84 - Rovescio della medaglia

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​POV ARIEL

Ora che non sono più in terapia intensiva, sono passati quattro volte dalla portineria sia Johanna sia Jack chiedendo il numero della mia stanza, ma ho dato disposizione di non voler ricevere visite. È pur sempre un ospedale di cinque piani: non si può certamente entrare in ogni stanza e stanare qualcuno a forza.

Non li ho voluti vedere, sono stata molto chiara al riguardo: sono ammessi solo mia madre e mio padre.

In realtà è solo da poco che sto riflettendo sui miei genitori e sul perché non li abbia ancora visti: ho avuto la testa piena di quell'orfanotrofio e delle parole del medico.

Da quella frase che il dottore ha pronunciato, qualcosa è marcito in me e sta infettando tutto.
«Purtroppo ha perso il bambino, signorina. C'è stato un distacco di placenta a causa dei colpi inferti. Non c'è stato niente da fare.»

Quel bambino e il pensiero di potermi rifugiare nei miei genitori sono stati la mia forza... il mio ossigeno. Adrenalina ed energia vitale pura.

E ora? Niente.

Dentro di me è morto qualcuno che amo ancora.

Come ci si riprende da questo?

Non ho pensato ad altro per tutto il tempo... fino a quando la solitudine è diventata una necessità e una condanna insieme.

Solo ad oltre di 27 ore da quella scoperta, il mio cervello vira la sua attenzione su altre cose.

Mi hanno solo detto che i miei hanno avuto un piccolo problema in aeroporto e sono stati trattenuti a Boston e che partiranno appena possibile per l'aeroporto di New York. Ho chiesto di poterli chiamare, ma il mio telefono è ancora nelle mani della polizia per degli accertamenti. E, a quanto ho capito, il loro telefono è irraggiungibile.

Dio, spero non gli abbiano infilato della droga nei trolley.

Mi devo rassegnare ad aspettare.

«Ariel, cara» l'infermiera Beatrix è la persona più vicina a una gradevole compagnia che ho qua dentro. Mi informa che ci sono di nuovo i miei amici che chiedono di potermi fare visita.

«Mandali via. Non voglio vedere nessuno» ripeto.
Detto ciò, mi giro su un fianco e cerco di chiudere gli occhi per scacciare via i brutti pensieri che animano la mia testa.

Ma ho come la nauseante sensazione di essere immersa in una vasca d'acqua fredda senza possibilità di uscirne. Anzi, qualcosa mi tiene immersa fino al collo.

Come posso volerli vedere? La risposta è che non posso.

Se ripenso agli ultimi mesi, a come mi sono comportata... è come se quattro ipotetici muri che mi circondavano, mi sono crollati addosso. Proprio quei muri messi lì per proteggermi, erano pieni di crepe invisibili.

Mi vergogno troppo, sono stata così stupida e così ingenua. Beatrix mi ha raccontato, in un'inopportuna violazione del segreto professionale, che Joe è fuori pericolo ma è stato messo in coma farmacologico fino a quando le sue gravissime ferite non saranno più superficiali. Da quanto ho capito, se lo svegliassero ora, il suo fisico si metterebbe in moto... ma arrancherebbe. Potrebbero comparire ischemie, infarti e conseguenze gravissime a causa della pallottola e delle coltellate inferte al suo corpo.

Corpo, che ha usato per proteggermi. Me lo ricordo nonostante i miei svenimenti continui: mi si è piazzato davanti come se proteggermi fosse l'unica cosa che contasse.

E io ho davvero pensato davvero male di lui, anche se solo per un solo momento? Lui, che non ha esitato a mettersi non gioco per proteggermi. Non lo merito.

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