Capitolo 6

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Le luci al neon mi feriscono gli occhi non appena li apro lentamente, sono stesa su una barella e Raquel è su una sedia subito accanto a me.
"Ehi" mi dice quando si accorge del mio risveglio.
"Ehi" le rispondo.
"Come ti senti?" mi chiede. Come mi sento? E io che ne so?
"Questa è un'ottima domanda alla quale però non credo di saper rispondere" le dico io e lei mi sorride comprensiva.
"Zulema è stabile, ma non è fuori pericolo. Ha subito lesioni molto delicate, le hanno asportato un rene, la milza, una parte di fegato e un lobo del polmone. Le somministrano dei farmaci per tenerla in coma, credono che sia il modo migliore per permetterle di riprendersi, ma la situazione è critica. Ciò che li preoccupa di più è la condizione dell'altro rene, è molto sotto sforzo, sembra stare collassando e sta appesantendo gli altri organi. Per il resto sta...bene" mi dice titubando un pochino sull'ultima parola che pronuncia quasi sottovoce.
"Voglio vederla" le dico io alzandomi e lei capisce che è la cosa migliore perché non prova nemmeno a fermarmi, anzi mi segue accompagnandomi in quella stanza. Quando apro la porta sussulto, mia sorella è a pochi passi da me eppure sento la stessa sofferenza che ho provato la prima volta che ci hanno separate trentatré anni fa. Sento che è qui, ma non c'è davvero. Sento che è con me, ma che la sto perdendo senza poter fare nulla.
Raggiungo il lato del letto e mi siedo, istintivamente muovo la mano per portarla sulla sua, ma mi blocco a pochi centimetri da lei. Guardo Raquel che annuisce dandomi il coraggio di cui sento di aver bisogno, così prendo finalmente la mano di mia sorella. La mia pelle si riempie di brividi non appena entra in contatto con la sua, sento gli occhi inumidirsi ma non piango, non riesco a farlo.
"Habibi" sussurro a labbra strette. La chiamavo così quando eravamo piccole, come ci chiamava il nostro papà. "Amore mio", questo significa. Da piccola non lo sapevo, non sapevo quanto meraviglioso fosse il modo in cui io e lei ci amavamo, l'ho capito solo vedendo Victoria guardare Paula nello stesso modo in cui Zulema guardava me. Victoria...se solo ci penso mi fa sorridere. È nata con i capelli neri come l'ebano e gli occhi verdi come il bosco, è la precisa fotocopia di mia sorella e me la ricorda terribilmente tanto, ha un carattere ribelle e determinato che spesso mi ha fatto pensare a Zulema. E mi ha fatto male. Senza pensaci mi accorgo di aver cominciato a cantare quella stessa ninna nanna che canto alle bambine, quella che ho sempre cantato anche a lei quando era piccola.

Yalla tnam, ikfi albakar
Yalla yalla habibi, yalla tnam
Yalla tnam, ikfi albakar
Yalla yalla habibi, yalla tnam

Lei giace immobile, i suoi capelli neri sono una macchia sul candore del cuscino bianco come il latte, vorrei vedere i suoi occhi, vorrei vederli guardare me. Inspiro l'odore della sua pelle, l'avevo dimenticato. E vorrei sentire la sua voce, non la conosco, l'ultimo ricordo che ho di lei è quando urlava chiedendomi di restare. Urlava, ma io non sono rimasta.
"Non è colpa tua Ali, eri solo una bambina, non potevi immaginare cosa sarebbe successo" mi dice Raquel leggendo i miei pensieri.
"Lo era anche lei" rispondo io. E proprio mentre pronuncio queste parole sento il monitor che registra il cuore suonare a un ritmo che non mi sembra assolutamente giusto. Sollevo gli occhi sul suo viso e dei rivoli di sangue le scivolano dal naso. La sacca in cui veniva drenata la sua pipì si arrossa come l'acqua del mare quando uno squalo morde una persona. Non faccio in tempo a realizzare che qualcosa non va, vengo travolta dai medici che si catapultano nella stanza, uno di loro sale a cavalcioni sul corpo di mia sorella e inizia a rianimarla, l'altro urla di preparare la sala operatoria. Di me non si accorge nessuno, resto in piedi in questa stanza cercando con gli occhi Raquel e quando la trovo incastro i nostri sguardi.
"Starà bene" mi dice senza crederci e io annuisco credendoci ancora meno.

Undici ore. Non so più se sia mattina o sera, sono undici ore che l'hanno portata via. Undici ore passate a camminare in tondo nella sala d'attesa e a bere caffè per rimanere attenta. Raquel è andata a casa per portare le bambine a scuola, poi ha chiesto a Sole, sua cugina, di andarle a prendere e di dormire con loro nel caso fosse necessario. Sono state con lei anche durante il nostro viaggio di nozze e sono abituate. Lei ha tre bambini e con loro non si accorgeranno della nostra assenza.
"Signora Zahir?" chiede un medico che non avevo ancora mai visto.
"Sierra, Zahir è mia sorella. Come sta?" domando, non sono più abituata a sentire il mio primo cognome e ogni volta la nausea mi pervade.
"La stiamo riportando in terapia intensiva, l'abbiamo messa in lista per un trapianto di rene, l'organo non ha retto, mi dispiace, va asportato e trapiantato il prima possibile" afferma lui.
"Voglio fare il test per la compatibilità" dico io immediatamente, lui abbassa lo sguardo e scuote la testa.
"Ali, mentre eri incosciente ti hanno fatto una flebo per idratarti e io, sapendo che Zulema poteva averne bisogno e che tu avresti accettato, ho chiesto loro di prelevarti del sangue per analizzarlo. Speravo non servisse ma ho immaginato che se mai ce ne fosse stato il bisogno avremmo velocizzato i tempi..." lascia la frase aperta, non serve che la concluda perché ho già capito tutto.
"Non sono compatibile" affermo e lei annuisce arricciando le labbra con la sua solita espressione di dispiacere. Sarebbe stato troppo come un film: ritrovo mia sorella che credevo morta da anni, è in fin di vita, un rene la salverebbe e il rene glielo dono io. Improbabile.
"Signora Murillo, qui ci sono i suoi esami" dice un infermiere raggiungendo Raquel, io la guardo sollevando un sopracciglio.
"Grazie" dice lei aprendo la cartellina di cartone che ha appena preso dalle mani del ragazzo che ora ci sta dando le spalle mentre cammina verso il banco di fronte alla terapia intensiva, quello in cui ci siamo fermate appena siamo arrivate qui.
"Cosa sono?" chiedo io guardando mia moglie.
"Ho fatto il test anche io, ci ho provato" mi risponde lei intenta a leggere i risultati. Il suo sguardo è perso, vuoto. Poi all'improvviso due lacrime scivolano lungo le sue guance cadendo sui fogli con un suono sordo.
"Non preoccuparti, ci hai provato" le dico io accarezzandole un braccio.
"Sono compatibile" sussurra. Io sgrano gli occhi e scuoto la testa.
"Non prendermi in giro" la guardo prendendole i fogli di mano. Metto a fuoco guardando quell'insieme di numeri e parole e fermandomi su una in particolare.

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