Gli occhi dell'Oracolo

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Non riesco a fare a meno di pensare a quello che è successo.
L'incontro con il segugio mi ha lasciato una strana sensazione ad appesantirmi le spalle.
Ormai il sole è risorto, calato e risorto un'altra volta.
Proprio come aveva detto Apollo siamo arrivati a Delfi alle prime ore del giorno, di fatti l'alba illumina di arancio le strade della città.
Apollo, con mio stupore, ha insistito per curarmi le ferite.
Mi dolevano, non erano troppo profonde. I tagli erano lunghi certo ma sarebbero guariti in futuro.
Ha passato le sue dita su di me, con una lieve pressione le ha posate sulle ferite e la leggera luce che emana si era fatta più vivida, e d'incanto la pelle si è cicatrizzata sotto ai miei stessi occhi, senza il minimo dolore, solo una strana dolcezza.
Da sotto le mie ciglia ho notato, dalla piccola smorfia che ha fatto, quanto fosse stanco. Anche se cercava di nasconderlo.
La mia testa è un'insime di pensieri che non so come gestire, per questo preferisco ignorarli, mettere da parte tutto per concentrarmi sulle rivelazioni che ci verranno dette.
《 Sono curiosa di sapere com'è il Tempio. Non sono mai stata in una città tanto grande. Dici che dopo aver consultato l'oracolo potremmo farci un giro? 》Gli propongo mentre camminiamo fianco a fianco.
Spalla contro spalla.
Alle prime ore del giorno la città è ancora più bella.
L'aria è pulita e i primi mercanti si cimentano nei preparativi del mercato, animando la città di vita genuina e semplice.
Tu potrai fare quello che vorrai. 》Mi dice continuando a guardare dritto davanti a sè.
Sbuffo anche se ormai la sua indifferenza non mi scompone più.
I mattoni della città sono di un tono caldo che mi riscalda la pelle dal freddo mattutino.
Camminando passiamo davanti ad una stalla e l'odore forte ci raggiunge velocemente.
Ci sono cavalli e asini già svegli che brucano il fieno nei secchi arrugginiti mentre muovono la coda a destra e manca per difendersi dalle mosche che li tormentano.
Dal punto in cui ci troviamo compare alto il tempio, mostrandosi per tutta la sua grandezza e bellezza.
Non sto nella pelle al pensiero di visitarlo.
La bellezza degli interni è narrata in tutte le storie legate alla città.
Fremo dalla curiosità.
Sono talmente distratta che non mi accorgo dell'abbeveratoio posizionato proprio davanti a me e con un sonoro tonfo ci cado dentro come pioggia in un lago.
Questo sotto il mio peso cede e insieme ci rovesciamo su un cumulo di sterpaglia per asini, i quali per lo spavento riescono a slegare le redini con un paio di strattoni e a scappare via ragghiando.
Segue un momento di silenzio, da parte mia un incredulità divina.
Sono ricoperta dalla testa ai piedi da questi fili d'oro, bagnata e infreddolita.
Una fragorosa risata e ormai familiarmente irritante incombe su di me.
Vedo attraverso la finestra della locanda affianco, lo stato in cui mi trovo e non riesco a non scoppiare a ridere, seguendo a ruota Apollo.
Ridiamo fino alle lacrime e ai crampi alla pancia, finchè dalla locanda non sentiamo una voce al quanto arrabbiata.
Il proprietario cammina verso di noi, con impeto, furioso perchè ho ribaltato l'abbeveratoio e ho fatto scappare gli animali.
Impreca contro di noi con i pugni serrati e non lo vedo esitare a prendere un forcone.
Apollo in un secondo è al mio fianco e presto mi afferra un braccio per issarmi.
Non perdiamo tempo e cominciamo a correre a perdi fiato, mentre le nostre risa risuonano per tutta la città come bambini che si rincorrono, mentre ci scuotono il torace con suoni profondi e genuini.
Corriamo finchè non vediamo che alle nostre spalle che il proprietario si è arreso ed è piegato sulle ginocchia mentre cerca di riprendere fiato.
A quel punto ci nascondiamo dietro ad una casa, troppo stanchi e divertiti per notare che abbiamo raggiunto il Tempio.
Una sensazione diversa dal solito si propaga nello stomaco.
È da tempo che non provavo una simile gioia.
《 Siamo arrivati. 》Dice Apollo e la magia sembra finire.
Torniamo seri e l'atmosfera si fa più fredda.
Non ne riesco a capire il motivo perchè per entrambi doveva essere una grande svolta.
