Caccia notturna

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Il buio non celava il riverbero sulle grandi piume nere. Faccia di corvo si gettò dal ripido palazzo giù a strapiombo e solo un istante prima di toccare l'asfalto spiegò le ampie ali nere. Sfrecciava a pelo dell'acquitrino melmoso che attraversava la città di Quawr per tutta la sua lunghezza schivando ostacoli, gettandosi sotto i cavalcavia per tornare su per altri palazzi,  le iridi rossastre individuarono la sua preda: un bel topo grasso e succulento che girovagava fra i bidoni dei rifiuti. Per chi avesse guardato non avrebbe potuto vedere come da un momento all'altro il ratto scomparve, faccia di corvo metteva più tempo nella ricerca che raggiungere e addentare la preda.
A rallentatore si sarebbe visto un becco ad uncino strappare le carni del povero animale schizzando intorno sangue e brandelli di pelliccia unta, e denti sottili laschi e aguzzi a triturarlo.

Solo in parte soddisfatto, faccia di corvo proseguì la sua caccia. Dove c'era il buio lui era lì appollaiato come quei uccelli a cui somigliava tanto. Ma lui non era un uccello, non sapeva neanche cosa fosse, non se lo domandava. Era vivo! Esisteva, anche se nessuno lo vedeva.
La sua abilità era questa, una velocità d'azione che lo avrebbe tenuto nascosto ad ogni occhio umano se agevolato dall'oscurità della notte.
Un gatto sporco e ferito si trascinava a bordo strada, gli arti inferiori maciullati da un auto sfrecciata via nella notte.

Testa di corvo si fiondò come d'abitudine, girando su se stesso, e atterrando quasi sul gatto. Qualcosa nello stoicismo di quell'essere gli impedì di cibarsene. Se ne stette così, un ginocchio a terra e un piede e le mani pure a terra per inchinarsi ad osservare quell'essere sanguinante. Faccia di corvo muoveva la testa a scatti per guardare ora con uno, ora con l'altro occhio. Avvicinava il becco e aprendolo svelava quei denti orribili nell'arcata inferiore in un brutto ghigno, e il gatto miagolava e proseguiva la sua fuga dalla fine, ora terrorizzato da quello strano essere metà uomo metà uccello che continuava a seguirlo gattonandogli vicino e mostrandogli i denti.

Non era mai successo che testa di corvo avesse avuto pietà per le sue vittime, ma qualcosa in quel gatto deforme lo accomunava a se stesso, un se stesso che non ricordava, ma era certo di aver strisciato a terrà proprio come lui un tempo. Fu per questa incertezza che qualcosa stravolse gli eventi dell'uomo-uccello.

Miriam Fares percorreva quella strada sei giorni su sette nel tragitto casa-lavoro e lavoro-casa. Lavorava nel centro di ricerca della Gard Biology Genetics Group da circa quattro anni come ricercatrice sotto la guida del dottor Prust.  Stava cercando una stazione radio quando in fondo alla curva vide un bagliore riflesso dei fanali della sua auto su qualcosa di scuro che si muoveva in modo strano. Pensò a qualche animale notturno ma quando l'essere volse la testa ella vide bene gli occhi e scorse le lunghe gambe.

In preda al panico schiacciò il freno, l'auto sbandò pericolosamente, Miriam cercò di riprendere la strada sterzando verso destra, le ruote persero adesione e l'auto si voltò e fermò verso la forma oscura ora illuminato dagli abbaglianti del veicolo. Miriam che ancora tremava sul sedile per il rischio appena corso, si trovò a fissare due occhi gialli verdastri dietro a una strana maschera. L'uomo mascherato era ritto davanti a se ansante forse per la paura di essere investito, con uno strano mantello piumato, le gambe muscolose e magre parzialmente striate di uno strano lucido nero.

Miriam si chiese se potesse essere un tipo pericoloso, scorgeva solo un lembo del labbro inferiore e il mento sottile e spigoloso. Aprì lo sportello lentamente e tirò fuori la testa
«Sta bene?»
L'uomo torse il collo di scatto e tirò su un braccio coperto dallo stesso mantello a coprire gli occhi. Miriam si arrischiò a scendere dall'auto, era una strada in cui soprattutto a quell'ora non passava nessuno, non poteva prendere e andarsene via. Fece qualche passo,
«C'è stata una festa in maschera?» lui non rispondeva, «Ha bevuto per caso?»
Pensò a qualche bravata di studenti universitari, o qualche sorta di rito d'ingresso.
Fece un altro passo e si trovò vicino al paraurti dell'auto. Un movimento alla sua sinistra attrasse la sua attenzione. Il gatto continuava a trascinare tutta la parte inferiore del corpo.
«Oh mio Dio!» corse vicino alla bestiola e lo esaminò. «Ha il bacino spezzato, non so se riuscirò a salvarlo.» disse voltandosi verso l'uomo.

Faccia di corvo spostò la testa da una parte all'altra delle spalle. Aveva sentito lo stridore dei freni e si era appiattito a terra pronto a spingersi verso l'alto non appena l'auto lo avesse sorpassato, così come faceva sempre. E invece aveva visto l'auto sbandare e piombare su di lui, che si era alzato in piedi, e fermarsi a pochi passi. La luce accecante lo aveva paralizzato.
Era rimasto in attesa, pensò che lo avrebbero catturato se non fosse fuggito, e stava per balzare sull'auto quando sentì quella voce.
Un brivido percorse le piume sulla schiena, volse il capo ma non riusciva a vedere oltre la luce. Poi di nuovo quella voce. Capiva cosa diceva, ma non era mai stato tentato a parlare da quando aveva memoria e non lo fece neanche ora.

Ma quando aveva visto la sagoma della ragazza correre verso il gatto fu preso da uno strano tremore. Ora la guardava in quello strano modo torcendo la testa da un lato e dall'altro.
Non più celata dal bagliore della luce ma illuminata da essa la vide girarsi a parlargli, e tornare ad occuparsi del gatto, in quell'attimo aveva visto uno sguardo umano posarsi su di se senza ribrezzo. Quella sera era già la seconda volta che veniva preso da sentimenti contrastanti. Fece un passo verso la donna china sul gatto, arcuò le spalle come per spiccare il volo, ne sentiva l'odore e i battiti. Arcuando i sensi e delimitando gli odori del gatto poteva sentire l'odore del sangue di lei.
Avrebbe potuto assaggiarla, ma nell'istante in cui stava per sferrare l'attacco ella si alzò e gli si mise davanti.
«Ho uno scatolone in auto, cerco di prenderlo e  lo porto in laboratorio, li potrò curarlo»
La vide voltarsi di nuovo e dirigersi verso il baule della macchina.

Voleva morderla! Strapparle un minuscolo pezzo di pelle e succhiare un po' di sangue, l'idea lo fece fremere di impazienza, ma qualcosa lo bloccava.

Nero Where stories live. Discover now