14.Snyag

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Maksim sollevò due dita guantate verso il cielo latteo

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Maksim sollevò due dita guantate verso il cielo latteo. Un microscopico fiocco di neve si adagiò su di esse. A quel punto, un angolo delle sue labbra si piegò in un lieve sorriso.

«La neve, quale stupendo miracolo della natura» esordì, facendolo scivolare nel palmo, gli occhi calamitati dai minuscoli cristalli di ghiaccio dei quali riusciva a distinguere ogni particolare grazie alla sua vista amplificata. «Così, piccola, delicata... affascinante nella sua fragilità.»

Trasferì poi l'epicentro del suo sguardo sui Grigorov, costretti in ginocchio sulla neve uno di fianco all'altro, come bestie pronte al macello. «La stessa che la rende così facile da schiacciare» chiuse la mano a pungo, «e distruggere.»

Uno dei bambini, Kiril gli pareva che si chiamasse, emise un gemito per il freddo, e subito uno degli Ophliri che li trattenevano si affrettò a trattenerlo dal correre a ripararsi tra le braccia della madre o del padre. Era stato un suo ordine quello di costringere l'intera famiglia in una lunga fila ordinata, piegata innanzi a lui con le ginocchia semi-sprofondate nella neve, la quale, alle prime luci dell'alba appena trascorsa, aveva ripreso a discendere per spargere il suo velo sulla cenere e soffocare il fumo delle fiamme che nella notte avevano acceso l'Ephia.

Nessuno di loro si era ribellato più di tanto, anche se, tanto per cambiare, Yordanka aveva espresso una delle sue lagnose lamentele pregandoli di lasciare in pace almeno i bambini. A Maksim, tuttavia, non poteva importare di meno del fatto che quei piccoli immaturi viziati ancora non avessero sviluppato nessun Cebrim; Vladimir già a sette anni era un Ephuro a tutti gli effetti, e persino la sua figlia più piccola, di soli tre anni d'età, si stava dimostrando un vero prodigio grazie al duro allenamento cui la stava sottoponendo. Escluso il maggiore, i bambini Grigorov erano puri quanto i suoi, dunque la loro negligenza era da imputare esclusivamente al modo errato con cui i genitori li stavano crescendo prima del loro arrivo, coprendoli di coccole e amore inutili. Certo, i cebrim si sviluppavano naturalmente a un certo punto della vita – solitamente intorno ai sedici anni – anche senza venire stimolati da elementi esterni, eppure Maksim era convinto che quelli evocati dal pericolo e dall'istinto di sopravvivenza fossero i più efficaci e che temprassero meglio lo spirito da guerriero che ogni Umanente avrebbe dovuto vantare.

Per le labbra viola e gli spasmi incontrollati che affliggevano i bambini, a cui si aggiungevano le stizze del gelo della neve che ormai doveva avergli inzuppato i pantaloni e di quella che si albergava sui loro giovani capi, pertanto, Yordanka non aveva altri da incolpare che se stessa. Maksim, d'altro canto, non provava il minimo rimorso o pietà né per la loro paura, né per il loro dolore; anzi, questi non facevano che incrementare la sua sadica soddisfazione nell'ammirare delle prede tremare al suo cospetto, vittime su cui riversare il suo disappunto, e sulle quali aveva il pieno potere. Il recente avvenimento che aveva fatto sì che lui ordinasse agli Ophliri di condurli lì, era, infatti, lo stesso che ricordava loro quali fossero le conseguenze di eventuali ribellioni. Era inutile prendersela con i Grigorov per l'errore di chi al momento non era presente e non poteva trarne insegnamento, ma non gli importava. Necessitava di qualcuno contro cui riversare la sua rabbia.

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