Capitolo 13

631 84 31
                                    

La mattina seguente mi svegliai per colpa del mal di testa che mi era venuto. Era come se il cervello stesse diventando enorme e non entrasse più nella scatola cranica e continuava a prepere contro le pareti della mia povera testa. Per non parlare del freddo bestiale che faceva in quella stanza, stavo tremando come se avessi quella malattia di cui adesso non mi sovviene il nome.
Quando mi voltai alla mia destra e vidi il corpo mezzo nudo di Frank, per poco non urlai. Dormiva con la testa affondata nel cuscino, i capelli neri scompigliati e il busto nudo, senza coperte, esposto a quel freddo bestiale.
Allungai una mano tremante verso di lui, per svegliarlo, ma un improvviso conato di vomito mi fece correre verso quello che speravo fosse il bagno. Aprì la porta con difficoltá, cercando di non vomitare sul pavimento di legno, ed entrai in una stanzetta piccola, buia e dannatamente gelata.
Con la mano libera cercai l'interruttore e quando lo trovai, dopo ore di attenta perlustrazione del muro pieno di muffa, accesi la luce. La stanza si illuminò improvvisamente, rivelando un bellissimo cesso in porcellana bianca dalla tonalitá giallognola. Mi precipitai su quel paradiso sottoforma di water e vomitai tutto quello che avevo in corpo.
La cosa buffa, per così dire, era che la sera prima non avevo mangiato niente, tranne i tre drink maledetti. Quindi quello che stavo vomitando era il pranzo e tutta la bile amara che c'era nel mio povero stomaco.
Ma sto divagando, non credo che i dettagli vi interessano e, se lo fanno, beh state male e dovete farvi curare.

In ogni caso, quando Frank apparve assonnato alla porta del bagno, io stavo ancora vomitando l'anima e compagnia bella. Lui sbadigliando si sedette accanto a me, togliendomi i capelli dalla fronte e tenendomi la testa.
Non ero proprio un bello spettacolo, ecco, ero ancora più pallido del solito e stavo sudando come dio solo sa cosa. Per non parlare della visione dei rimasugli del mio pranzo dentro il water e all'odore che emanavano.
Se fossi stato Frank probabilmente sarei uscito di lì correndo e magari vomitando a mia volta.

Dopo aver rigurgitato praticamente ogni cosa, mi alzai tremante e ancora mezzo nudo.
"Cosa abbiamo fatto ieri sera?"
Frank rise sommessamente.
"Niente di cui tu debba preoccuparti Miss Verginitá."
Sentì la faccia andare a fuoco.
"Ah ecco io uhm b-bene" balbettai, imbarazzato. In risposta al mio imbarazzo Frank scoppiò a ridere rumorosamente e mi passò una mano su di una guancia.
"È stato bellissimo" sussurrò.
"Lo so, me lo ricordo. Ero tanto ubriaco?"
"Un po'."
"Quanto ho bevuto ieri sera?"
"Tre bicchieri."
"Solo tre?"
"Non reggi molto bene l'alcool vero?"
Il suo tono era vagamente divertito ed io annuì, era vero dopotutto, non ho mai retto l'alcool.
"Dovremmo tornare alla Eastern" dissi a malincuore.
"È festa Gerard, possiamo rimanere qui."
"A proposito, cos'è questo posto?"
In quel momento mi venne in mente che non mi aveva ancora detto dove ci trovavamo di preciso.
"Giusto" esclamò alzandosi e correndo fuori dal bagno.
Lo seguì con fatica, la testa mi faceva ancora un male bestiale e lo vidi al centro della stanza mentre si infilava una maglietta trovata chissá dove.
"Benvenuto nello studio di registrazione della band" annunciò con euforia.
Era lo studio di registrazione più brutto in cui avessi mai messo piede, anche se era effettivamente il primo che vedevo.
"Bello" mentì, era troppo felice per dirgli che quel posto faceva schifo, puzzava ed era freddissimo.
"Frank possiamo andare via?"
Giuro che quel posto mi metteva un'ansia inspiegabile, lo avrei demoloto con le mie stesse mani.
Lui sospirò e acconsentì.

Pioveva fuori, oltre a fare freddo, ma il fiume era bello lo stesso.
Ci andavo sempre quando ero piccolo, coi miei genitori, a fare dei pic nic sulla riva. Adesso ero lì con Frank, seduto su una panchina mentre lui mi sfilava davanti su uno skateboard. Mi sarebbe sempre piaciuto imparare ad andare su quel coso, mio padre aveva anche provato ad insegnarmelo, ma ci aveva rinunciato quando mi ruppi una gamba, un braccio e un paio di denti.
Frank invece era molto bravo,ci voleva equilibrio per fare queste cose e io non ne avevo. Oltretutto l'asfalto era anche bagnato a causa della pioggia, sarei finito contro un palo come minimo.

Ho sempre avuto una paura matta di finire contro i pali e gli alberi, da bambino andavo sempre nel parco davanti casa mia e prendevo l'altalena di destra. Sempre e solo quella di destra perchè davanti all'altra c era un albero, distante ovviamente, e io avevo paura di scivolare dall'altalena e finire spiaccicato contro quel dannatissimo albero. Potete immaginare la mia gioia quando venne abbattuto.

In ogni caso Frank faceva il figo sullo skate e io stavo seduto su quella panchina bagnata e guardavo il fiume come un vecchietto, mi mancava solo di dare da mangiare ai piccioni, peccato che non ce ne fossero.
Alla fine si sedette accanto a me, chiuso in quel suo giacchetto verde militare che gli stava largo e lo rendeva più adorabile di quanto giá non fosse.
"Ti va di provare?"
Indicò lo skate con un cenno della testa.
Che avevo da perdere? Apparte i denti e la capacitá motoria, che era giá scarsa di suo, ovviamente.
"Okay, ti dico subito che ho l'equilibrio di un elefante su una corda messa in mezzo al Gran Canyon" dissi alzandomi dalla panchina e tirandomi il cappuccio sulla testa; avevo preso un giacchetto trovato nello studio di registrazione.

Misi titubante un piede sopra lo skateboard che, come da copione, slittò in avanti facendomi cadere all'indietro. Fortunatamente Frank mi prese al volo ed io non caddi sul duro asfalto.
"N-non così Gerard!"
Mi aiutò a montare su quel coso infernale senza cadere e poi, tenendomi per i fianchi, mi spinse in avanti, lentamente. Mi sentivo come un bambino di tre anni la prima volta che va sulla bicicletta senza ruote. Il principio era prorpio quello, voglio dire, Frank camminava lentamente spingendomi in avanti ed io facevo tipo Rose del Titanic, allargando le braccia e sorridendo come un'ebete.
Era una sensazione stupenda, dico davvero, il vento tra i capelli, le mani di Frank che mi stringevano con sicurezza e la strada che spariva sotto ai miei piedi.
Era come se stessi volando, si, stavo volando.

Il suono del silenzio (Frerard)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora