Capitolo 10 | You cling to your papers and pens

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Terence

Caro diario,
hai mai la sensazione di conoscere una persona, ma di non conoscerla affatto? Beh, forse tu no dato che sei solo carta di un diario di una ragazzina, ma io si. Per tutti gli anni in cui conosco Terence Walker, non c'è mai stata una volta in cui lo avessi capito, oggi lo avevo fatto, ho iniziato a conoscerlo e a capirlo un po' di più. Mi ha sempre incuriosito il suo modo di fare, il suo silenzio, e la moderatezza nel parlare. Lui era perfetto per tutti quanti: gentile, cortese, figlio di una buona famiglia, bravo, un ragazzo che ascolta e che tratta sempre bene tutti, tutti tranne me. Non mi parlava mai e a volte quanto lo faceva era addirittura scortese. Mi ha sempre detto che gli dava fastidio la mia voce e sopratutto il mio entusiasmo. Oggi però l'ho visto in giardino, seduto sotto il salice piangente, e mi ha fatto un complimento. Cioè non proprio un complimento, per me lo è però. Ha notato il mio vestitino giallo e ha detto che sembravo Belle di bella e la bestia. Ha sempre saputo fosse la mia principessa preferita. Abbiamo parlato e penso mi abbia aperto il cuore. Mi ha detto che era triste e in pensiero per suo padre, anche se non mi ha voluto spiegare nient'altro. Quando era un bambino era più facile trattare con lui, ora che è adolescente e va alle superiori è diverso. Più grande, non penso di essere alla sua altezza, ma comunque non sembrava gli dispiacesse parlare con me.
Spero solo resti così per sempre, perché non sopportavo quando mi rispondeva male ad ogni cosa che gli chiedevo o dicevo.
Comunque io sto bene, spero lo stia anche tu.
Alla prossima.
- Bella 25/05/2019

Me lo ricordavo bene quel giorno avevo solo quindici anni e lei quattordici, eravamo dei bambini, ignari di quello che ci aspettava. Era successo qualche mese prima della morte di sua madre, insieme a mille altre cose che non ero sicuro avesse scritto, già mi sorprendeva che avesse scritto questa giornata.

Girai la pagina, ma non feci neanche in tempo a leggere una parola che udii dei passi farsi strada verso questa camera.

Chiusi violentemente il diario e lo rimisi al posto alzandomi in piedi e facendo finta di nulla.

La porta si aprì, speravo solo non fosse Isobel. In realtà ero venuto in camera sua appunto perché mio padre voleva parlarle, ma non volevo accadesse.

Dietro si celò proprio il suo volto, pronta a sbottare qualcosa.

«Che cazzo ci fai nella mia stanza» ecco appunto. Era ferma sulla soglia con un sopracciglio alzato e la mano ancora appoggiata alla maniglia.

Girai il volto leggermente giusto per guardarla. Ero consapevole del fatto che tra poco doveva andare al lavoro, infatti in mano teneva il grembiule bianco appena lavato.

«Mio padre vuole parlarti» le dissi, poi lei entrò nella stanza appoggiando il grembiule sul letto per poi sdraiarsi con le scarpe ancora ai piedi.

Prese in mano il telefono sul comodino e iniziò a guardarlo non curandosi della mia presenza.

«Isobel non renderla complicata alzati e vieni di là» le ordinai quasi scongiurandola.

«Di a tuo padre che non mi interessa quello che ha da dirmi» mi disse passando lo sguardo dal telefono ai miei occhi.

«Perché deve sempre essere così complicato con te?» le domandai poi avvicinandomi al letto.

«Che stai facendo?» mi chiese squadrandomi e guardandomi con una faccia dubbiosa.

Sospirai, poi mi chinai su di lei, le circondai la vita con le mani e me la misi in spalla, come un sacco di patate.

𝑩𝒐𝒓𝒏 𝒕𝒐 𝒅𝒊𝒆Where stories live. Discover now