21.Otmŭshtenie

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Gamsutl, Russia, gennaio 1996

La porta si spalancò con fragore, spinta dalla sua mano furiosa

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La porta si spalancò con fragore, spinta dalla sua mano furiosa.

«Fate largo! Levatevi di mezzo!» esclamò, la voce spezzata, spingendo da parte tutti gli Ophliri che si frapponevano tra lui e suo figlio.

Tra lui, e il cadavere di suo figlio.

Appena gli era giunta la notizia, anche se al momento si trovava nell'area opposta della fortezza, la distanza sembrava essersi dilatata e dissolta al tempo stesso. Non aveva pensato ad altro che raggiungerlo, il prima possibile, quasi il mondo stesse andando a fuoco, quasi ci fosse ancora un modo per salvarlo.

Trovarlo invece lì, immobile, in posa scomposta e con quella lama dall'impugnatura dorata intarsiata in eleganti bassorilievi, uscente dal suo petto insanguinato e privo di battito, gli fece comprendere che era troppo tardi.

Le gambe gli cedettero, nemmeno avvertì dolere le ginocchia nell'impattare sul pavimento in pietra, e si chinò sul corpo ormai più bianco della neve, più gelido di una calotta polare.

«È stato colpito a tradimento» notò Natasha, una dei suoi Ophliri più fidati, che lì si occupava dell'addestramento dei suoi figli, e per la quale serbava un grande rispetto. Non in quel momento però. In quel momento non riusciva ad apprezzare niente e nessuno, disprezzava le sue stesse mani che, deboli e tremanti come non le aveva mai viste, raccoglievano con due dita una lacrima di sangue sgorgata dallo squarcio creato dalla lama nel petto di Vladimir.

«Uscite» poi, non vedendo immediatamente eseguito il suo ordine, ripeté, questa volta con una tonalità più elevata: «FUORI! Andate tutti fuori

Quando i passi affrettati e silenziosi furono spariti oltre la porta chiusa alle sue spalle, Maksim si ritrovò avvinghiato al petto insanguinato del figlio morto, a respirare l'odore della decomposizione che si spandeva in lui, speziato da quello metallico del sangue.

«Perché? Perché?» chiese, mentre gli occhi pizzicavano per lacrime che però non videro mai la luce, siccome ingabbiate da una furia crescente che si spandeva dal suo petto. Era in rabbia che aveva sempre trasformato ogni emozione, così gli era stato insegnato, e così aveva insegnato a sua volta.

Perché? Vladimir aveva voluto fare tutto da solo, a sua totale insaputa. Dopo che erano stati informati dagli Ophliri a Sofia della fuga di alcuni dei prigionieri Grigorov, tra cui quello che era stato l'ex Adelpho di suo figlio – Vladimir gli aveva rivelato la sua identità dopo la fine della guerra –, si erano preparati al loro arrivo, rinforzando le difese e infittendo la sicurezza. Eppure lui, a quanto gli aveva frettolosamente spiegato l'Ophliro che gli aveva riportato la notizia della sua morte, sapeva che l'Ivanov sarebbe ugualmente riuscito a entrare, lo conosceva troppo bene. E per lo stesso motivo era stato un gioco da ragazzi prevederne i movimenti, così da coglierlo di sorpresa. Il motivo per cui non l'aveva informato del suo piano era che voleva portarglielo come trofeo.

"Perché?" si chiese di nuovo. Per dimostrare che cosa? Vladimir era già il figlio migliore che Maksim avesse mai potuto desiderare, con lui negli anni si era solidificato un legame che era andato fuori da ogni previsione, proprio perché in passato aveva rischiato di perderlo, quando era stato dirottato dalle farneticazioni di quello sciocco che aveva chiamato Adelpho. Dopo che quell'inaccettabile gemellaggio si era spezzato, nulla aveva più potuto separarli, forse perché Maksim lo aveva sempre sentito simile a sé; in passato lui stesso aveva affrontato una prova simile, a causa della stessa donna che aveva generato l'uomo ora morto ai suoi piedi: la sua prima moglie.

Erano stati uguali, l'uno lo specchio del futuro e l'altro del passato, ma della medesima esistenza. Per Vladimir aveva previsto la grandezza; verso di essa l'aveva guidato, fin dalla più tenera età, per che cosa? Lasciarlo morire in modo così inglorioso, pugnalato con una tale indifferenza?

Come avevano osato?

Spostò l'attenzione sul manico che spuntava dal cratere all'altezza del suo cuore, rendendosi conto che si trattava di uno khanjar, una lama di origine indiana. La logica lo portò a pensare si trattasse di Denali, che sapeva essere molto abile nelle arti del combattimento.

Ma gli occhi, più consapevoli, scivolarono sul corpo adagiato di fianco a quello del figlio. Seppur quasi irriconoscibile per la Sincronia che gli era stata inferta, lo riconobbe in un attimo.

Lui. Lui gliel'aveva portato via. Alla fine, dopo tutti quegli anni, ci era riuscito.

Una rabbia ancora più impetuosa esplose nel suo petto, a quella consapevolezza. Una rabbia così viscerale e intensa che corrose ogni lume di ragione nella mente di Maksim. Tutto il resto scomparve, le responsabilità, il dolore, l'ordine a cui era tanto fedele persino. Unica costante ferma, nell'impetuoso caos che imperversava nel suo Cerebrum, era la necessità di vendetta.

Riparare il danno. Rispondere al sangue con il sangue.

Vendetta.

La sua mano sfilò il khanjar dal petto di Vladimir con uno strappo violento. Fece roteare una volta la lama con le dita abili, poi la impugnò con decisione ed eleganza.

Si alzò, e cominciò, lento, a salire le scale.

Si alzò, e cominciò, lento, a salire le scale

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Otmŭshtenie=Vendetta

Non so voi, ma io adoro i capitoli di Maksim: brevi, incisivi e VENDICATTIVIH

Come state dopo i due precedenti capitoli? Ancora vivi? :') Dai, tenete duro, solo più due capitoli e sarete sopravvissuti alla Seconda Parte di Jivonhir! Poi arriva la terza in cui ci si diverte 🥰🥀

Detto questo, ricordatevi di questa Natasha che è stata accennata qui, perché ne sentiremo ancora parlare 😏

꧁ꟻAᴎTAꙅilɘᴎA꧂

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