Capitolo 1

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"Cosa ne pensi del nuovo professore di balistica?" chiedo a Raquel mentre torniamo verso il dormitorio dopo aver preso qualcosa da mangiare prima della nostra intensa sessione di studio pre esame.
"Credo che sia uno stronzo maschilista" mi risponde lei con tono cinico, la vedo arricciare il naso come fa quando si innervosisce per qualcosa.
"E lo dici perché?" le chiedo.
"Ti ha guardato il culo costantemente Alicia. Veramente non te ne sei resa conto?" mi domanda voltandosi solo qualche secondo per guardarmi, il giusto prima di darmi nuovamente le spalle, sbuffare e riprendere a camminare a passo svelto lasciandomi indietro.
"Raquel credo che tu debba rivedere il significato di maschilismo. Lui è un porco, ma non è maschilista, le donne le ammira parecchio" le rispondo io ridendo.
"Me importa una puta mierda del significato di maschilismo. Ti ha guardato il culo. A te! La mia ragazza!" ringhia, poi apre la porta della sua camera e se la richiude alle spalle sbattendola. Io scuoto la testa pensando a quanto sia gelosa quando si tratta di me. Le sue reazioni sono sempre spropositate e se la conosco bene cambierà idea in fretta. Dopo meno di due minuti infatti la porta si riapre lasciando spazio al suo musino imbronciato.
"Sei carina quando fai questa faccia" le dico io. Lei mi fa una linguaccia e poi mi accoglie nella stanza che divide con Victoria, una delle persone che preferisco al mondo.
"Stai zitta" digrigna i denti lei.
"Vic?" le chiedo informandomi su dove sia la nostra amica.
"Salta la prima ora di studio" mi risponde. Stiamo seguendo tutte e tre un programma molto ferreo per la preparazione di questa sessione che sarà la più pesante, è infatti l'ultima prima della laurea.
"Da quando sta con Miguel batte la fiacca, la devo sgridare" sussurro io grattandomi la fronte. Raquel annuisce prima di sedersi e aprire i libri per cominciare a studiare.

Questa era la nostra vita durante gli anni di accademia. Seguivamo lezioni, mangiavamo avanzi della mensa, studiavamo come pazze, davamo esami, ci allenavamo e trovavamo sempre almeno dieci minuti ogni giorno per stare insieme. Ci siamo amate subito, i nostri sguardi si sono incrociati nel corridoio del dormitorio la terza settimana di accademia e da allora siamo state inseparabili, dove c'ero io, c'era lei. Era come se non potessimo respirare l'una senza l'altra. Facevamo invidia a tutti, eravamo le migliori, complementari in tutto. Poi però il giorno della laurea litigammo, litigammo tanto perché realizzammo di essere diverse. Io volevo eccellere in polizia, Raquel voleva una famiglia, dei figli, una casa e un cane. Io le dissi che non potevo darle nulla di tutto quello, dissi che io ero fatta per amare lei e non per condividerla con qualcuno che ci avrebbe assorbite completamente. Non ho mai voluto avere figli, mai nemmeno per un secondo. Ma per quanto quella litigata sia stata terribile, so che le cose si ruppero proprio quel pomeriggio, eravamo solo troppo cieche per accorgercene.

"Raquel, sono passate quattro ore..." dico non appena sollevo lo sguardo dai libri accorgendomi delle lancette sull'orologio che segnano le 19.
"E?" mi domanda lei guardandomi perplessa.
"C'è qualcosa che non va, Vic non fa mai tardi senza avvisare" sussurro io mentre la paura si fa spazio dentro di me. È inconscia, ma c'è. Mi sento strana, ho una morsa allo stomaco che non lascia pensare a qualcosa di buono.
"Che intendi?" e proprio mentre Raquel mi pone questo quesito delle nocche battono ritmicamente sulla porta della sua stanza. Mi alzo in silenzio, ogni passo che faccio in direzione di quel suono sembra pesarmi, come se ci fosse qualcosa a respingermi. La scena che mi trovo di fronte quando apro conferma ogni mia paura.
"Questa è la stanza di Victoria Calita?" mi domanda uno dei due poliziotti che si stagliano in tutta la loro altezza sull'uscio della porta. Vedo i suoi occhi correre via cercando di evitare i miei.
"No" dico semplicemente.
"Devo chiedervi di seguirci immediatamente in un luogo più consono" si intromette l'altro.
"No" ripeto scuotendo la testa ossessivamente.
"Va tutto bene, dovete venire con noi" continua lo stesso che ha parlato pochi secondi prima, l'altro invece sembra non avere il coraggio di guardarmi negli occhi.
"NO!" urlo cadendo sulle ginocchia. Quello sguardo che mi ha riservato il primo uomo può significare solo una cosa, l'ho studiato, è la prima regola: empatia prima di dare una brutta notizia.
"Che cosa..." sento la voce di Raquel raggiungermi alle spalle.
"NO!" urlo ancora, è l'unica parola che riesco a formulare prima di scoppiare in un pianto sofferto.
"Che cazzo sta succedendo?" sento tuonare da dietro le spalle dei due poliziotti. È la voce del preside Milagros.
"Stavamo chiedendo alle ragazze di seguirci, ma una di loro ha iniziato a..." prova a parlare ma viene interrotto da Raquel che, dopo aver incontrato per una frazione di secondo i miei occhi comincia a scuotere la testa.
"No no no" dice indietreggiando e crollando seduta sul letto. David Milagros mi prende dolcemente per le spalle portandomi sul letto accanto a Raquel, poi si inginocchia e ci guarda.
"Victoria è stata vittima di un omicidio, è stata pugnalata e strangolata. Il suo corpo giaceva nello sgabuzzino delle scope quando un'addetta alle pulizie l'ha trovata. I soccorsi sono giunti sul posto in quattro minuti in seguito alla mia chiamata, purtroppo però non c'è stato nulla da fare, Victoria era già morta quando sono arrivati" ci dice. Usa un tono delicato perché siamo noi, ma ci fornisce tutti i dettagli di ciò che è accaduto perché, come lui stesso ci ha spiegato più e più volte, la mente ha bisogno di tutte le informazioni per elaborare la perdita.

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