Capitolo 2

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È il suono del citofono ad interrompere questo momento perfetto in cui sento di aver completamente perso ogni tipo di contatto con la realtà. Mentre mi separo da Raquel per andare ad aprire maledico la pizza dimenticandomi istantaneamente della fame da lupo che avevo quando ho deciso di ordinarla. Apro la porta e porgo una banconota da venti euro al ragazzo che mi consegna il cartone fumante, gli faccio cenno con la mano di tenere il resto e torno dentro.
"Immaginavi che sarei venuta a bussare alla tua porta o hai preso da sola una pizza extra large?" la voce di Raquel mi raggiunge alle spalle, mi volto e la vedo appoggiata allo stipite della porta che dà sul piccolo disimpegno prima della zona notte.
"Pancia ha fame" grugno io mentre mi lascio cadere sul tappeto del soggiorno appoggiando il cartone sul tavolino. Lei si avvicina a me e mi imita accasciandosi al mio fianco, poi apre la scatola e prende una fetta di pizza.
"Meno male che metà me la mangio io, lo sai che il tempo del mangiare per due in gravidanza è finito da un pezzo?" mi chiede retoricamente.
"Non mi pare di averti invitata a dividere la mia pizza, Raquel" parlo io con tono perentorio.
"Non serve che tu lo faccia, mi sto autoinvitando io" sorride addentando il trancio caldo e unto.
"Non hai una figlia da cui tornare?" le chiedo.
"Ho chiamato una babysitter proprio per non avere orari, Alicia" risponde lei. Sorrido nascondendo la mia espressione dietro a una fetta di pizza, da un lato questa cosa mi fa pensare che forse non sono la sola ad aver atteso per anni questo momento, dall'altro però il risentimento e il pensiero che fino a due mesi fa lei stesse dall'altra parte del mondo con quell'omuncolo mi tortura la mente.
"Io non posso permettermi di stare male di nuovo Raquel. Ho appena perso l'unica persona che mi era rimasta al mondo, sono incinta di suo figlio e sono sola, non sono più la ragazzina dell'accademia, ora ho delle responsabilità" parlo con un tono talmente convincente che per un attimo anche io credo a queste parole dimenticandomi di quanto io stia aspettando che le nostre labbra possano tornare ad unirsi come sul mio letto.
"Quindi è un maschio!" esclama lei sorridendo, arriccio il naso non capendo, poi ricollego che ho parlato al maschile.
"No, cioè non lo so. Di tutto quello che ti ho appena detto, questo è quello su cui ti sei soffermata? Il sesso di Pancia?" mi innervosisco, a volte sa essere così estremamente superficiale.
"Non mi serve che tu mi dica questo mare di stronzate Alicia, sai benissimo che io e te siamo due metà della stessa mela, sappiamo entrambe che insieme siamo una forza della natura, io sono qui, tu sei qui, finalmente siamo allo stesso punto della nostra vita e non più ai poli opposti. Abbiamo sempre saputo di essere fatte per stare insieme. Vuoi vivertelo o vuoi continuare ad avere paura di lasciarti andare come in accademia?" mi chiede. Vorrei risponderle a tono, giuro che vorrei farlo. Ma un liquido caldo fra le gambe e una fitta lancinante me lo impediscono. Raquel continua a mangiare lanciandomi uno sguardo di tanto in tanto attendendo una risposta che, per quanto io mi sforzi, non riesco a darle. Il dolore mi toglie il fiato e il panico si impossessa del mio corpo. Non riesco a muovermi, apro la bocca ma nessun suono intende lasciare le mie labbra.
"Beh? Sei rimasta a bocc..." non finisce la frase che vede la mia espressione di dolore e i miei occhi fissi tra le mie gambe. Si porta una mano di fronte alla bocca stupita, o sconvolta, non saprei dirlo in questo momento.
"Credo di essere in travaglio" sussurro finalmente.
"Tu dici? Dove hai la vostra borsa? Vi porto in ospedale" mi dice e io sgrano gli occhi.
"Io..." cazzo, cazzo! Sono tre settimane che rimando la borsa dell'ospedale. Io che sono la persona più organizzata al mondo sono arrivata al parto senza niente di pronto.
"Non l'hai fatta...d'accordo faremo così, ti accompagno in ospedale e poi torno qui a prendere le cose" non appena pronuncia queste parole la mia mano si stringe intorno al suo polso applicando forse un po' troppa forza, lo capisco dall'espressione di Raquel. Non riesco ad allentare la presa però, anzi inizio a scuotere la testa compulsivamente.
"No" dico.
"Hai bisogno dei vestiti per te e anche di quelli per Pancia" mi dice.
"Pancia sta per diventare una persona vera e io credevo di poterlo fare da sola ma non posso, non voglio. Non voglio essere da sola, Raquel io..." parlo con il panico nella voce, lei lo capisce e il suo viso si addolcisce istintivamente.
"D'accordo, riesci a farla rimanere Pancia ancora per dieci minuti prima che diventi una persona vera? Vi preparo tutto in un attimo" mi dice, io annuisco e la vedo scomparire mentre le contrazioni si fanno più forti e regolari. Ma non avevano detto che il primo figlio ci mette tanto ad uscire? Pancia è in anticipo di almeno tre settimane e mi sembra che tutto sia fuorché un travaglio lento.

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