11.Buryata

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Sofia, dicembre 1995

La radura attorno cui si ergeva, maestoso, l'immenso arbusto dell'infinito, albero immortale le cui radici accarezzavano il centro della terra, era finalmente fiorita

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La radura attorno cui si ergeva, maestoso, l'immenso arbusto dell'infinito, albero immortale le cui radici accarezzavano il centro della terra, era finalmente fiorita.

L'inverno era stato duro. L'erba era avvizzita, e una dopo l'altra tutte quelle bellissime gioie colorate, che ora accoglievano lo sguardo di Petar sotto nuove forme, erano morte. Persino lo Jivonhir non era stato del tutto immune alla violenza del gelo. In una reazione a catena, i suoi rami erano stati strappati violentemente, senza pietà, da quel mostro che non conosceva limiti. Erano stati portati via, lontano, dal vento impetuoso, oppure erano stati inghiottiti, direttamente divorati dalle pieghe della terra.

Anche i rami che ancora non si erano staccati, verso il termine della stagione fredda erano stati sul punto di separarsi dalla loro madre generatrice, diretti a raggiungere i simili perduti. Erano tre rami, Petar se li ricordava bene, e da soli avevano dato vita, per tutto l'inverno rimanente, alla vera anima dell'albero, che attraverso loro ancora respirava.

Uno dei tre rami, d'altro canto, era fragile, scorticato, isolato, quasi sul punto di cedere alla spinta del vento. Nonostante si fosse salvato all'ultimo dal sopraggiungere del calore, nell'intero Jivonhir aleggiava la consapevolezza della sua sorte: all'arrivo della bestia di gelo, sarebbe stato lui il primo ad abbandonarli.

Era inevitabile. Era la naturale forza delle cose, a cui nessuno poteva sottrarsi.

Lo stesso ramo ne era consapevole.

E anche ora, che i fiori circondavano il suo intero campo visivo con i loro mille colori, anche ora, che altri rami belli e forti erano sbocciati dal tronco immortale, e che, piccoli e grandi, promettevano una larga espansione... anche ora il ramo era consapevole della sua sorte.

Petar ne accarezzò la superficie rugosa, animata dal calore del sole in un modo che mai avrebbe ritenuto possibile, rendendolo un ramo dallo splendore invidiabile. Nient'altro che effimera bellezza destinata a scomparire, come tutto. Inutile illudersi del contrario.

Tuttavia, Petar ne era certo, il ramo era rinvigorito dalla vivacità che cresceva intorno a lui, i nuovi rami gli tenevano compagnia, rendendo più dolce la nostalgia di quelli vecchi. Quella sciocca frasca si stava adagiando, rilassando, aveva addirittura osato ricominciare a vivere per davvero.

Poi, come se degli aghi fossero emersi dal cielo, Petar si sentì trafiggere ogni parte del corpo dalle punte affilate di un gelo senza paragoni, che lo Jivonhir non avrebbe mai dimenticato, perché era lo stesso che nell'ultimo inverno aveva squarciato i suoi mezzi di comunicazione con l'esterno.

Una bufera, cinerea, opprimente e impetuosa, si condensò all'orizzonte. Inesorabile, iniziò a procedere nella direzione dell'albero immortale che, inerme, la vide avanzare implacabile, al pari di un'onda impetuosa che nulla poteva arrestare.

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