Il silenzio del corvo

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La luce non si è ancora affievolita del tutto, eppure mi sembra più accecante di prima.
Brilla fervida sopra le costruzioni. Noto con poca sorpresa di avere le guance in fiamme dal caldo.
Quel Nettare deve avere un effetto strano su di me.
Tutta colpa di Ermes, penso.
Ma contro voglia devo ammettere che ne è valsa la pena, non ho mai bevuto niente di simile prima d'ora.
Sposto la mia attenzione sugli edifici lavorati, molti sono posti all'apice di grandi scalinate, dai gradini in pietra. Al fianco dei muri si innalzano colonne di marmo a cui attorcigliate crescono splendide piante dai fiori bianchi.
Saltello verso la colonna più vicina e mi sporgo ad annusare il profumo delle Fresie e dei Daianthus.
La loro fragranza ricorda proprio quella del cielo.
Non riesco più a percepire il tempo e il suo scorrere.
Quanto sarà passato da quando se ne è andato Apollo? E da quando siamo arrivati?
Cammino dritta, percorrendo la strada in mattonelle. Attorno a me ci sono dei che passeggiano e semidei che chiacchierano animatamente tra loro.
Sembrano tutti così a loro agio che quasi mi sorprendo di quanto crudeli possano essere. Ma anche con la mente annebbiata non smetto di dimenticare la loro natura insensibile e cruda.
Cammino tra di loro, e ora gli assomiglio, ma mi riprometto di non diventare mai come loro.
Scuoto la testa confusa, cercando di svuotarla dai miei pensieri nefasti, che si fanno sempre più chiassosi, tanto da farmi venire mal di testa.
Camminando rischio di inciampare su un sasso sporgente della strada, vedo alcuni semidei che ridacchiano alle mie spalle, ma non ci faccio caso. Dopotutto capita a tutti di inciampare. Sorrido nel pensare che sarei potuta cadere, come un sacco di grano mezzo pieno.
Ridacchio anche io.
D'altronde che male c'è? Nel corso degli anni si cade spesso, a volte in ginocchio, altre con il mento a terra a sputare sangue e a piangere lacrime salate. Sono poche le volte in cui si ride quando si cade, quindi perché non farlo ora che è quasi successo?
All'improvviso qualcuno urla alle mie spalle.
《 Attenta 》《 Spostati! 》 Mi giro verso quelle voci, ma vedo troppo tardi la carrozza trainata da cavalli che incombe su di me. Faccio solo in tempo a portarmi le braccia al viso, prima dell'impatto violento.
Serro gli occhi per non assistere alla scena, quando all'improvviso sento qualcuno afferrarmi con prepotenza il braccio e strattonarmi ai margini della strada.
Cado, sbattendo il corpo al suolo duro mentre la carrozza sfreccia imperterrita per la sua via.
Il cuore galoppa forte proprio come quei cavalli, ma con fatica trattengo un risolino.
Chi avrebbe mai pensato che ci fossero le carrozze qui, sulle nuvole. Anche se un po' dolorante, mi volto per ringraziare il mio salvatore ma nel momento in cui sposto lo sguardo, questo non cade su nessuno.
Attorno a me non c'è un'anima, tranne per i divini che stanno accorrendo verso di me.
Li stessi che hanno riso, ma sono troppo lontani perchè qualcuno di loro possa avermi salvata.
Vengo raggiunta da questi, un gruppo di giovani, che presto mi porgono la mano e mi chiedono se sto bene, dicendo che ho fatto una bella caduta. Dopo i dovuti e cortesi ringraziamenti ci separiamo e ognuno torna alla propria attività.
Mi sfrego la spalla su cui sono caduta, ma appena alzo lo sguardo è come se il dolore scomparisse.
Sono più vicina di quanto pensavo al grande castello di Zeus.
Non ho mai visto niente di simile, la sua grandezza è spaventosa tanto da provocarmi brividi lungo la schiena.
Le colonne d'oro sostengono l'ipostilo elaborato, guarnito da dettagli che nemmeno il migliore tra gli architetti umani riuscirebbe a replicare.
I ritmi del castello sono in armonia e perfetti con la costruzione enorme e le rifiniture oro e perla che brillano alla luce del sole, come increspature nell'acqua.
Sono ammaliata da tale imponenza, il centro della città, la dimora dell'antico Padre.
Mi domando quanto stupefacente possa essere l'interno.
La curiosità ammonta talmente tanto che a stento riesco a trattenerla.
