Capitolo 18

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Il giorno dopo mi svegliai piuttosto infreddolito, Frank doveva essere uscito molto presto senza svegliarmi e mi aveva lasciato nudo come un verme sepolto sotto venti strati di coperte.
Mi infilai velocemente il mio pigiama muccato e scesi al piano di sotto, annusando l'aria potevo sentire il profumo emanato dalla marca di caffè che preferivo. Scesi gli ultimi due scalini con un balzo, travolgendo quasi mio fratello che era spuntato dal corridoio in quel momento.
"Buongiorno Mikey" dissi scompiliandogli i capelli biondi.
Lui fece una smorfia e se ne andò in cucina senza salutarmi.

Mio fratello, come ho giá detto, è l'unico bambino di cui tollero la presenza, un po' perchè è mio fratello e un po' perchè è diverso dagli altri bambini.
Per prima cosa, non si lamenta mai di niente, poi ha un'energia incredibile, voglio dire, è così iperattivo certe volte che quasi mi spaventa. Il fatto che suona la batteria aiuta la sua iperattivitá, dato che ci mette sempre molta foga e via discorrendo. Trovo che sia molto bravo a suonare, per essere così piccolo, e comunque mio padre è molto fiero di lui.
Anche io sarei fiero di lui se fossi mio padre, dopotutto avrebbe tramandato questa passione per la musica punk rock anche alle generazioni future.
Ma sto divagando.

"Ha nevicato un sacco stanotte" annunciò Alex mentre mi sedevo tra lui e suo fratello.
"Papá dopo andiamo a fare un pupazzo di neve?"
Mikey adorava la neve, dico davvero, ogni volta che nevicava passava la giornata in giardino a rotolarsi per terra e a tirare neve dappertutto.
"Va bene" acconsentì mio padre "ma non ti assicuro niente, la neve è ancora fresca e non attaccherà molto bene."
Lui si strinse nelle spalle e addentò uno dei pancake fatti da mia madre.
"Chi vuole il caffè?"
Chiese lei mostrando una brocca piena di liquido nero e denso.
Sei mani si alzarono sventolanti per aria e mia madre servì il caffè a tutti tranne al sesto, ovvero mio fratello, che essendo ancora piccolo non poteva berne tanto, anche perchè era iperattivo di suo figuriamoci con il caffè in corpo.
Comunque vidi mia madre versare un goccio di caffè nella sua tazza, preso da un piccolo contenitore.
"Dovresi smetterla di dargli il caffè" dissi, preoccupato per la reazione di Mikey che, come ho giá detto, è iperattivo per natura.
"Sono giá passata al decaffeinato con lui" disse strizzandomi l'occhio, si sedette accanto a papá dandogli un bacio sulla fronte, c'era così tanto amore fra di loro.
"Basta che non passi al decaffeinato con me."
"Oh no, sarebbe maltrattamento di minore" disse Billie con fare drammatico e tutti scoppiammo a ridere.

Jack e Alex tronarono alla Eastern subito dopo colazione, mentre io e Billie passammo pomeriggio a guardare degli stupidi film natalizi.
Mio padre e Michael erano usciti in giardino per fare il famoso pupazzo di neve, ma come aveva detto papá quella mattina, la neve non attaccava e, come se non bastasse, era spuntato un caldo solo che aveva sciolto i resti del povero Frosty.
Mikey rientrò a casa sbuffando e sparì in camera sua, ci vollero circa due minuti prima di sentire la sua batteria esplodere in un tripudio di piatti e tamburi.
Anche alzando il volume della televisione al massimo, non riuscivamo a sentire niente di quello che Michael Keaton in versione pupazzo di neve stava dicendo.
Per Billie, che amava quel film, era un'agonia.
"Giuro che lo uccido se non la smette" disse alzando al massimo il volume.
"Sono quasi le quattro" dissi "smetterá."
Come previsto mia madre lo chiamò per fare merenda e lui concluse la sua esibizione con un ultimo scroscio di piatti, prima di scendere al piano terra.
Billie si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo, anche se sapeva che il suo sollievo sarebbe stato breve.
Mikey si buttò sul divano accanto a noi sgranocchiando i biscotti alla cannella che aveva portato mia nonna ieri sera.

Helena, che chiamerò così per comoditá, viveva in una casa a pochi metri dalla nostra. Io avevo passato gran parte della mia infanzia in quella casa, che ormai ritenevo mia, dato che certe volte i miei genitori erano troppo impegnati con il lavoro. All'inizio mia madre mi portava ad ogni cocerto di papá, ma col tenpo iniziò a lasciarmi da mia nonna dato che io crescevo e l'interesse che avevo per quel genere di musica era svanito. Dopo la nascita di Michael, come saprete, mio padre aveva sciolto la band e via discorrendo, riprendendo a studiare per avere la licenza di professore, infatti mio padre insegnava lettere all'universitá di Newark e questa cosa sembrava aver sconvolto il suo look da perfetto rockettaro, per così dire, dato che la cravatta abbinata alla giacca di tweed aveva rimpiazzato le maglie strappate e compagnia bella. Mia madre aveva iniziato a lavorare in un supermercato e anche adesso faceva la commessa lì.
Ma sto divagando.

In ogni caso, dopo aver fregato un biscotto a mio frattello, ero salito in camera mia e mi ero seduto al mio amato pianoforte. Avevo bisogno di molto esercizio, dato che il prossimo anno avrei tentato di fare un'audizione alla Jiulliard.
La Jiulliard School, per chi non lo sapesse, è una delle più famose e rinomate scuole di arti, musica e comoagnia bella del mondo. Molti famosi attori, cantanti e musicisti hanno studiato lì, Robin Williams per esempio.
Insomma anche ricevere il permesso di fare un'audizione era una cosa straordinaria, voleva dire che avevi talento e neanche poco. Io volevo fare questa dannatissima audizione, perchè entrare alla Jiulliard è sempre stato il mio sogno.
L'unico problema era che la Jiulliard si trova a New York e New York era molto lontano da Newark, quwsto significava anche essere lontano dalla mia famiglia e da Frank.
Ma avremmo trovato una soluzione, voglio dire, mancava ancora un anno alla mia audizione.

Suonai fino all'ora di cena, senza mai smettere, la musica prendeva possesso di me ed era come se le mie dita fossero un prolungamento dei tasti. Ero sicuro che Billie, al piano di sotto, si stava lamentando quindi decisi di suonare qualcosa di suo gradimento, trovai lo spartito di "Per Elisa" sepolto sotto varie sonate di Vivaldi e lasciai uscire dai tasti le prime note di quel brano del buon vecchio Ludwig.

Le ultime giornate di vacanza passarono così, tra pancake e biscotti, tra batteria e pianoforte, tra le lamentele di Billie e le chiamate di Frank e Ray dalla Eastern.
Fino a che non fu tempo anche per noi di salutare la mia famiglia e di tornare al college.
Per nostra fortuna mancavo solo un anno alla fine di questa enorme tortura, poi l'universitá ci avrebbe aperto le sue porte.

Il suono del silenzio (Frerard)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora