Capitolo 17

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CALUM'S POV

La mamma di Juliet mi porta dentro casa, mi fa posare il borsone e poi si siede

-E' chiusa in camera sua da quando è tornata dal centro di recupero, so che avete discusso e so per certo che in questo momento avrà già finito due bottiglie di un qualsiasi alcolico, io non ho speranze di farla uscire o di farla smettere di bere, forse tu si. Quando beve è un'altra persona, speravo non accadesse più- le lacrime continuano a cadere sul viso della donna, e io mi sento la persona peggiore del mondo, tutto ciò sta accadendo per colpa mia.

Sono davanti la porta della camera di sua sorella, che ora è la sua, mi viene da ridere perché sulla porta c'è scritto " Se non sei Calum Hood non disturbare " , fortunatamente posso permettermelo, così busso.

-Cazzo lasciami in pace- sento urlare dall'altro lato della porta chiusa, e il mio cuore un po' si spezza, come io ho spezzato il suo

Mi faccio coraggio ed apro la porta, i miei occhi vagano per un secondo lungo tutta la stanza, finchè non la trovo, rannicchiata in un'angolino, con delle bottiglie vuote accanto e una montagna di fazzoletti.

Mi sta fissando e vedo il disgusto nei suoi occhi, vedo l'odio che prova nei miei confronti, e io in questo momento vorrei solo averla tra le mie braccia e dirle che andrà tutto bene, perché la amo, ma non so quanto possa essere efficace.

Con cautela mi avvicino, e vedo i suoi occhi colmarsi di lacrime.

JULIET'S POV

Ho raccontato tutto a mia madre, mi ha visto con l'alcol e ha iniziato a piangere, poi mi sono chiusa in camera, non voglio uscire, voglio solo finire le tre bottiglie in santa pace e poi dormire, per un lungo periodo. Mia madre conoscendomi non ha neanche provato ad avvicinarsi alla camera, è quasi l'una di notte, io ho finito l'alcol e mi sento stordita, mi sento così male, ma così bene allo stesso tempo.

Mi sento bene perché in qualche modo mi sento libera, poi però ci sono i sensi di colpa, e tutto il reto che mi divorano dalle budella, mi sento una perdente. Sono rannicchiata in un'angolo della casa , mi guardo intorno e piango.

Potrebbe essere solo un brutto scherzo della mia mente, ma sono convinta di aver sentito il campanello di casa, e se è così spero non sia mio padre, non riuscirei a sopportarlo.

Fortunatamente sarà stato solo uno scherzo della mia mente, perché saranno passati una decina di minuti e non è salito nessuno a rompermi.

Si dice che quando parli del diavolo spuntano le corna, ma io lo stavo pensando soltanto. Eh si, stavo pensando a Calum e magicamente la porta si è spalancata e proprio lui è entrato da essa, quando ha bussato pensavo fosse stata mia madre, evidentemente mi sbagliavo di grosso.

Ci stiamo fissando, io troppo stordita dall'alcol per urlargli contro e lui, non so cos'abbia ma è impalato sull'uscio della porta, si avvicina con cautela, e i miei occhi si colmano di lacrime,dio, lo amo così tanto.

-Sono una merda- dice mettendosi in ginocchio, così da potermi guardare negli occhi, ed è vero è una merda -non mi sono controllato, e so che è sbagliatissimo, ma sono un'umano che sbaglia- ora anche lui sta guardando ciò che sto guardando io, la nostra foto, la tengo in mano da almeno due ore,e non faccio altro che guardarla

-smettila- sbotto. E mi guarda nuovamente

-non voglio perderti : La colpa, il dolore è ancora lì ,sei qui da solo all'interno di questa casa distrutta, questa casa distrutta- neanche io voglio perderlo, ma come posso perdonarlo?

-sei la mia distruzione e la mia felicità, ti odio e ti amo, vorrei cacciarti e fare l'amore con me, sei la contraddizione della mia vita Calum Hood e io al momento ho bisogno di te- mi asciugo le lacrime con le mani e vedo nascere un sorriso sulle labbra del bassista

-non accadrà più- sussurra e io vorrei tanto crederci, ma non posso, intanto annuisco

-va da tua madre, sta davvero male- mi dice aiutandomi ad alzarmi, io scuoto la testa, non voglio vederla stare male per me, mi sentirei peggio di come sto al momento.

-Domani mattina le parlerò- mi fiondo tra le sue braccia

-faccio schifo- sussurra sui miei capelli

-no, lo facciamo entrambi - strizzo gli occhi, il viso poggiato sul suo petto, ispiro il suo profumo e piango.

Piangere. È un istinto umano, può significare un miliardo di cose, piangendo si possono provare un mondo di emozioni. La gola si chiude, il respiro si accorcia e inizi a vedere appannato per via delle lacrime, poi la gola brucia e si inizia a singhiozzare, finché le lacrime non scorrono sul tuo viso, calde e salate. Gli occhi di arrossano spropositatamente e in quel momento si ha bisogno di solitudine, estrema solitudine, o in casi inversi si ha bisogno di persone che tengono a noi più di loro stessi. Piangere è uno sfogo e un ingarbugliarsi di pensieri. Si nasce piangendo, perché forse, in quel momento capiamo quanto tutto è così difficile, la vita non ha nulla di facile e il pianto è come la vita, man mano chi lascia sempre più in difficoltà, alla fine, non si riesce più a nascondere. E allora, piangiamo cazzo. Perché la vita è una e difficile.

-Non piangere, non ora che sono con te-come posso negarglielo, non si può dire no a lui, che è volato fino a qua senza preavviso, così mi asciugo le lacrime con la mano e lo bacio a fior di labbra

-dormiamo?-mi chiede sussurrando, io annuisco, si toglie le scarpe e si corica accanto a me che ho già preso posto accanto al muro.

-Grazie Cal, non è da tutti ciò che hai fatto- lo guardo come se fosse la cosa più bella che abbia mai visto, ma so che è davvero brutto

-sai anche se sono, bello e ricco e famoso, se faccio una cazzata ci tengo a riparare- mi accarezza i capelli, con movimenti lenti, e mi sento bene - soprattutto se faccio una cazzata nei tuoi confronti-gli accarezzo piano la guancia.

-Never be Cal- sussurro prima di cadere in un sonno profondo.

Twelve Hours||Calum HoodDove le storie prendono vita. Scoprilo ora