Non c'è nessun cancello che lo separa dal resto della città, eppure nel giardino fiorito che lo circonda, tra arbusti sempreverdi e statue divine, non c'è una singola persona ad attraversarlo.
Deduco facilmente che non sia autorizzato l'ingresso agli dei comuni, ma non mi aspettavo tale rispetto di questa regola assoluta.
Mi domando se qualcuno abbia mai provato a disobbedire, e se si, è stato punito?
In tal caso volevo essere la prima, a mettere piede all'interno del castello. Il Nettare mi circola ancora nel sangue, come un fiume in piena, abbondante e vivo, ed è abbastanza forte da non farmi pensare alle probabili e terribili conseguenze.
È proprio quel liquido ambrato che scorre nel mio corpo a muovere il primo passo.
A camminare con me c'è un corvo nero, sbatte le ali al ritmo dei miei passi.
Lo guardo meglio mentre si libra nell'aria e a ricambio del mio sguardo, gracchia.
In lui c'è qualcosa di familiare, qualcosa che richiama alla mente vaghi ricordi, annebbiati dal tempo. Mi distraggo a guardarlo, ma così facendo, faccio solo in tempo a cogliere un'ombra che veloce come un lampo, incombe su di me.
Sento una presa farsi acciaio sul mio braccio, le dita che stringono la mia carne.
Caccio un urlo nelle nuvole ma presto la mia bocca viene tappata da una grossa mano.
Vengo trascinava e adossata alla parete più vicina, quella dell'ultimo edificio prima del palazzo.
Mi dimeno cercando di liberarmi ma sono completamente immobilizzata, una mano mi circonda i polsi, stringendoli ogni volta che provo a divincolarmi, e l'altra mi tiene tappata la bocca, soffocando le mie urla .
Il cuore pulsa come tuoni in una tempesta, mentre cerco di sferrare delle ginocchiate al mio aggressore, purtroppo però riesco a ottenere solo un contatto più ravvicinato con un corpo solido e imponente.
La vista è appannata dal Nettare e la testa mi gira, ma quando sento la sua voce tutto sembra fermarsi.
《 Chiudi quella bocca ragazzina o ti farai uccidere. 》Le sue parole risuonano nel poco spazio che ci separa.
Smetto di dimenarmi per far capire ad Apollo che può lasciarmi andare, ma prima che lo faccia passa ancora qualche istante.
Poi la sua mano strofina le mie labbra e si allontana sempre di più dal mio viso, mentre l'altra smettere di stringere i polsi che ormai si sono arrossati.
《 Mi spiegai qual'è il tuo problema? Non puoi fare sempre così. Mi hai spaventata. 》Sussuro trovando finalmente i suoi occhi.
《 No, qual'è il tuo di problema. C'è una ragione ben precisa se attorno a te non c'è nessuno ed è che non si può mettere piede in questo posto. Soprattutto te. 》Ringhia grutturale. Faccio fatica a comprendere a pieno le sue parole.
《 Io- 》 Cerco di parlare ma lui mi precede.
《 Non mi importa se muori, ma finchè hai quel marchio sulla pelle non posso permettertelo. Ti avevo detto di rimanere nella locanda, dannazione. 》Mi afferra il braccio e iniziamo a camminare veloci per la strada deserta.
《 Mi spieghi per quale motivo sei così agitato? 》Domando di rimando.
Non l'ho mai visto così arrabbiato, nemmeno quando l'ho colpito o gli ho gettato l'acqua addosso. Apollo non mi risponde e continua invece a camminare spedito.
La camminata diventa quasi una corsa, come se stessimo scappando da qualcosa, o chissà, da qualcuno magari. Provo a guardarmi indietro ma alle nostre spalle non sembra esserci nessuno.
《 Si può sapere dove stiamo andando? 》 Chiedo di nuovo e ancora una volta non ricevo risposta. La testa inizia a girarmi vorticosamente, mentre inciampo sui miei stessi piedi.
Se non fosse stato per la presa salda di Apollo, a quest'ora sarei già caduta. 《 Apollo, puoi rallentare? C'è qualcosa che non va. 》Riferisco mentre punto i talloni per rallentarlo. Ormai la vista si è offuscata tanto da non riuscire più a vedere la via che stiamo percorrendo.
Niente palazzo alle nostre spalle, niente colonne di lato e niente strada davanti a noi. Guardo le mani e riesco a malapena a notare che la luce ha iniziato a pulsare.
《 Non dirmi che hai bevuto il Nettare. 》Si ferma, ringhiando ad un passo dal mio viso, ma tanto non riesco a vederlo.
