Capitolo 1

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Questa, è la storia di come sono morto. Ma non preoccupatevi, è una storia molto divertente! Questa è la storia di Gerard Arthur Way, che sarei io. E come ogni storia comincia con la mia nascita.
Sono nato il 9 aprile del 1977, in un ospedale trasandato di Newark, in New Jersey. Immagino che adesso vorrete sapere chi sono i miei genitori, beh vi dico solo che mio padre era il batterista di una rock band piuttosto in voga in quegli anni, mentre mia madre era una fan sfegatata della band sin dall'inizio; si sono conosciuti a un concerto, amore a prima vista a quanto mi hanno sempre detto. La mia nascita non allontanò mio padre dalla sua band e tantomeno dai suoi tour mondiali, io e mia madre lo seguivamo ovunque. Ho avuto un'infanzia piuttosto movimentata, ecco. Alla tenera etá di sei anni mi innamorai dello strumento che sarebbe stato la colonna sonora della mia vita: il pianoforte. Il tutto accadde il primo giorno delle elementari, non avevo paura di lasciare andare i miei genitori e non avevo pianto, come gli altri bambini, semplicemente ero entrato in una stanza piena di giochi e bambini più grandi di me, mi ero avvicinato ad un piccolo pianoforte nero e avevo premuto un tasto qualsiasi. Il suono che ne era uscito mi aveva stregato completamente!
"Voglio imparare a suonarlo!"
I miei non avevano abbastanza denaro per comprarmi un pianoforte tutto mio, così la scuola mi prestò il piccolo pianoforte che soprannominai Stuart e, una studentessa sottopagata, mi insegnò le basi. Suonavo giorno e notte, senza mai smettere, completamente preso dal dolce suono prodotto da Stuart.
Mio padre smise di suonare e sciolse la band, alla nascita di mio fratello Michael, avevo nove anni e un pianoforte tutto mio.
Crescendo mi innamorai sempre di più della musica classica, Mozart e Beethoven erano il mio pane quotidiano. Per quanto riguarda mio fratello, i miei iniziarono a plagiarlo sin da piccolo, un po' come avevano fatto con me, solo che con lui aveva funzionato. All'etá di sette anni amava ogni genere di musica rock e sognava di diventare un batterista come nostro padre.
La mia vita era piuttosto bella, voglio dire, i miei genitori si amavano e amavano noi, mio fratello era il bambino più dolce del mondo e avevo degli amici fantastici. Cosa avrei potuto volere di più?
La mia vita venne sconvolta, letteralmente, durante il mio penultimo anno di college. Frequentavo la Eastern Internetional College, a Belleville, i miei continiavano ad abitare a Newark e io andavo da loro durante le vacanze; la scuola aveva un bel programma di musica, così potevo suonare il pianoforte anche lì.
Fu proprio grazie al pianoforte e al programma di musica, che incontrai Frank Anthony Thomas Iero.
Quel giorno a lezione avevamo suonato la mia sinfonia preferita di Mozart e, anche quando tutti gli altri se ne erano andati, professore compreso, ero rimasto a suonare da solo. Non mi accorsi nemmeno che Frank era passato davanti alla porta semichiusa dell'aula e che era rimasto ad ascoltarmi per qualche minuto, prima di andarsene. Fu Ray a dirmelo. Ray Toro era uno degli amici di cui vi parlavo, lo conoscevo praticamente da quando ne ho memoria e credo sia una delle poche persone che conoscono tutti i miei segreti.
"Gerard!"
Quando aprì gli occhi e mi trovai davanti la sua chioma di capelli ricci castani, per poco non mi venne un infarto.
"Mi hai spaventato" dissi chiudendo il pianoforte.
"Non immaginerai mai chi è passato qui davanti!"
Sembrava piuttosto esaltato, dal modo in cui parlava.
Mi alzai e presi il mio zaino per uscire dall'aula.
"Illuminami."
"Frank Iero."
Tutti conoscevano Frank Iero qui al college. Non perchè fosse un genio o vattelapesca, ma perchè suonava e cantava in una rock band molto famosa nel campus. In giro si diceva che la scorsa estate avevano girato il vecchio Jersey suonando in tutte le cittá più importanti. Era diventato famoso, seguito e amato da tutte le ragazze della Eastern.
A me non inportava proprio niente di Frank Iero.
"E allora?" chiesi a Ray.
"Come sarebbe a dire e allora?! Stiamo parlando di quel Frank Iero!"
Sospirai aprendo il mio armadietto, avevo scienze all'ora successiva.
"Si e non mi importa, ora se non ti dispiace avrei lezione."
Lasciai Ray davanti agli armadietti, sembrava piuttosto deluso dalla mia reazione, gli sarebbe passata in ogni caso.
Scienze era una delle materie in cui andavo peggio, non perchè non studiassi era solo che non ci capivo proprio niente di neutroni, protoni e compagnia bella. Mi limitavo a guardare fuori dalla finestra che dava sulla strada durante ogni lezione. Fortunatamente il tempo passò piuttosto in fretta e appena suonò la campanella che segnava la fine della lezione, mi catapultai fuori dall'aula diretto verso la mensa. Avevo una fame da lupi quel giorno, avevo sempre una fame da lupi io, ma quel giorno avevo una fame da lupi che non mangiavano da mesi.
La mensa non era molto grande, essendo la scuola di modeste dimensioni, ma neanche gli studenti erano molti quindi centravamo agilmente. L'inserviente che ci passava il cibo da dietro il bancone, era una donna in carne dal carattere burbero, non era facile convincerla a darti più cibo del solito.
"Odio il purè" disse una voce alle mie spalle. Mi voltai e sorrisi al ragazzo in fila dietro di me, aveva i capelli neri pieni di gelatina ritti in testa e si stropicciava un occhio con la mano libera dal vassoio.
"Buongiorno Billie, ti sei svegliato da poco?"
"Non avevo lezione stamani" disse sbadigliando.
Billie Joe Armstrong era il mio compagno di stanza e un'altra delle poche persone a conoscenza di tutti i miei segreti. Era un tipo particolare quel Billie, molto simile ai miei genitori e, a quanto pare, a Frank Iero. Indossava una camicia nera su un paio di jeans strappati, anch'essi neri, quel giorno e delle converse verdi fluorescenti, aveva sempre delle scarpe dai colori sgargianti sotto agli abiti neri, ve lo avevo detto che era un tipo particolare no?
Dopo aver preso il pranzo, ci sedemmo al nostro tavolo, era nostro perchè nessuno si sedeva mai lì apparte noi, quindi credo avessimo il diritto di chiamarlo nostro. Ray venne a sedersi accanto a me col vassoio pieno di purè e altre cose dall'aspetto orribile; il cibo non era il punto forte della scuola come avrete capito.
"Cazzo non possono farci mangiare purè ogni giorno!" si lamentò il riccio e in effetti aveva ragione.
"Diventerò una patata a forza di mangiare questo schifo" disse Billie passando la forchetta sul suo purè, ridemmo alla sua battuta.
La mia vita era piuttosto bella, voglio dire, i miei genitori si amavano e amavano noi, mio fratello era il bambino più dolce del mondo e avevo degli amici fantastici.
Cosa avrei potuto volere di più?

Il suono del silenzio (Frerard)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora