebbe mancato per tanto tempo, che non avevo la più pallida idea di come contattarlo, quantomeno per fargli sapere che eravamo a due passi da lui.
Per un attimo mi balenò l'idea di prendere qualche mezzo di trasporto e raggiungerlo a casa, tanto bastava googlare il suo nome per sapere dove si trovasse, ma mi parve ridicolo. Avrei potuto trovare Oriana, e non ero certa che lui le avesse parlato di tutto ciò che aveva in mente, infondo credevo che fosse rimasto un segreto tra di noi.
Sperai di no, perché avrebbe significato nascondere qualcosa d'importante alla sua ragazza, e segreti equivalevano a bugie, che ci eravamo già fin troppo permessi durante la sua storia con la Cavalieri.
Gli avevo detto che non sarei voluta ricadere negli stessi errori, eppure ero nella capitale da nemmeno tre ore e lo stavo già rifacendo.
Da Eva, 03:45:03 p.m.
"Cazzo Paulo, puoi rispondermi per favore? Non stiamo giocando qui"
Da Eva, 03:45:57 p.m.
"Puoi deludermi quante volte ti pare, ma se hai intenzione di fare del male a mio figlio con i tuoi atteggiamenti del cazzo, ti giuro, ovunque tu sia vengo a spaccarti la faccia"
Non avrei voluto arrivare a tanto, se fosse dipeso soltanto da me lo avrei archiviato come le numerose volte precedenti, seppur molte decise dalla sottoscritta. Di certo mi avrebbe fatto sentire triste, sola, abbandonata, ma la sua vicinanza mi sarebbe mancata per non più di qualche giorno.
Ero stata diverse volte tentata di guidare Paulino verso la stessa via, ma era un bambino sensibile, ciò che aveva subito lo aveva reso fragile. Spesso mi capitava di pensare a quando sarebbe arrivata la festa del papà, all'asilo avrebbero iniziato a fare i lavoretti, e lui mi avrebbe chiesto dove fosse il suo di papà. Cosa gli avrei detto?
Probabilmente nemmeno sapeva dell'esistenza di una secondo genitore, non perché lo pensassi stolto, ma perché la sua prima parola era stata "mamma", e in quei tre anni il vocabolo "papà" non era mai uscito dalla sua boccuccia.
Dybala sarebbe potuto essere la figura maschile che gli mancava, di fatto lo era da tempo già diventato, dato che veniva cercato dal piccolo in ogni dove e in ogni momento.
Pensai a quando sarebbe cresciuto, a chi avrebbe scelto tra noi due quando avrebbe avuto necessità di comunicare cambiamenti importanti nella sua vita, come l'aver perso la verginità o l'aver fumato la prima canna.
Non volevo essere l'unica opzione disponibile.
Il telefono squillò e imprecai silenziosamente per essermi dimenticata di togliere la suoneria, guardai lo schermo e mi pietrificai.
"P-pronto"
"Ciao Eva"

Él 2 ||Paulo DybalaWhere stories live. Discover now