Capitolo 7

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Mi avvicino alla poltroncina dove Paula, ancora con gli occhi impastati dal sonno, attende una risposta. In questo breve percorso mi balenano nella mente diverse ipotesi. Potrei mentire. Potrei ignorare la questione distraendola in qualche modo e sperando poi che se ne dimentichi. Potrei farneticare qualcosa a proposito del fatto che deve aver sognato. Oppure potrei semplicemente dirle la verità, in fondo Paula non è più una bambina, non lo è da parecchio tempo.
"Vieni" la incito sedendomi sull'altra poltrona. Lei zampetta fino a me e si arrampica fra le mie braccia come faceva quando era più piccola.
"Quello che sto per raccontarti è importante Paula, non sei più una bambina e voglio dimostrarti che ti guardo come la ragazzina sveglia e intelligente che dimostri di essere. C'è però una cosa che devo chiederti: intimità. Sto per parlarti di qualcosa che devi custodire gelosamente almeno per un po', non lo devi dire a nessuno, nemmeno alle tue amiche o a zia Sole. A nessuno. Pensi di poterlo fare?" le chiedo un po' per darle la possibilità di scegliere come una piccola adulta e un po' perché forse spero che mi dica di no per non dover ripercorrere la mia storia.
"Te lo prometto ma" mi dice e io rimango immobile per qualche secondo perché se da un lato immaginavo che questa sarebbe stata la risposta, dall'altro ho sperato davvero che cambiasse idea.
"D'accordo, allora ascoltami bene e prometti di non arrabbiarti per il fatto che non ti ho detto tutto subito, eri piccola e io ancora un po' ferita. - le spiego, lei annuisce e rannicchia le gambe appoggiando la testa sul mio petto pronta ad ascoltarmi - Io non sono nata qui in Spagna, sono araba, sono nata vicino a Rabat, in Marocco. Sono stata adottata quando avevo sei anni, che poi più che un'adozione è stato come andare al mercato e comprare un pollo da mangiare, laggiù si usa così. Sono venuti una mamma e un papà e mi hanno comprata. Mi hanno portata qui ma io non ero felice, ero cattiva, sempre arrabbiata. Ero contenta di avere una vita migliore, nel mio paese non avrei avuto il futuro che ho qui, lì le donne non sono viste come qui, il problema più importante però era che mi sentivo sola." ripenso a quei giorni e sento lo stesso senso di vuoto che provai allora.
"Non avevi amici?" mi chiede la piccola con innocenza, io scuoto la testa.
"No Paula, non avevo amici e non ne volevo avere, l'unica cosa che volevo era tornare a casa mia perché laggiù era rimasta la persona più importante della mia vita" affermo sapendo che può collegare i puntini da sola.
"Zulema" mi risponde, annuisco.
"Zulema era la mia sorellina. Mora con gli occhi verdi proprio come Vì. Avevamo poco meno di due anni di differenza e io la amavo profondamente" le dico.
"E perché non è venuta con te?" chiede Paula inconsapevole del fatto che fino a pochi giorni fa non lo sapevo nemmeno io.
"Perché i miei nuovi genitori volevano una figlia che sembrasse naturale, la mia mamma adottiva infatti aveva i capelli proprio come i miei. Mi hanno cambiato il nome, prima ne avevo uno diverso che per loro parlava troppo delle mie origini e loro non volevano dare troppe spiegazioni" le racconto io.
"Che cattivi" sbuffa lei e non sa quanto ha ragione.
"Si Paula, erano cattivi ma io l'ho scoperto solo qualche giorno fa quando due poliziotti si sono presentati qui a casa dicendomi che c'era bisogno di me per una persona che è stata tanto male, le hanno fatto cose brutte e avevano bisogno che io firmassi per autorizzare i trattamenti medici. Si trattava di Zulema, mia sorella. Ma la cosa mi ha sconvolta Paula e sai perché?" le domando, lei mi guarda rendendo gli occhietti sottili come una fessura, poi improvvisamente li sgrana.
"Tu non sapevi che lei era qui, non l'avevi mai più vista" esclama.
