Capitolo 14

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Sono passati dieci giorni e le nostre vite sono cambiate radicalmente. Macarena ha iniziato a lavorare in commissariato. Le ragazze della banda vivono serenamente e stanno facendo vari colloqui per il reinserimento in società, Stoccolma per altro è riuscita a riavere Cincinnati e a breve anche Denver li raggiungerà. Saray e Rizos hanno già trovato i loro lavoretti. Sembra andare tutto per il verso giusto. L'unica da sistemare è Zulema.
"Ispettrice Sierra, volevo anticiparle che oggi dimetteremo sua sorella" mi comunica il medico.
"Grazie, è un'ottima notizia" rispondo io sorridendo.
"Vuole venire con me mentre glielo comunico?" mi domanda lui inclinando leggermente la testa.
"Io? Sì volentieri, sì" dico facendo forza a me stessa.
Torna a casa. Zulema torna a casa. Starà con me e la mia famiglia. Sarà tutto normale, come se la parentesi del carcere non esistesse. So già che avremo la casa piena di persone, si riderà, si starà bene. E poi? Se poi al processo decideranno che deve tornare dentro? Se poi me la porteranno via ancora una volta? E se questa volta fosse per sempre? I suoi capi d'accusa sono pesanti e se il giudice stabilirà che deve scontare la sua pena, non uscirà mai. La paura mi pervade mentre entro nella stanzetta che, da quasi un mese, è la casa di mia sorella. Questo è stato il primo luogo in cui, ancora addormentata, l'ho rivista dopo trentatré lunghi anni. È stato il luogo in cui mi ha odiata e, per qualche attimo, anche io ho odiato lei. Ma è stato anche il luogo dove ci siamo ritrovate e amate come allora, dove la mia famiglia è diventata una cosa sola, dove sono tornata a sorridere per davvero.
"Che cos'è quella faccia Ali? Che succede?" sgrana gli occhi Zulema guardandomi.
"In che senso?" le chiedo accorgendomi di avere il volto corrucciato in un'espressione preoccupata.
"Sembra che ti sia morta la sorella" mi dice lei. Tra noi cala un attimo di silenzio, poi esplodiamo in una risata che alleggerisce gli animi. Il medico ci guarda sollevando un sopracciglio, poi sorride e scuote la testa.
"Beh?" chiede Zulema guardandoci.
"Torni a casa con la tua famiglia Zahir" le risponde il dottore senza troppi convenevoli.
"Che?" la sua espressione è sconvolta.
"Vieni a casa, aspetteremo il processo insieme e intanto potrai goderti un po' di riposo e le bimbe. È arrivato quel giorno Zule, è arrivato il giorno in cui lottiamo per permettere che queste due settimane diventino per sempre" sorrido io sedendomi sul letto. Lei corruccia le labbra in un'espressione buffa che faceva fin da piccola quando non voleva piangere. Mi guarda e annuisce allungando un braccio per stringerlo intorno al mio collo.
"Sei pronta?" le chiedo.
"Sì" mi risponde lei.
"Allora fai le valigie, Raquel e le bimbe sono già qui sotto con la macchina" le sorrido ammiccando. Le ho chiamate io prima di varcare la soglia della stanza. Raquel ha urlato dalla gioia perforandomi un timpano. Abbiamo convenuto di non dire nulla a Maca, stasera avrebbe comunque saltato la visita in ospedale perché ha una riunione importante per il commissariato, con la scusa l'avevo invitata a cena per aggiornarla sulla salute di Zule, sarà bello vedere la sua espressione quando la troverà seduta a tavola.

"Zia Zule!" esclama Paula non appena Zulema apre la portiera.
"Ciao piccolo terremoto!" le risponde la mora dandole un bacino sul naso e sistemandosi in mezzo a lei e a Victoria che le sorride dal suo seggiolino.
"Allora? Pizza?" chiede Raquel.
"Non mangio una pizza da almeno sei anni" borbotta Zulema.
"E pizza sia!" rispondo io telefonando alla nostra pizzeria di fiducia e ordinando due pizze grandi con il salame piccante. Sì, le nostre figlie di tre e undici anni mangiano la pizza solo se è condita così. E se non è sufficientemente piccante ci aggiungono l'olio con il peperoncino. Sono tremende entrambe. Ne faccio lasciare tre fette libere però, per Zulema che non mangia maiale.
Una volta arrivate a casa le bimbe iniziano a tirare la zia verso la loro cameretta, emozionate di poterle mostrare il loro angolino.
"Paula, i compiti. Vì, a sistemare i tuoi giochi. La zia adesso deve venire con me a fare una doccia e ad indossare qualcosa di pulito. Poi andrete voi perché avete bisogno di un giro in lavatrice entrambe. La sua presenza non deve cambiare le vostre abitudini, chiaro?" chiedo con tono autoritario. Paula annuisce mentre Victoria si incammina verso il soggiorno dove ha lasciato costruzioni, trenini e macchinine ovunque.
"Niente bambole?" mi domanda Zulema guardando la piccola.
"Me lo chiedi anche? Ho partorito una figlia che è la tua fotocopia" le rispondo incamminandomi verso la stanza degli ospiti, lei mi segue e quando entra, resta con la bocca aperta.
"Questa è la vostra stanza?" mi domanda.
"No, questa è la tua" le sorrido io. So che è abituata al lusso, casa nostra è molto modesta. Non sono sicuramente il letto o l'armadio a lasciarla sconvolta, bensì ciò che vede di fronte: una finestra con la cassapanca che da su un giardino in cui c'è montata una nave dei pirati in legno, piccolina ma identica a quella su cui io e lei abbiamo trascorso i primi anni della nostra vita in Marocco.
"Non ci hai dimenticate" mi dice.
"Mai" le rispondo io: ho ideato per le mie figlie un angolo che è stato per me un posto sicuro per tanto tempo. L'ho fatto in un pomeriggio di maggio, inconsciamente. Quando ho visto il risultato finale ho sorriso ai ricordi di me e Zule intente a nasconderci in quella nave fingendo di star salpando i mari per trovare un futuro migliore.
Senza più parlare la seguo in bagno, lei si spoglia dandomi le spalle, a fatica solleva prima una gamba e poi l'altra entrando nella vasca da bagno in cui si siede portandosi le ginocchia al petto. Inizio a passarle l'acqua sulla schiena, soffermandomi qualche secondo sulle cicatrici del suo corpo. Quelle più fresche sono state causate dall'incidente in carcere, ma la sua schiena è piena di bruciature di sigaretta e segni di cintura.
"Non chiedere" mi dice lei sentendo una mia lacrima caderle sulla schiena. Io scuoto la testa e continuo ad insaponarla cercando di non pensare al dolore che ha provato.
"Vieni" le dico una volta finito. La aiuto ad uscire ed asciugarsi, poi le porgo un mio pigiama e le lascio lo spazio e il tempo per vestirsi uscendo dal bagno e raggiungendo Raquel che mi aspetta sul divano. Mi accoccolo a lei.
"È a casa" mi dice.
"Sì, per quanto?" le domando nuovamente terrorizzata all'idea che mia sorella possa dover tornare in quel tugurio.
"Ti giuro Alicia che la terremo fuori di lì" mi risponde Raquel e io so che lo faremo davvero, so che ci proveremo.

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