Capitolo quarantatré

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Alice.

Swami era uscita dall'ospedale, da circa due giorni.
Perché Alberth aveva chiesto ai medici di tenerla un altro giorno per farle gli ultimi accertamenti e assicurarsi che vada tutto bene.
Mamma riuscì a convincere Alberth per farla rimanere a casa per qualche giorno, affinché si riprendesse del tutto.

Non usciva dalla camera e non si voleva far vedere.
Si vergognava.

Provai più e più volte a parlarle, ma non ci fu verso che mi ascoltasse.

Inserii le cuffiette nelle orecchie, mentre saltellavo giù dalle scale e mi sistemavo la coda alta.
Mi trovai difronte Noah, con un borsone in sballa e il casco incastrato sonno il braccio

«Dove vai?» chiesi senza vie di mezzo.
Posò i suoi occhi cristallini sulla mia figura.

«Buongiorno impicciona. Al college. Tu?»

Mi accigliai confusa.

Va al college? Da quando?

«In palestra, è tanto che non ci vado. Da quando vai al college? Cosa studi?»

«Ehi ehi, piano con le domande. Uno: vado da circa tre anni. Due: studio giurisprudenza. E, prima che me lo chiedi...»

Mi interruppe nel fargli la fatidica domanda

«Studio per diventare un avvocato»

Noah avvocato?... Sì, ce lo vedo.

«Uh, abbiamo un avvocato in famiglia. Quando mi capiterà un disguido con qualcuno, ti chiamerò in causa»

«Oddio, no. Non ti ci voglio a te» mi partii il dito medio e lui scoppiò a ridere

«E poi tu sei l'avvocato di te stessa. Non ne hai bisogno di un altro»

Mi fece un'occhiolino divertito. Rimasi interdetta per qualche secondo

«Ma che significa?»

Finii di scendere le scale e lo fronteggiai curiosa.
Si avvicinò al mio viso e il suo profumo maschile, invase il mio campo vitale

«Che li fai tremare tutti, ragazzina»

Sorrisi soddisfatta e mi portai le braccia la petto

«Hai detto bene Noah. Quindi prima che faccia tremare anche te. Fammi passare che sto ingrassando»

Scoppiò a ridere mentre lo sorpassai e mi diressi alla porta

«Sei bellissima comunque!»
«Anche tu non sei male»

Mi chiusi la porta alle spalle e salii nella macchina di mamma, che mi aveva gentilmente prestato per oggi.
Dovrei prenderne anche io una, ma pensai a dopo il matrimonio e a quando ci saremo stabilizzate meglio.
Mancavano pochi giorni al matrimonio e mancavano pochi giorni ad un mese che mi trovavo in quella casa.

Sfrecciai per le strade di Manhattan fino alla palestra, che mi segnava il navigatore.
Avevo perso il vizio di andarci da quest'estate. L'anno scorso ero fissata e ci andavo tre volte a settimana; stavo ottenendo anche ottimi risultati, ma poi la relazione con Michael stava precipitando e non trovai più le forze di fare niente. Mi giudicava anche in quello.
___

«Vuole fare un abbonamento?»

Mi chiese il receptionist, già pronto a segnare il mio nome cognome.

Perché no?

«Sì sì, faccia pure»

gli diedi i miei dati personali e lui segnò tutto.
Feci quello da sei mesi.

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