Lasciamo fare al tempo

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Eva

24 dicembre 2022

"In che senso non sarai qui domani?"
"Mi dispiace, hanno organizzato l'ennesima cena per festeggiare, non posso non presentarmi"
"E me lo dici alle cinque del pomeriggio della Vigilia? Ti pare normale?"
"Qui a Buenos Aires è mezzogiorno, non ci avevo pensato"
"Beh, sarebbe stato comunque troppo tardi"
Presi un respiro profondo e mi trattenni dal troncare improvvisamente la chiamata, come avrei voluto fare.
"Come cazzo dovrei dirglielo io adesso?" strillai.
"Non lo so, suppongo capirà, ho appena vinto un Mondiale!" esclamò con insopportabile insolenza.
"Ha solo tre anni, questo non è un fottuto gioco, Paulo! Come pretendi possa capirlo?"
"Mi dispiace, Eva" ripetè per l'ennesima volta, poi riattaccò.
Non ci vidi più dalla rabbia, scaraventai il cellulare contro il parquet, riducendo lo schermo in mille pezzi. Per fortuna Paulino non era in casa, ma al compleanno di un compagno della nuova scuola materna, e non dovette assistere a quella scena penosa.
"Vaffanculo, non posso crederci!" dissi ad alta voce, sapendo non potesse sentirmi nessuno.
Mi portai la mano sinistra sul fianco e la destra in fronte, cercai di regolarizzare il respiro e mantenere la calma, per evitare di distruggere altre cose in casa. Iniziai a disperarmi quando mi resi conto di non potermi permettere un cellulare nuovo, non avevo risparmi da parte, erano stati tutti investiti nell'appartamento e nel trasloco.
Lo odiai ancora più forte, per non rendersi conto dei sacrifici che avevo fatto per lui, e per la sua non riconoscenza in merito. Sapevamo perfettamente entrambi che se avesse voluto avrebbe rifiutato l'offerta e sarebbe corso qui, per passare il Natale con noi. E non mi sarei illusa se non lo avessi sentito dirmi che ero il centro del suo mondo, l'unica per cui ne valesse la pena.
Non ero psicologicamente pronta a realizzare che la sua fosse l'ennesima menzogna perciò, prima di annegare, mi ricomposi e mi sedetti al pianoforte, l'unico modo che conoscevo per liberare la mente dai pensieri bastardi.
Mossi le mani sui tasti senza leggere nulla, e la memoria muscolare mi portò verso "Our future" di Giovanni Allevi, un brano tratto dal suo ultimo album intitolato "Estasi", pubblicato nel 2021.
Era uno tra i miei pianisti e compositori preferiti, per altro lo sentivo molto vicino a me, in quanto anche lui lottava contro un tumore causato da una malattia rara, che al contrario di mio figlio non era ancora riuscito a sconfiggere.
Mi lasciai trasportare completamente. Non suonai adeguatamente, tremavo e spesso mancavo le note, ma poco importava.
Quale sarebbe stato il nostro futuro? Nonostante mi ostinassi a mettergli tra le mani quello di mio figlio, sapevo stessi facendo un errore madornale. Lo conoscevo, conoscevo la sua inaffidabilità, ma continuavo ad illudermi potesse cambiare. 
La verità era che gli era impossibile porre gli altri davanti a se stesso, benché avesse quasi raggiunto la soglia dei trent'anni faticava ad abbandonare l'adolescenza, perlomeno mentalmente.
Dovevo rendermi conto che nonostante per noi contasse soltanto Paulo, la cosa non era reciproca, e avrei dovuto imparare a conviverci.
Mi ero annullata per lui, ma non era abbastanza da concederci un pranzo di Natale.
Sotto il piccolo albero che avevamo sistemato in soggiorno, accanto al sofà, c'erano cinque regali, tre dei quali riportavano sulla targhetta la scritta "per Paulino".
Due erano da parte mia, gli avevo comprati nel corso dei mesi quando esprimeva il desiderio di riceverli, così da portarmi avanti. Il terzo ci era stato spedito da Anna già tutto confezionato, non sapevo cosa contenesse e non volli chiederglielo. Nel pacco proveniente da Torino c'era anche una busta per me: il quarto regalo posato in quel momento sul parquet.
L'ultima confezione era ciò che io e il piccolo avevamo deciso di prendere a zio, per dirgli grazie di essere sempre presente. 
Smisi improvvisamente di suonare, mi alzai afferrandolo con violenza e mi diressi in camera da letto. Aprii l'armadio e lo scaraventai dentro, in modo che non dovessi più vederlo e continuare a pensarci. Mio figlio non se ne sarebbe accorto, tantomeno se Paulo non si fosse presentato il giorno dopo.
"Che maleducato del cazzo!" mi lasciai andare, sbattendo i palmi delle mani contro le ante appena chiuse.
Qualche lacrima scivolò sulle guance, e furono meno di quanto mi aspettassi. Non faceva male, ero soltanto delusa. Dentro di me non c'erano sentimenti, non quelli della nostra precedente relazione, ma tenevo tanto a lui, e non meritavo di esser trattata in quel modo.
Ero eccitata nel vederlo, nel parlargli e nello stargli accanto. Lo amavo, sì, ma non come la prima volta. L'amore vero se l'era portato via il Paulo ventenne, e non sarebbe mai più stato in grado di restituirmelo, nemmeno con le migliori intenzioni.
Indossai al volo le scarpe e andai a recuperare il mio nanetto, era sempre bello vederlo scorrazzare in giro felice, circondato da altri bambini della sua età.
La mamma di Brian, il suo amichetto, mi offrì un pezzo di torta che rifiutai, avevo il voltastomaco. 
Il tema del compleanno era Bing, personaggio estremamente in voga tra i bambini. A breve Paulino avrebbe compiuto quattro anni, mi domandai se avrebbe chiesto una festa, dato che fino ad allora non ne aveva potuta avere nemmeno una.
In macchina mi raccontò di quanto fosse stato bello, di come avesse giocato sugli scivoli gonfiabili, bevuto coccola e mangiato rosticceria.
Erano le prime esperienze che faceva, e ne era entusiasta! Al contrario di me, che mi sentivo terrorizzata all'idea che potessero escluderlo o considerarlo diverso.
Dopo trenta minuti buoni bloccati nel traffico riuscimmo a rientrare a casa, dovevo ancora abituarmi alle strade affollate di Roma. Ci aspettava la nostra solita routine: doccia con lavaggio dei capelli, indossare il pigiamo, cena e lettura di una storiella prima di andare a dormire.
Non cambiò nulla, la Vigilia non fu per noi speciale, l'unica cosa in più che facemmo fu guardare il concerto natalizio de Il Volo che trasmettevano in televisione. 
Lo portai a letto alle dieci in punto, concedendogli qualche ora in più rispetto al normale. A causa del Mondiale non riusciva più ad addormentarsi tanto presto.
Mi stesi accanto a lui e per una volta mi sentii rilassata, sapendo non ci fosse alcun rischio che il mattino seguente suonasse qualche sveglia che mi ero dimenticata di disattivare, dato che il cellulare era decisamente passato miglior vita.
L'ultima cosa a cui pensai fu il motivo per il quale si dicesse "passare a miglior vita", dando per scontato che la vita dopo la morte fosse beata. Tutta colpa della narrazione dantesca, dove il paradiso era destinato a pochi, e la maggior parte giaceva nel purgatorio per chissà quanto. Nel peggiore dei casi, si veniva direttamente spediti da Lucifero.
Arrivai alla conclusione che non lo avrei mai capito.

Él 2 ||Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora