Faccia di corvo

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Faccia di corvo aveva evitato quella zona per molti anni, la vista di quell'edificio opprimeva l'essere fino a spingerlo ad essere più feroce e violento. Aveva seguito l'auto come un tempo ne seguiva un'altra. Sentiva nel suo essere una volontà di contatto che il divorare fauna non riusciva a placare. Mai prima di quell'incontro aveva provato questo genere di sentimenti. Annusava e beccava le piume della sua ala sinistra dove sentiva l'odore delle microscopiche particelle della pelle di lei.

Aveva all'ultimo deviato di poco il suo volo, voleva centrarla in pieno e passarle attraverso, o sollevarla di nuovo e sentirla gridare, o qualsiasi cosa che rendesse conclusiva l'idea che egli potesse avere di lei.
L'aveva vista cercarlo, cercava lui, e quell'idea lo aveva eccitato, lo cercava fra le piante e lui la osservava pronto al secondo attacco, lo infastidì che non riuscisse a scorgerlo e le fece quel richiamo per avere i suoi occhi consapevoli e certi della sua presenza, sentiva ancora fra i denti il sapore del suo sangue e non si capacitava della strana sensazione che gli aveva impedito di frantumare quella sottile spalla. Di nuovo si portò l'ala al becco, la sottile lingua a punta ne ghermì le punte delle piume.

Quando per la seconda volta l'aveva graziata, la rabbia verso se stesso venne riversata sulla civetta che poco prima l'aveva distratta da se, colpevole di avergli rubato frammenti di interesse. Si era sentito felice quando aveva volteggiato costeggiando l'auto di lei, come, forse, la prima volta che volò. Occhi che si posavano su di lui con curiosità e terrore. Un contrasto che lo aveva stupito. E ora aveva bisogno di capire.

Volteggiò ancora una volta sopra l'edificio,  il riflesso su una finestra gli aveva palesato la presenza della ragazza al di là del vetro. Voleva andarsene di lì forse più della ragazza. Ma che qualcuno sapesse che esisteva lo faceva rimanere in bilico fra distruggerlo e circuirlo.
La decisione fu fulminea quanto l'attuazione, si fiondò sul davanzale della finestra.
La ragazza sussultò e si tirò indietro.
I loro sguardi si incontrarono attraverso il vetro. Si studiavano fra diffidenza da parte di lei e brama da parte di lui.

Ma la donna non fuggiva. Avrebbe potuto rompere il vetro eppure lei come prima era rimasta a guardarlo. Nonostante il morso, e il braccio escoriato era ancora lì. Inaspettatamente lei si avvicinò al vetro, e lui aveva spostato la testa di scatto. Aveva un piede e un ginocchio ossuto appoggiato sul davanzale, un ala ripiegata verso l'altra e la mano venata di nero sulla spalla, l'altra ala, quella verso il vetro,  ripiegata all'indietro con la mano stretta sul bordo della lastra di marmo della finestra.
Continuò a muovere a scatti la testa, gli occhi cambiarono colore e sembrarono più neri della pece con una fiammella di riflesso giallo ad un lato dell'iride.

Miriam si avvicinò ancora alla finestra, si maledì per aver lasciato il telefono di sotto.
Guardò l'essere da scienziata, studiandone le misure in tutto e per tutto simili a quelle umane. Abbassò il volto a guardare le gambe e quelle venature. Lui battè il grosso becco superiore contro il vetro. Lei continuava a guardarlo con un espressione che non era più di paura ma di nuovo curiosa. Faccia di corvo desiderò non ci fosse il vetro e potesse sentirne l'odore. L'odore gli permetteva di capire l'umore della preda: la paura, la curiosità, la sconsideratezza, l'ignavia decretavano chi sarebbe sopravvissuto e chi sarebbe morto.

Lei ora aveva corrugato la fronte e aveva piegato la testa avvicinandola di più al vetro guardandogli la mano appoggiata sulla spalla piumata. Le dita ossute erano umane ma le unghie erano ad artiglio come quelle di un uccello, lo sguardo si spostò sul collo non troppo pieno di piume si vedeva perfettamente il pomo d'Adamo. Faccia di corvo battè di nuovo il becco contro il vetro, stavolta violentemente, voleva che lo guardasse negli occhi.

Lei sussultò ma la paura durò poco, egli aveva ottenuto lo scopo, ora lo guardava fisso negli occhi. Avvicinò di nuovo il volto al vetro.
«Chi sei? Capisci quello che dico?»
Lui storse la testa e appiccicò il becco sul vetro di fronte al volto di lei.
«Sì! Credo che tu mi capisca, mi hai capito quando ti ho chiesto aiuto con il gatto..»
«..a proposito, credo si salverà..»

Miriam ora gli guardava il volto. Aveva solo la parte superiore del becco, sotto si vedeva un accenno di labbro inferiore.
«Hai i denti... quanti sono? »
Miriam alzò la mano e con tre dita tracciò il profilo del becco.
A questo gesto qualcosa mutò nell'uomo uccello, l'iride nera sembrò alzarsi come una seconda palpebra e scoprirono il giallo verdastro della pupilla, sembrarono spalancarsi per lo stupore, il braccio ripiegato sull'altra spalla si stese verso l'alto a destra, mentre l'altro si innalzò verso sinistra e le ali si mostrarono nel loro terrificante splendore completamente allargate. Le spalle inclinate in avanti. Buttò di nuovo le ali verso il basso oltre il marmo della finestra.

Dopo questa spettacolare esibizione Miriam lo vide strusciare rumorosamente il becco davanti alla sua mano. Lei la mosse come in una carezza. Lo sguardo dell' uccello fu attratto dal cerotto sulla spalla e fugacemente sulla spallina scesa del reggiseno. Istintivamente Miriam incrociò le braccia a coprirsi, improvvisamente imbarazzata. Lui parve non gradire spalancò il becco e fece quel verso spaventoso e mostrò i denti. Cominciò ad agitare le ali, lo vide alzarsi in piedi e buttarsi a piombo, come prima doveva aver ripreso quota all'ultimo momento. Lo vide allontanarsi e tornare in picchiata.

Stavolta Miriam ebbe paura e si tirò indietro temendo si schiantasse contro il vetro. E invece lui rimase sospeso mantenendosi in volo di fronte alla finestra per qualche momento per poi volare via.
Miriam aspettò ancora a lungo di fronte alla finestra, ma l'essere era definitivamente scomparso dalla sua vista.
Si riscosse dalle forti emozioni, scese di sotto, cercò la canotta e la infilò lasciando la spallina del reggiseno piegata all'interno. Tornò a controllare il gatto, si era spostato dalla maglietta, aprì la gabbia per afferrarla al volo e richiuse veloce anche se il gatto non tentò per nulla la fuga. Miriam guardò la sua maglietta preferita, era sporca del sangue e delle urine del gatto, aveva anche dei fili tirati, segno che il gatto avesse raspato per scansarla da sotto di se. Prese una traversina assorbente e la mise vicino al gatto. Poi afferrò il mazzo di chiavi e dopo aver controllato che le luci fossero tutte spente, accese la torcia del telefono e uscì. Chiuse velocemente e corse alla jeep, diede un calcio allo sportello che non voleva aprirsi anche se era cosciente che la colpa fosse solo della sua agitazione. Mise in moto e sgommò guardinga nel buio illuminato solo dai fanali dell'auto.

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