"Sì Paula, io credevo che fosse morta, così mi avevano detto i miei genitori adottivi quando chiesi loro di riportarmela, mi dissero che sarebbero andati a prenderla, in realtà era una promessa che mi facevano dal giorno in cui mi hanno portata in Spagna la prima volta, quel giorno però partirono davvero. Ero felice, ero sicura che l'avrei rivista. Ma quando tornarono lei non c'era, mi dissero che era morta. Io ci credetti. La nostra mamma non era molto capace di fare il genitore, non era una cosa inverosimile in quel paese, morivano tanti bambini. Decisi di nasconderla nel mio cuore e di proteggerla come non avevo saputo fare nella vita vera. E così feci. La custodii dentro di me per più di trent'anni" le dico sentendo un nodo alla gola.
"È a lei che mamma ha dato un rene, vero?" lo sguardo di Paula balla tra me e Raquel che, sorridendole, annuisce.
"Quindi Zulema è qui?" chiede ancora la ragazzina.
"Sì, sta dormendo profondamente da giorni, non sta tanto bene" le spiega Raquel.
"Lei è mia zia come la zia Sole?" il suo sguardo questa volta si incatena al mio non dandomi alcuna via di fuga.
"Sì, ma lei non sa di voi. Zulema ha passato tante cose brutte, non è stato facile per lei e qualcosa è andato storto, ora è in prigione ma una persona le ha fatto tanto male, l'ha presa di mira, voleva ucciderla, proprio come ha fatto con la figlia di Zulema, Fatima. Anche lei era in prigione e le hanno fatto tanto male fino a ucciderla, non sono tutti buoni come zia Tokio, zia Nairobi e zia Stoccolma" si intromette Raquel, non credevo che avrebbe parlato anche di Fatima.
"Perché è in prigione Zulema?" ecco, questa è una domanda che non mi aspettavo.
"Ecco vedi, Zulema...ecco...io..." inizio a borbottare.
"Ha ucciso la loro mamma che le faceva tanto male e il marito che ha dovuto sposare quando aveva più o meno la tua età. Tu sei fortunata Paula, qui i bambini sono bambini. Ma da dove viene tua madre le bambine vengono vendute a uomini brutti e vecchi che non le amano, vogliono solo approfittarsi di loro. E Zulema si è difesa. Certo, non è giusto quello che ha fatto, ma si è difesa perché quell'uomo cattivo e la sua mamma le avevano portato via la sua bambina. Io ucciderei se qualcuno mi portasse via voi Paula. È sbagliato, ma lo farei" le risponde Raquel salvandomi da questa situazione e facendomi capire che è pronta a dire tutto a Paula.
"Tu uccideresti per me?" mi guarda la ragazzina. Abbasso lo sguardo e realizzo che sì, io per Paula ucciderei. Annuisco.
"E avresti ucciso anche per Zulema?" sollevo lo sguardo puntandolo in quello innocente di mia figlia.
"Perché mi fai questa domanda Paula?" le chiedo.
"Perché non sei tornata da lei ma. Tu l'hai lasciata là" afferma lei non sapendo quanto mi fa male sentire queste parole.
"Io pensavo fosse morta Paula, ero una bambina, non potevo andare da sola laggiù" dico, è vero, è così.
"Sì, ma quando sei diventata grande potevi farlo. Potevi tornare lì e magari l'avresti trovata. Tu non l'hai cercata. Hai solo accettato che ti dicessero che tua sorella era morta. Io vorrei essere sicura di sapere che Vì non c'è più. Altrimenti non riuscirei a crederci. Avevi paura?" mi chiede Paula. E io mi sento morire. C'è tanta verità nelle sue parole.
"Il dolore di saperla morta mentre invece io vivevo nel lusso mi ha spinta a provare a dimenticarla, o a non pensarla. Non potevo immaginare che i miei genitori mi avessero mentito su una cosa così importante" le spiego.
"Ti hanno cambiato nome, è evidente che ti volevano come loro e non come lei. Il loro obiettivo era proprio che tu la dimenticassi e dimenticassi le tue origini, altrimenti ti avrebbero almeno permesso di scriverle e di chiamarti con il tuo nome arabo. È così ovvio." SBAM. Ecco come una ragazzina in mezz'ora ha capito perfettamente quello che io non sono stata in grado di comprendere in una vita intera.
"Vorrei che tornassi piccola e innocente" le rispondo io abbracciandola.
"Perché il rene glielo ha dato mamma e non tu?" mi domanda mentre la abbraccio.
"Perché mamma era compatibile, io no" le rispondo, lei mugugna e poi si allontana da me.
"Posso andare a fare una passeggiata?" mi chiede. E io annuisco sapendo perfettamente che cosa vuole fare.

