Fango e sangue

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Nero aveva bisogno di riprendere il suo lato animalesco, non riusciva a gestire il suo essere se vi si instillava l'idea di poter interagire con persone umane. Ne conosceva gli esiti. Non avrebbe tollerato un reiterarsi di eventi passati.
Si trovò sul tetto anche quella notte, ma non si volle far vedere neanche quando lei si affacciò per zittire il cane e volgendo il viso verso il tetto sussurrò «Nero? So che ci sei!»

Nero si era tirato indietro, dei corvi gli stavano intorno quasi come se egli fosse uno di loro. Doveva andare via di lì, e non tornarci più. Prese il volo dal retro della casa, i corvi lo seguirono, si diresse verso l'acquitrino che conosceva bene, ricordò la prima volta quando fu cacciato quando in preda alla disperazione e la ferocia aveva trovato in quel luogo putrido il posto degno al suo umore. Sotto ad un ponte fra erbacce e muschi aveva trovato un buco umido in cui nascondersi dall'uomo. Finché non vennero a ripulirlo e lui non trovò più la zona buia dove nessuno lo avrebbe visto. In quell'occasione era tornato al bosco di fronte alla GBGG e aveva sfrecciato fra i rami fino a graffiarsi ovunque. Ora riusciva a farlo senza sfiorare una sola foglia e tre volte più veloce.

Ai tempi aveva battuto i pugni nell'acqua melmosa, afferrato gli insetti e divorati per rabbia, come avesse potuto ancora ferire quel padre che lo aveva reso così. Ora più che mai aborriva il pensiero di ricordare quello che era prima. Volò a pelo della melma girando su se stesso così come allora. Le piume altrimenti brillanti divennero appiccicaticce e incrostate di fango, come allora ne fu appesantito, come allora si ritrovò a terra nel pantano con il muso sommerso, respirò il fango e tossì.

Quando alzò lo sguardo si meravigliò dei corvi che erano ancora sopra la sua testa e lo guardavano gracchiando il loro scherno. Ne uomo ne corvo, e ancora una volta lo sguardo si incupì e riflessi rossastri avvisarono della furia imminente. Scattò in alto e volteggiando e cambiando direzione, tuffandosi e risalendo colpì quanti più corvi possibile. Alcuni furono fortunati da avere la seconda occasione per volar via, i più giacevano a terra al di sopra del ponte, sulla strada che lo costeggiava, appiccicati ai palazzi vicini e nel canale stesso, l'acquitrino odorava di sangue e in alcuni punti ne aveva il colore. Era se stesso che spazzava via, o perlomeno quella parte di se che gli aveva salvato la vita ma ne aveva reso impossibile viverla in modo dignitoso.

Cosciente di essere la bestia, il mostro, l'orrore ne assumeva le forme in modo assoluto ricacciando indietro ogni speranza già disillusa.
Eppure quella furia era essa stessa un aggrapparsi alla vita, un rivendicare un posto che non aveva mai avuto. Faccia di corvo Nero ora se ne stava ritto sul tetto dell'alto palazzo ad osservare con un ghigno le sue vittime, ignorando quelli che ora gli giravano intorno beccandolo. Ne afferrò uno al volo e gli staccò la testa con un morso.

Gli occhi più rossi che mai riprese il volo e tornò a volteggiare davanti alla casa di Miriam.
Il cane cominciò ad abbagliare di nuovo. Faccia di corvo Nero sapeva cosa avrebbe fatto, avrebbe distrutto la flebile fiducia che la ragazza aveva riposto in lui. Continuò a volteggiare sopra al tetto, il cane abbaiava come non mai. Quando finalmente la vide affacciarsi si fiondò sul cane, la sentì gridare d'orrore, il cane lo stava mordendo al braccio mentre lui teneva il possente collo tra becco e denti, il cane guaì lasciando il braccio. Sentiva Miriam supplicarlo «Nero! No! Ti prego! Lascialo! Lascialo andare... Nero. Perché, perché..» la sentiva piangere ed era quello che voleva. Il cane era ormai inerme, Nero continuò a strapparne le carni del collo fino a staccarne la testa.

Miriam non fece in tempo a vederlo arrivare, Nero si era materializzato davanti, se ne stava a braccia ali larghe sospeso di fronte a lei, con gli occhi rossi e i denti e il mento ancora pieni di sangue. Lei piangeva e lo guardava ma non vide quella delusione che si era aspettato, lo commiserava, aveva pena di lui. Nero si avvicinò e gli alitò l'odore di morte, gracchiando a denti esposti, lei invece di ritrarsi tese una mano a toccare il braccio ferito, lo fissò e sentì la disperazione nella sua voce «Perché Nero? Perché? Non sei più mio amico?» gli occhi gli brillarono di giallo e poi di un verde intenso. Miriam vide il ragazzo che sarebbe potuto essere e pianse.
Mentre lui gli gridava un rauco e feroce «NOOOO!» e se ne volò via.

Volò verso il bosco, volutamente si fiondava contro rami, e frasche, lasciava che la corteccia strappasse le sue carni e piume andò oltre il bosco, oltre la radura, al sentiero dei canyon
Volava basso sulle pietre acuminate senza pietà per se stesso. Il sangue si mescolava al fango incrostato dell'acquitrino. La velocità era tale che non volendo fermarsi sbatté contro uno spuntone di roccia e rimbalzò sulle pietre della vecchia cava sbattuto come spinto da una forza maggiore. E infine giacque immobile le braccia ali allargate scomposte, la testa riversa all'indietro, emise il suo grido più potente e lungo e pianse.


Spazio autrice.
Non so se sono io troppo sensibile,
ma appena scritto questo capitolo l'ho riletto e ho pianto. È un po' una metafora ciò che vi vedo. Quando ci facciamo del male coscientemente nascondiamo il dolore nella rabbia e, autolesionisti, allontaniamo chi potrebbe portare un po' di luce nel nostro buio.

Spero emozioni anche chi avrà il buon cuore di non fermarsi al primo capitolo.

Nero Tempat cerita menjadi hidup. Temukan sekarang