Eva's secret

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Da Paulo ad Eva, 15:34:43 p.m.
"Siamo in pullman, vieni a prendermi a Trigoria?"
Da Eva a Paulo, 15:36:27 p.m.
"Va bene, parto ora"

Ero già pronta con le chiavi in mano, aspettavo soltanto il suo messaggio.
Non vedevo l'ora di rivederlo, quelle quarantott'ore erano state impegnative, ma non avevo smesso nemmeno per un secondo di sentire la sua mancanza.
C'era traffico, come sempre, ma arrivai comunque prima di loro. Ingannai l'attesa ascoltando un po' di musica mentre scrollavo sui social, senza prestare la minima attenzione a quello che mi passava sotto gli occhi.
La verità era che morivo di sonno, avevo fatto fatica ad addormentarmi quella notte, e mi ero ritrovata alle tre del mattino a dovermi preparare una camomilla. 
Mi accorsi della sua presenza quando strattonò con forza la maniglia, non riuscendo ad aprire lo sportello perché lo tenevo bloccato dall'interno.
"Volevi lasciarmi fuori?" fu la prima cosa che disse.
"Forse"
Mi baciò, urtando gli occhiali da sole che tenevo posati sul naso.
"Toglili, non riesco a guardarti" commentò.
"Sono spaventosa"
"Sei bellissima"
Gli sfilò, e le sue labbra si posarono nuovamente sulle mie, più a lungo di un attimo prima.
"Buon anniversario, amore mio" sussurrò, e sentii il calore del suo fiato avvolgermi.
"Buon anniversario" risposi.
"Vuoi saperla una cosa?" domandai poi.
"Mmh mmh"
"Dolores ci ha prenotato una cena da Imàgo, e si è proposta di tenere il bambino. Te la senti o sei stanco?"
Mi aveva chiesto di non rivelare la sorpresa allo zio, ma sentivo di doverlo informare, altrimenti per far felici entrambe avrebbe accetto a costo di cadere a pezzi.
"No, non sono stanco. Magari riposo un po' adesso, e in serata sarò fresco come una rosa"
"Non voglio che tu lo faccia per accontentarmi, mi basta dormire abbracciata a te questa notte, posso fare a meno di qualsiasi altra cosa"
"Stai tranquilla" disse, poi m'invitò a mettere a moto, e riportarlo a casa.
Parlammo del più e del meno, della partita che avevano perso, di quanto non fosse contento della sua performance, e di come gli mancavano i vecchi tempi.
"A ventuno anni ero davvero un gioiello, adesso sono un acciacco"
"Non è così, lo pensi soltanto perché non è andata come volevi"
"Lo so, ma a volte è dura, soprattutto accettare il passare degli anni"
Avvicinarsi ai trenta stava a significare contemporaneamente l'avvicinamento al ritiro. Mi auguravo ogni giorno che riuscisse ad avere la stessa temperanza di Gigi Buffon, ma non potevo negare che quando la Juve aveva deciso di non rinnovare il suo contratto avessi pensato che quella era la fine della sua carriera.
Credevo non avrebbe accettato club di minore importanza, non che la Roma lo fosse, ma rispetto alla società che nel 2016 aveva lottato all'ultimo sangue per il titolo di campioni d'Italia, l'ultimo anno aveva lottato per la Conference. Una differenza notevole per un calciatore come Dybala, che veniva da vittorie in finale di Champions sfumate.
"Mi fa un sacco ridere come corri in campo" esclamai, per stemperare la tensione.
Era da un sacco che volevo dirglielo, ma non avevo mai trovato il modo.
"Perché?"
"Sculetti, Paulo"
"Non è vero!" si finse offeso.
"È verissimo, invece"
Poi scoppiammo a ridere, rendendo quel momento il più leggero possibile, nonostante fossimo entrambi esausti.
"Poi lo hai aperto quel cassetto?" domandò, dopo attimi di silenzio.
Gli lanciai uno sguardo, attenta a non perdere l'attenzione sulla strada.
"No, ma.."
Mi frenai perché troppo imbarazzata.
"Ma..?"
"Ho trascorso la mezz'ora successiva in doccia"
Si accorse immediatamente del colorito rossastro che si era fatto spazio sulle mie guance.
"Sono sempre io, Eva" posò una mano sul mio ginocchio.
"Sono io che non sono più la stessa, Pau"
E fu così che tra di noi calò il gelo.
Una volta arrivati scese dall'auto senza dire una parola, recuperò la valigia dal bagagliaio ed entrò in casa prima che potessi muovermi dal mio posto.
"Ma che cazzo!" sussurrai tra me e me.
Si chiuse la porta alle spalle, allora mi presi del tempo per recuperare le cianfrusaglie che dalla borsa si erano rovesciate sul sedile posteriore, e soltanto dopo essermi convinta del tutto lo seguii.
Aveva tolto le scarpe, e controllava il cellulare con un ginocchio posato sul bracciolo del divano.
Mi avvicinai, avvolgendogli il torace con le braccia, e accarezzando i suoi pettorali con le mani: si trattava di un gesto che amavo fare ripetutamente, che mi dava l'impressione di una certa intimità tra di noi. 