Ma ora che ci ragiono una certa ansia mi conquista per l'incerta sorte del mio marchio.
Con un grande respiro, tornato da poco normale, mi avvio verso il Tempio. Apollo mi segue.
Passiamo oltre le bianche colonne che si innalzano a reggere il grande soffitto e i miei stivali risuonano sul pavimento lindo.
Un odore di incensi si fa ospite nei miei polmoni e più camminiamo verso il centro più il buio cala e trasforma l'ambiente già tetro.
Qualche candela è stata posta lungo il corridoio all'interno del Tempio e una nebbiolina fatta di fumo proviene dai bastoncini bruciati.
In fondo alla sala, colma di panche, si muove una sagoma dalle dolci curve.
《 Bentrovato mio Signore. Benvenuta giovane ragazza. 》Dal buio la sua voce risuona tra le pareti, puntigliosa e con l'eco che la segue.
Stringo le mani per reprimere i brividi che mi mette questo posto.
《 La vostra voce mi è giunta da molto lontano. 》 Dice sonora e chiara mentre si avvicina dal trono su cui sedeva.
Cammina rivelandosi piano alla luce delle candele, sorpassando il grande altare su cui poggiavano.
Un vestito nero risalta tutta la bellezza della sacerdotessa. Ricami raffinati e drappeggi d'oro sono stati cuciti sulla stoffa scura che segue le curve del corpo curato.
I capelli sono sciolti e lasciati cadere sulle spalle in abbondanti boccoli, il suo viso è dolce, le labbra carnose ma lo specchio del cuore stava negli occhi. E questi sono dei pozzi talmente bianchi che mi domando se non sia cieca, e lunghe ciglia a contornarli.
Pizia posa i suoi occhi su di me prima che un leggero e accennato sorriso le spunti sul viso.
《 Dolce Elaine, è un piacere riuscire finalmente a conoscerti. 》Mormora con un tono di voce alto abbastanza da farsi sentire.
《 Sapevi del nostro arrivo? 》Chiedo guardandola meglio.
Lei si limita ad annuire per poi farmi segno di seguirla. E così faccio.
Tiro un'occhiata ad Apollo.
Mi sembra strano che non abbia fatto ancora nessun tipo di commento sarcastico o crudele.
La Sacerdotessa ci fa sedere su due sedie poste sull'altare, abbastanza vicine da far sì che le nostre cosce si tocchino. Una scarica mi invade il corpo quando ci sfioriamo, percorrendo i fili delle vene fino ad arrivare al petto.
Il vestito della donna tocca di qualche millimetro il pavimento e segue ogni suo movimento come un'ombra, mentre lei va oltre una porta robusta immersa nel buio, che cigola rumorosamente quando la apre.
Sento gli occhi del dio su di me e provo in qualche modo a non fargli percepire il mio timore, ma questo sembra non bastare.
《 Come saprai lei ha il dono della profezia. Non vede attraverso i suoi occhi ma sa leggere i tuoi. La vista è stato il suo prezzo per un tale dono. 》 Non è l'unica ad avercelo perchè Apollo sembra leggermi ogni pensiero.
《 Lei ci dirà quello che vogliamo davvero sapere. Quindi inizia a pensare intensamente al marchio invece di sprecare questa occasione, chiaro? 》
Ed eccolo qui, il vero Apollo.
Nonostante tutto annuisco, guardandomi i segni che mi solcano il braccio, leggeri e brillanti come sempre.
Sotto la luce delle tenebre questi sembrano splendere ancora di più. Provo un senso di conforto quando li tocco, quando li guardo.
Mi calmano in un modo che non sono mai stata in grado di fare da sola.
La Somma Sacerdotessa arriva con due ciotole di legno levigato in mano e le posa ai nostri piedi. Sono piene di quella che credo sia acqua, ma da questa proviene uno strano odore di bosco, a tratti di bruciato e di ferro. Sangue.
Pizia estrae da dietro la sua schiena un lungo pugnale. Prende la mano di Apollo tra le sue, si mette davanti a lui con sguardo solenne mentre questo annuisce.
La lunga lama lacera il palmo del dio quanto basta perchè poche gocce di sangue colino all'interno della ciotola.
Tutto è stato fatto di fretta in quanto la ferita di Apollo ha iniziato subito a guarire.
Guardo il dio e il suo viso concentrato, mentre nella mente gli scorrono immagini a me censurate.
Poi, con passo lento, la donna si ferma davanti a me.
I suoi occhi bianchi mi scrutano con attenzione e sento che le parole del dio si fanno sempre più vere.