《 Solo un sorso. Ermes ha detto- 》Biascico in un sussurro, ma queste sono le mie ultime parole, perchè poco dopo percepisco la lingua attorcigliarsi e mi è impossibile continuare. Prima di cedere al buio sento le sue mani che mi afferrano il corpo, ma poi...il nulla.

Non riesco ad aprire gli occhi.
Intorno a me percepisco solo il silenzio, e mai è stato tanto bello.
La tranquillità mi pervade il corpo, le vene, le ossa.
Tutto attorno a me è calmo è tranquillo.
Quasi non mi dispiace.
Poi piano piano i ricordi iniziano a riafiorare, uno dopo l'altro come un fiume in piena. Mi sembra di sentire ancora la luce di Apollo sul corpo.
È il momento di tornare alla realtà, mi dico.
Ma se non lo volessi? D'altronde cosa può darmi?
Meglio non rispondere, o rischierei di rimanere in questa pace per sempre. Mi pizzico la coscia con le dita, ancora con gli occhi chiusi, e quel dolore scaturito da un solo tocco sembra propagarsi in tutto il corpo, come un incendio.
Questo mi permette di aprire gli occhi. Sono stesa su un materasso che ormai ha preso la forma delle mie curve.
Non riesco ancora a muovermi del tutto ma la testa per fortuna ha smesso di vorticare.
Evidentemente il Nettare deve avermi fatto male. Mi chiedo se Ermes lo sapesse, ma era anche talmente buono che forse...forse lo berrei un'altra volta.
Mi guardo attorno, mi trovo in una stanza non troppo grande, rivestita da travi di legno levigato, nocciolo forse. È molto rustica, per essere sull'Olimpo.
Mi porto una mano agli occhi, strofinandomeli con foga prima di tirarmi su a sedere.
Esagero e la testa mi gira violenta.
Al mio fianco trovo un comodino, dello stesso colore e materiale delle pareti, e appoggiato sopra c'è un bicchiere d'acqua riempito fino all'orlo.
Solo in quel momento mi rendo conto di quanta sete io abbia, la gola sembra puntigliata da granelli di sabbia. Afferro sibito il bicchiere e ne bevo più che posso, seppur a piccoli sorsi. Non so per chi fosse destinato, ma dopo lo avrei riempito nuovamente e rimesso al suo posto.
Una piccola finestra filtra la luce all'esterno, sembra che in questo posto l'oscurità non giunga mai. Sarebbe un'altro motivo per voler rimanere qui per sempre.
Tra i raggi del sole scorgo i granelli di polvere che vagano senza sosta nel mezzo della stanza.
Mi perdo qualche secondo a contemplarli, ma poi decido finalmente di alzarmi.
Mi tremano le ginocchia tanto che una quasi cede.
Un lieve mal di testa mi martella il capo, ma oltre alla stanchezza, sto meglio di prima.
Cos'era successo? Vaghi ricordi mi pervadono la mente.
La locanda, Ermes, il Nettare, poi il castello, Apollo, le sue mani che stringevano le mie carni.
Piano piano tutto inizia a seguire un filo logico, anche se annebbiato e poco nitido. Alla mia destra c'è una porta con rifiniture nere.
Con la mano sfioro il coltello alla cintura e per fortuna è ancora qui. Tiro un sospiro di sollievo, facendo volare i granelli di polvere per tutta la stanza per poi decidere di uscire.
La porta scricchiola mentre si apre, avvertendo chiunque ci sia dall'altra parte che sto arrivando, mandando a benedire le mie buone intenzioni di essere silenziosa.
Mi ritrovo nella sala principale della locanda, questa volta però i tavoli sono vuoti, e non c'è più il brusio allegro di quella mattina.
《 Finalmente ti sei svegliata, principessa. 》Una voce giunge alle mie orecchie, proviene dal bancone. Il fiato mi si blocca in gola mentre porto le mani alla bocca, sconcertata.
《 Il tuo viso...》 Mormoro tutto d'un fiato. Damen è ricoperto dai lividi.
Un occhio è viola prugna, il sopracciglio spaccato e la guancia gonfia gli contornavano il bel viso. Sembra non importargli molto, continuava a lavare e asciugare quei maledetti boccali come se niente fosse accaduto.
《 Cos'è successo? 》Chiedo avvicinandomi a lui.
Io sono successo. 》Una voce profonda come pervasa da un rantolo di rabbia, giunge dalle mie spalle.

Il Sole è sceso sulla Terra Where stories live. Discover now