Sospirò, bloccò il suo iPhone e afferrò il mio polso, cercando di spostarlo. In tutta risposta appoggiai la guancia al centro della sua schiena, e con nonchalance iniziai a sbottonare i bottoni della sua camicia.
Il suo corpo si rilassò involontariamente, ma contrasse la mascella così forte che quando gliela sfiorai ebbi l'impressione che potesse strapparsi da un momento all'altro.
"Non oppormi resistenza" lo pregai.
"Tu non fare qualcosa che non ti va bene, allora"
Lo invitai a girarsi, e mi ritrovai con il suo volto ad un centimetro dal mio.
Mi fiondai sulla sua bocca, e lo spinsi all'indietro, facendolo atterrare sui cuscini morbidi.
"Nena, per favore.." mi supplicò, cercando di scostarmi.
"Dimmi che non vuoi, e mi allontano immediatamente"
Ci fu uno scambio di sguardi che mi fece tremare l'anima. Si avventò su di me con una foga inaspettata, mi strappò il maglione di dosso, e mi strinse le spalle come se volesse trattenermi, per paura che potessi scappare da un momento all'altro.
"Sei sicura?" domandò ancora.
"Smettila di chiederlo"
Ormai ansimavamo senza controllo, e sul più bello, quando eravamo in procinto di togliere gli ultimi indumenti che ci restavano, sentimmo il legno della scala scricchiolare.
Alzai lo sguardo, e trovai Lautaro che ci osservava con aria sconvolta.
Ebbi la prontezza di coprirmi il seno con le braccia, mentre Paulo sibilò un "cazzo" a denti stretti, coprendosi il volto con le mani.
"Pensavamo non ci fosse nessuno in casa" commentai.
"Colpa mia, scusate. Non volevo interrompervi" 
Si voltò, concedendoci la possibilità di rivestirci prima di intrattenere qualunque tipo di conversazione.
"Sobrino" lo richiamò Paulo, quando eravamo pronti.
Si avvicinarono e il loro primo istinto fu quello di abbracciarsi. Poi si scusarono l'un l'altro per le brutte parole dettesi, e mi sentii decisamente di troppo in quel loro momento, perciò gli rivolsi un sorriso rassicurante, accompagnato da una carezza sulle spalle di entrambi, e mi diressi in camera nostra.
Passò una buona mezz'ora prima che mi raggiungesse, stendendosi al mio fianco sul materasso.
"Vi siete chiariti?"
"Sì, ed è tutto merito tuo"
"Non ho fatto niente di che, Paulo"
"Nessuno ha il tuo potere nel far ragionare le persone, sei un mostro in questo"
Peccato però che al contempo non esistesse qualcuno in grado di aiutare me nel farlo, perché agire su stessi era molto diverso che farlo sugli altri.
"Dovresti riposare" dissi.
"Non eri della stessa idea poco fa"
"Non lo sono nemmeno adesso, ma mi sembri estremamente stanco "
Si sporse oltre il mio corpo, e con un gesto repentino mi attirò su di sé. Sapevo non me l'avrebbe data per vinta, perciò lo accontentai. Dovevo quella scopata più a lui che a me stessa, e mi ritrovai a fare qualcosa che non mi era mai capitato prima: finsi.
Ci provai, ci provai con tutta ma stessa, ma mi muovevo su di lui e non sentivo niente. Forse non se ne accorse, perché poco dopo aver terminato crollò in un sonno profondo, ma non potevo esserne certa.
Passai le seguenti due ore senza chiudere occhio, aggrappata al suo braccio mentre ascoltavo il suono flebile dei suoi respiri. Poi, ad un tratto, avvertii l'impellente bisogno di fare un bagno, nella speranza di lavare via quell'odiosa sensazione che mi attanagliava lo stomaco.
Piansi a dirotto senza che nessuno se ne accorgesse, mescolando le lacrime alla schiuma che galleggiava sulla superficie dell'acqua contenuta nella vasca. Mi sciacquai il volto, applicando dei patch occhi per sgonfiare le borse dovute all'insonnia e alla tristezza, e alla fine di tutto dovetti convincermi di sentirmi una persona nuova, per il bene del nostro amore.
Quando si svegliò avevo già acconciato i capelli, e stavo finendo di truccarmi.
"A cosa devo questo spettacolo?"
Si riferiva alla vestaglia quasi del tutto trasparente, che lasciava poco spazio all'immaginazione.
"Siamo in ritardo, dovresti darti una mossa" sviai il discorso.
"Perché non mi hai chiamato?"
Non risposi, non lo sapevo. 
Evitai con lo sguardo il suo corpo nudo, che comparve nello specchio alle mie spalle. Mi facevo schifo, ed era troppo dura da affrontare in quel momento.
"Ho intenzione d'indossare qualcosa di casual" lo informai, quando lo vidi dirigersi verso la cabina armadio.
"Tipo?"