Mi sta leggendo dentro.
Un senso di disagio e curiosità mi sovrasta.
Mi prende la mano nella sua e aspetta un mio segno di consenso.
Prendo un respiro profondo e annuisco.
La Sacerdotessa avvicina il pugnale al mio palmo e un lampo di dolore mi fa formicolare la zona graffiata.
Stringo gli occhi per qualche secondo e poi inclino la mano per facilitare il processo e far precipitare nel liquido più gocce possibili.
Immediatamente la sala del Tempio scompare e tutto si fa nero.
Ricordi della mia infanzia scorrono davanti a me.
Suoni lontani, di risa, di pianti e parole, parole che non riesco a capire, dette sotto un cielo stellato, accanto al fuoco.
Sento sul corpo le carezze gentili dalle mani di mio padre, i suoi baci ruvidi sulla guancia, le cantilene intonate da mia madre.
Poi tutto si ferma. Una voce spaziale invade i miei ricordi.

Ove la luna tramonta e il sole scompare.
Una consapevolezza porterà dolore.
E la disperazione di un rosso fiore lacererà il tuo cuore.
La libertà cessa e il buio incombe, sotto stelle di ombre tutto scompare nell'abisso più profondo.
Rivendica il bacio dell'alba, prima che il tramonto passi le dita sul tuo corpo.

Ritorno in me.
Sento le guance rigate da lacrime colme di puro dolore.
Cos'è successo? Di chi era quella voce? Era fredda quanto il ghiaccio.
Mi giro tremante verso Apollo e anche il suo viso sembra quasi più pallido.
I suoi occhi di solito inespressivi questa volta comunicavano sgomento e sono puntati verso di me.
Mi guardo attorno, la Somma Sacerdotessa è sparita.
Un silenzio pesante aleggia tra noi due.
Apollo mi da il tempo di riprendermi da quello che ho appena visto, poi con calma si alza.
Non una parola in cui mi domanda cosa mi sia apparso e per questo ne sono davvero grata.
Decido di alzarmi anche se le ginocchia fanno ancora fatica a reggere il mio peso.
Mi prendo qualche momento, ciò che basta per stabilizzarmi e muovo un passo.
Non so cosa pensare, tutto mi sembra così confusionario.
Apollo si avvicina a me talmente silenziosamente che me ne accorgo solo quando appoggia la sua mano sulla mia schiena per incoraggiarmi ad andare avanti.
Ci conduciamo fuori a vicenda.
Passiamo tra le colonne imponenti di cui non riesco più ad apprezzare la bellezza, fino ad arrivare fuori e la luce del sole mi costringe a chiudere gli occhi, cercando di abituarmi a quell'intensità.
La mano di Apollo si scosta dalla mia schiena e per qualche strano motivo ne sento la mancanza.
Lascia solo un vuoto cupo.
《 Ad-adesso cosa facciamo? 》Chiedo titubante senza osare guardarlo perchè in cuor mio conosco già la risposta.
《 Gli accordi erano chiari. È il momento di dirci addio. 》 Il suo tono scalfisce ogni mia speranza.
È arrivato il momento.
《 Segui la via, a destra troverai una taverna. Basterà che tu gli faccia vedere il pugnale e potrai alloggiare lì quanto vorrai. Cerca la proprietaria. 》
Lo fisso incantata, perchè si spinge a tanto?
Guardo il suo bel viso e mi convinco di doverlo dimenticare.
Mi sforzo di sorridere perchè dopotutto mi ha salvato la vita parecchie volte e gliene sono grata, anche se per metà è stato lui a metterla a rischio.
Il dio armeggia con la sua tunica ed estrae il magnifico e familiare pugnale con cui ho vissuto innumerevoli avventure.
《 Prendi. 》
《 Credevo l'avessi buttato. 》Sorrido afferrandolo per l'elsa e godendo del contatto con le rifiniture lisce.
Fa un cenno con le spalle.
《 Allora, grazie. 》Mormoro stringendolo fra le mani.
Apollo annuisce fino a che non ci diamo le spalle, camminando in direzioni diverse e allontanandoci l'uno dall'altra.
Una sensazione strana mi pervade il petto e lo stomaco, qualcosa di molto simile alla malinconia si propaga in tutto il corpo ma colpisce feroce la mente e il cuore.
Mi convinco che è perché ora non ho più una pista, e nemmeno l'aiuto di un dio.
Ho solo me stessa. E dovrà bastarmi, almeno per questa volta.

Il Sole è sceso sulla Terra Where stories live. Discover now