PAULA'S POV

Esco dalla stanza salutando, mi richiudo la porta alle spalle e prendo un respiro profondo. Cammino lungo il corridoio e mi avvicino all'infermiere del banco.
"Posso chiederti una cosa?" domando alzandomi in punta di piedi.
"Dimmi bambina" mi risponde lui.
"Mi chiamo Paula, non sono una bambina. - sbuffo io - Vorrei sapere in che stanza si trova Zulema, per favore" lo guardo da sotto la mia frangetta.
"Sei un pochino piccola per girovagare da sola in un ospedale" solleva le spalle lui.
"Le mie mamme sono le ispettrici del commissariato Alicia Sierra e Raquel Murillo. L'ispettore Murillo ha donato un rene per un trapianto diretto a Zulema, che poi sarebbe mia zia. Puoi dirmi dove si trova? Le mie mamme stanno riposando con la mia sorellina dopo questi giorni pesanti e io vorrei salutare Zulema" gli dico ringraziando nella mente zia Sole per la sua ossessione per Grey's Anatomy che mi ha insegnato qualche parolone medico di cui non credo di conoscere bene il significato.
"Forse dovrei prima chiamare la tua mamma" mi dice lui.
"Ti ho detto che ne ho due. Comunque chiamale pure, lo sanno quello che sto facendo, mi hanno autorizzata loro" fingo una sicurezza che non ho, non so se sarebbero d'accordo.
"Vale, si trova dall'altra parte del corridoio, nella terza porta a sinistra, sai qual è la sinistra?" mi domanda lui.
"Certo, non ho cinque anni. Grazie." gli dico sbuffando ancora e incamminandomi sicura nella direzione che mi ha indicato. Vorrei voltarmi per vedere se sta davvero chiamando mamma e ma, però poi sembrerei sospettosa. Così combatto con il mio istinto e tiro dritto. Una volta raggiunta la porta respiro ancora profondamente, poi abbasso la maniglia ed entro. Sdraiata nel letto, attaccata a tanti tubi, c'è una donna uguale a ma, solo con i capelli neri come Vì.
"Wow" esclamo, poi mi avvicino a lei e le sfioro il naso, ha la stessa piccola conca che c'è anche sul naso di ma.
"Sei proprio uguale a ma. Lei mi ha parlato di te. Tu sei mia zia. Lei ti vuole bene, cercava di ricacciare le lacrime mentre mi raccontava delle cose brutte che ti sono successe ma io la conosco e lo so che stava per piangere. Sai, un po' ti capirei se tu fossi arrabbiata con lei perché anche io le ho detto che ti poteva cercare. Però se la guardi negli occhi si vede che è sincera, lei avrebbe voluto che tu venissi qui, ma pensava davvero che fossi morta. Non l'ho capita subito, io per mia sorella farei qualunque cosa, però poi ho pensato che in realtà se sapessi che lei non c'è più sarebbe davvero difficile per me accettare di vivere in un mondo di cui lei non fa più parte, beh forse preferirei dimenticare che prima c'era. Ma non ti ha dimenticata. Ah, scusami, tu non sai chi è ma. Ma è tua sorella, non so come si chiamava con te, ma ora è Alicia. Io la chiamo ma perché di mamme ne ho due. Tu stavi a Cruz del Norte quindi forse conosci anche le altre mie zie. Mia sorella si chiama Victoria, ma per abbreviare la chiamiamo Vì, ha tre anni e a volte è proprio insopportabile, però non potrei vivere senza di lei. È uguale a te Vì, ha i capelli neri e gli occhi verdi, i tuoi occhi sono verdi? Sai, ma non è la mia mamma biologica, ma mi ha adottata il giorno in cui ha sposato mamma. Cerca di perdonarla, io vorrei avere una zia in più." e così dicendo le do un bacio sulla guancia e mi volto per allontanarmi.
"Ah, io sono Paula, non mi ricordo se te l'ho detto. Comunque sei veramente uguale a ma, mi piaci già" sorrido ed esco dalla stanza. Trotterello per il corridoio fino alla camera dove è ricoverata mamma. Quando entro vedo che sta mangiando mentre ma sta imboccando Vì.
"Bentornata" mi dice mamma. Io le sorrido e mi arrampico sul letto.
"Ti voglio bene" le dico.
"Dove sei stata?" mi chiede ma.
"In giro" sollevo le spalle.
"Non sei mai stata brava a dire le bugie Paula" mi risponde lei.
"Non sto dicendo una bugia" le dico portandomi immediatamente una mano a coprirmi la fronte. Ma mi ha insegnato che quando i bambini dicono le bugie gli esce una stella sulla fronte che solo i grandi possono vedere, da allora mi copro sempre la fronte quando mento, così lei non può vedere la stella.
"Sei terribile" scoppia a ridere mamma mugugnando per il dolore.
"Sei stata da Zulema" afferma ma. Io arrossisco e abbasso lo sguardo.
"Come l'hai capito?" le chiedo.
"Innanzitutto hai deciso di uscire appena ti ho raccontato di lei, poi mi ha chiamata l'infermiere chiedendomi se fosse vero che ti ho autorizzata io ad andare da Zulema perché tu hai usato i nostri nomi per bypassare le regole e poi perché sei mia figlia e ti conosco" mi dice.
"Sono proprio una frana a nascondere le cose" faccio una smorfia io.
"Vuoi raccontarci cosa le hai detto?" mi chiede mamma.
"No, è una cosa tra zia e nipote" sorrido io e loro ricambiano. Le vedo scambiarsi uno sguardo d'intesa, ma non ci faccio più nemmeno caso, loro sono così, sono sempre in sintonia. E io sono felice di avere una famiglia così bella.

* spazio autrice *

Vi ho fatti attendere ma sono sicura che ne valga almeno un pochino la pena.
Che dite?

-Elle 🦂

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