"Maglione bianco, pantaloni neri e Gazelle Adidas"
"Va bene madame, allora metto anch'io le Gazelle, e cerco qualcosa che si adegui al tuo outfit"
Sorrisi, avevo sempre desiderato che ci vestissimo matchati, e quando gli avevo nominato le scarpe era come se mi avesse letto nel pensiero.
"Cappotto nero o cappotto color cammello?" urlò per farsi sentire.
"Cammello, sia io che tu, se ti va bene"
Si affacciò dal piccolo stanzino ed esclamò: "le tue scelte mi vanno sempre bene, non metterlo mai in dubbio"
"Non sempre, non è vero, ed è giusto che sia così"
Sbuffò.
"Non mi va di fare polemica, veramente"
Si vestì velocemente, lo seguii a ruota e mentii a me stessa, convincendomi che non stesse accadendo nulla tra di noi.
Uscimmo di casa mano nella mano, poi camminammo per Roma senza mai sciogliere le dita, tranne quando arrivati al ristorante fummo costretti a farlo.
"Stai bene, Eva?"
Non avevamo spiccicato parola dopo aver salutato Paulino e i ragazzi, e mi sentivo stranamente bene in quel silenzio, che mi aveva consentito di alienarmi. Avevo provato le stesse sensazioni di quando prendevo le pasticche: mi guardavo intorno in estasi, sentendo ogni sospiro accentuato, mille volte più forte.
"Sì, Paulo. Sto bene, e tu?"
"Anche io, ma ho l'impressione che tu sia qui controvoglia"
"È da quando mi hai rivisto che sostieni stia facendo qualunque cosa malvolentieri, e onestamente non ne capisco il motivo"
Non stavamo discutendo, i toni erano calmi.
"Non lo so, mi stai trasmettendo questo, a pelle"
"Mi dispiace che lo pensi, sul serio"
"Non è importante, se mi assicuri di star bene ti credo"
"Sembrano i discorsi che facevamo quando ero una drogata, e non sapevi come dirmi che eri preoccupato"
Sbiancò.
"Preferirei che non usassi quella parola"
"Drogata?"
Annuì.
"Scusami, non sapev.."
"No, tranquilla" e chiuse così la conversazione.
"C'è una cosa che voglio chiederti da moltissimo tempo" esordì poi.
Gli feci intendere che lo ascoltavo, e prima di parlare si allungò sul tavolo, e cercò il contatto fisico ancora una volta. Non ci pensai due volte a concederglielo.
"Se ti crea disagio o sofferenza passiamo oltre, non preoccuparti" premise. 
"Va bene"
Mi afferrò con più forza, come se sentisse la necessità di reggersi e reggermi.
"Com'è Jessica ora? Ho sempre cercato d'immaginarmela, ma non ci sono mai riuscito"
Ebbi uno spasmo involontario, ma cercai di ricompormi immediatamente. In tutto quel tempo non ci eravamo mai permessi di affrontare l'argomento, di fatto però senza un apparente motivo. 
"Non dovevo, perdonami"
Cercò di tirarsi indietro ma lo fermai.
"È tutto apposto, sono contenta che tu me l'abbia domandato, e che finalmente abbiamo occasione di affrontarlo"
Sembrò calmarsi, vidi chiaramente la paura di aver fatto qualcosa di sbagliato svanire dai suoi occhi cristallini.
"Non l'ho mai più rivista. La psichiatra del centro dov'ero ricoverata mi aveva consigliato di tagliare i ponti, e così ho fatto. Ho smesso di andare fuori scuola e nascondermi, per controllare che stesse bene senza farmi notare da mio fratello. Non ho mai più rivisto nemmeno i membri della mia famiglia, nessuno"
"Avresti voluto incontrarli dopo quello che ci è successo?"
"Lo credevo, all'inizio, ma poi ho capito che non si potesse fare più nulla. Con questo non intendo dire che ho dimenticato mia figlia, ma per il bene di tutti, il suo, quello di Paulino, il mio e anche il tuo, ho dovuto lasciarla andare"
"Sei la persona più forte che conosca" commentò, e sapevo lo pensasse davvero, il che mi scaldò di nuovo il cuore.
"È tutto okay tra di noi" affermai ad alta voce, come se mi servisse farlo per convincermene.
"Sì, amore mio. È tutto okay"
Cenammo e ridemmo per piccole stupidaggini, come il suo naso macchiato dal purè oppure il fatto che avessi usato un calice di vetro per specchiarmi e ripassare il rossetto. Poi passeggiammo, mi strinsi al suo bicipite e lui mi tenne, mi sistemò la sciarpa sfilandone i capelli restati incastrati, mentre il venticello freddo colorava le nostre guance di un rosa flebile.
Tornammo in villa, tutti dormivano, e ci concedemmo una cioccolata per scaldarci, prima di spogliarci e fare nuovamente l'amore tra le coperte di flanella.
Fu bellissimo, lui era felice, ma io lo avevo fatto ancora, avevo finto ancora. 
No, non era tutto okay.















Él 2 ||Paulo DybalaWhere stories live. Discover now